La Lettura, 4 novembre 2023
Italico Brass, nonno di Tinto Brass e pittore di Venezia
«Guarda questo panorama impareggiabile: qui, a destra, la gigantesca Chiesa della Salute, che staglia la sua mole colossale su questo cielo notturno, e più in là il sottile promontorio bianco che si estende a perdita d’occhio sulla laguna, la Punta della Dogana, con Mercurio che danza così allegramente sul globo dorato. Non è bello?». «Ma non è alato, stende semplicemente un drappo con il quale sembra volersi librare in volo sul mare con una piroetta; secondo alcuni non è affatto Mercurio, è la Fortuna». Così scriveva in due diversi brani la scrittrice di viaggio tedesca Henriette Perl firmandosi con uno pseudonimo maschile: Henry Perl. Era il 1894 e come omaggio a Venezia, di cui si era innamorata, dava alle stampe una fortunata guida, più volta ristampata e tradotta in diverse lingue. Un anno più tardi, nel 1895, nasceva quella Biennale destinata a catalizzare le forze più innovative dell’arte e della cultura lagunare, proiettandola definitivamente in Europa.
A quella prima edizione partecipava anche un giovane pittore nato nel 1870 a Gorizia, allora austriaca, in pieno contesto irredentista. Si chiamava Italico Brass, aveva studiato prima a Monaco di Baviera, poi a Parigi dove era stato illuminato dalla nuova pittura impressionista e post-impressionista, e aveva infine trovato casa in Veneto, a Chioggia e infine a Venezia. E alle successive Biennali avrebbe partecipato ripetutamente e con successo, fino alla prima personale del 1910. Appassionato cantore della vita lagunare, dei suoi riti e delle sue genti, sarebbe diventato per molti «il pittore di Venezia». Ora, a decenni di distanza dall’ultima personale tenuta alla Biennale del 1948 (la prima del Dopoguerra) e dall’omaggio del 1991 nel Castello di Gorizia, e a ottant’anni esatti dalla morte, a lui è dedicata la grande mostra Italico Brass. Il pittore di Venezia (fino al 22 dicembre presso l’Istituto veneto di Scienze, Lettere e Arti di Venezia; organizzazione e catalogo lineadacqua), che è anche una rilettura della sua figura di intellettuale e operatore culturale in città. Curata da Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin a Palazzo Loredan in Campo Santo Stefano, affacciato sul Canal Grande, è una mostra che si apre alla città, alle sue luci e alle sue acque, nella forma di un «inedito itinerario» nei luoghi amati da Brass, spiegano i curatori. Ma è anche una mostra che porta Venezia all’intero delle sue sale. Lo fa proprio con i testi di Henry (Henriette) Perl, insieme descrittivi ed evocativi, riprodotti accanto ai dipinti di Italico Brass in una sorta di dialogo a distanza tra due innamorati della città e della sua gente. In mostra sono un centinaio di opere, di cui molte inedite e finalmente visibili, parte del lascito dell’artista alla famiglia (Italico è il nonno del regista Tinto Brass).
Tutte insieme ricreano una sorta di grande «poema pittorico», allestite («ambientate») quasi in forma di quadreria storica nei saloni di Palazzo Loredan: ora su cavalletti o dentro teche e vetrine, ora appese a supporti arricchiti anche di tessuti damascati. In un’epoca in cui la città si avviava a essere una meta irrinunciabile del turismo internazionale (fenomeno sempre più di massa e non solo riservato alle élite colte e benestanti), «quelle che Brass ha consegnato alla memoria collettiva – scriveva nel 1991 Giuseppe Maria Pilo – sono probabilmente le ultime immagini di una Venezia che apparteneva ancora ai veneziani, che non viveva (moriva) ancora di turismo». La sua è una Venezia antiretorica e antinostalgica, quotidiana e autentica, in cui a essere protagonista è sempre la gente (gente normale, seppure in una città speciale), sullo sfondo dei cieli sontuosi della laguna, dei monumenti e dei caffè storici, di ponti e rii, campi e campielli.
Per illustrare «il mondo di Brass», la mostra segue i suoi luoghi, sempre en plein air: quelli in cui si svolge la vita quotidiana e in cui si allestiscono le grandi feste cittadine, le processioni, i falò, i rituali del caffè in piazza, le chiacchiere negli spazi urbani vissuti da tutti. Si parte idealmente da San Trovaso per proseguire a Punta della Dogana e Basilica della Salute, al Canal Grande, e poi via via San Marco, Castello. E poi il Lido, Murano e Burano, per poi tornare in città alle Zattere, a Santa Margherita, a Rialto... Due opere presentano la Casetta di San Trovaso, sua residenza dal 1906, ritratta prima dell’acquisto e sotto la neve, nel 1919. Cinque olii su tela e su tavola sono dedicati all’Abbazia Vecchia della Misericordia, che lo stesso Brass ha voluto restaurare, dopo i bombardamenti del 1918, per trasformarla nel suo atelier e in luogo d’incontro di artisti, giornalisti e intellettuali, oltre che sede della sua raccolta di arte antica italiana.
A lui, attento collezionista e studioso, ma anche mercante d’arte, si devono tra l’altro la riscoperta di artisti come Magnasco e la valorizzazione di Arcimboldo e Pordenone. Inevitabilmente, l’opera di documentazione compiuta da Italico Brass dà testimonianza anche dei fatti più o meno memorabili della città. È il caso dell’olio su tela La banda in Piazza San Marco (1909), che mostra il campanile in cantiere, ma quasi completamente ricostruito dopo il crollo del 14 luglio 1902. O del più tardo San Marco in guerra (1916), in cui Brass ritrae la facciata della Basilica mentre viene rivestita di alte impalcature di legno per proteggerne i preziosi mosaici da eventuali bombardamenti .