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 2023  novembre 04 Sabato calendario

Marco Buticchi e Bernard Cornwell, faccia a faccia su Napoleone e le opere d’arte predate



MARCO BUTICCHI
L’oro degli dei
LONGANESI
Pagine 450, e 22

BERNARD CORNWELL
La conquista di Parigi
Traduzione di Paola Merla
LONGANESI
Pagine 450, e 22

Gli autori
Marco Buticchi (La Spezia, 1957; in alto nella foto di Beatrice Buticchi) è autore di numerosi romanzi storici e d’avventura, tra i quali spicca la saga in 16 romanzi, edita da Longanesi, che vede come protagonisti l’agente del Mossad Oswald Breil e l’archeologa italiana Sara Terracini, indagatori di misteri che si dipanano in epoche diverse, al tempo di Napoleone o nell’antichità greca e latina. Il primo volume, Le pietre della luna, è del 1997. Il nuovo romanzo L’oro degli dei è il sedicesimo della serie. Anche il britannico Bernard Cornwell (Londra, 1944; nella seconda foto dall’alto) è un prolifico scrittore di romanzi storici. Tra le opere, la saga del soldato Richard Sharpe, che si batte anche contro l’esercito napoleonico, a cominciare da La sfida della tigre (Longanesi, 2001) fino al nuovo La conquista di Parigi. Cornwell è anche autore del ciclo di Excalibur, a partire da Il re d’inverno (Mondadori, 1998), e della quadrilogia del Santo Graal, iniziata con L’arciere del re (Longanesi 2001, Tea 2003)
Due romanzi storici ambientati durante le guerre napoleoniche raccontano l’atmosfera dell’Europa alle prese con il generale francese: il romanzo di Marco Buticchi L’oro degli dei (Longanesi) si svolge nel 1802 e narra la «guerra di spie» napoleoniche intorno all’impresa dell’inglese Thomas Bruce, conte di Elgin, che ha caricato sul brigantino Mentor i marmi del Partenone e fatto rotta verso l’Inghilterra. In quel momento Napoleone non è ancora imperatore, e lo scrittore lo coglie nel pieno del sogno di conquista. Il romanzo dell’inglese Bernard Cornwell La conquista di Parigi (Longanesi) si apre nel 1815, a Waterloo, dove Napoleone è stato sconfitto, e segue un drappello di inglesi comandati dal tenente colonnello Sharpe fino a Parigi, dove occorre recuperare le opere d’arte sottratte dall’esercito francese durante le campagne di conquista. La guerra e il bottino di guerra sono, in modi diversi, al centro dei due romanzi, sui quali si staglia, assoluta, la figura di Napoleone.

Dopo avere raccontato le sue imprese e il suo tempo, quale giudizio avete su Bonaparte?
MARCO BUTICCHI — Napoleone è sicuramente uno tra i più grandi strateghi che la storia ricordi. Secondo me ha riportato gli schemi della battaglia a valori matematici, densi di variabili certo, ma sempre matematici. E come suppliva lui all’incertezza delle variabili? Be’, da un lato costruendo una tra le più importanti reti di spie che mai si siano realizzate nel mondo moderno. Lui stesso diceva che è meglio una spia nel posto giusto che ventimila uomini al fronte: ecco quale importanza assegnava allo spionaggio. Dall’altro lato, Napoleone faceva un grande uso della propaganda.
In che senso?
MARCO BUTICCHI — Pensate alla campagna d’Egitto, che nella realtà è uno sfacelo, un disastro. Lui porta trentamila uomini in mezzo al deserto, a trascinare i cannoni a forza di braccia, con un caldo infernale e gli insetti che se li mangiano, perché vuole arrivare all’India per spaccare le reni all’Inghilterra e alla sua massima colonia. Ovviamente non ci arriverà mai, le ha buscate in Siria, le ha buscate ovunque, però noi ancora oggi ci ricordiamo che la campagna napoleonica d’Egitto non è stata un macello, ma una campagna piena di sogni e meraviglie. Perché il furbacchione si porta appresso i 167 savant («sapienti, scienziati»), specializzati in diverse materie, da quelle scientifiche a quelle storiche e all’archeologia in particolare, che ci regalano una straordinaria finestra sul mondo antico egizio. Riesce a sopperire al disastro militare della campagna d’Egitto facendo sognare il mondo per diverse generazioni.
BERNARD CORNWELL — Sono d’accordo su quasi tutto, con un’unica eccezione: i servizi di spionaggio inglesi erano migliori. Cinque anni fa lo storico Andrew Roberts ha pubblicato un libro in Inghilterra, Napoleon the Great (in Italia uscito quest’anno per Utet con il titolo Napoleone il Grande), e questo titolo è stato come un grande schiaffo in faccia per gli inglesi, perché li ha costretti a ripensare la figura di Napoleone. E io concordo con Roberts, anch’io penso che Napoleone fosse davvero un grande. Con un grosso problema, però: era innamorato della guerra. Era un uomo incredibilmente intelligente, e un lavoratore indefesso, si svegliava molto presto al mattino e seguitava a lavorare per tutta la giornata; era celebre per la sua etica del lavoro. Ma io credo che si annoiasse molto facilmente, e la cosa che non mancava mai di divertirlo era la guerra. Amava imporre il suo volere: il duca di Wellington una volta disse che la sola presenza di Napoleone sul campo di battaglia valeva più di quarantamila uomini... il che non gli ha impedito di batterlo, ovviamente. Ma io credo che la sua grandezza fu l’intelligenza: cioè quel che ha fatto per riorganizzare il governo statale, l’amministrazione locale e il sistema dell’educazione. Intendo: molte di queste riforme sono ancora in auge oggi. Gli italiani hanno avuto molti motivi per detestarlo, perché ha portato via tutto ciò che poteva dai musei, dai palazzi. Però sono d’accordo: era un grande, quasi un uomo del Rinascimento, un riformatore. Ma era troppo innamorato della guerra. Si è poi rovinato nel 1812 con l’invasione della Russia e, pur rimanendo un grande generale, nel 1814 è collassato. Una storia triste, alla fine, perché era un grande e si è annientato con la guerra.
I due romanzi affrontano la questione dell’arte che diventa bottino in tempo di guerra. Oltre cinquemila opere dopo il 1815 vennero restituite dalla Francia ai proprietari in tutta Europa, mentre ancora si discute dei marmi del Partenone prelevati da Elgin.
MARCO BUTICCHI — Bisogna per prima cosa entrare nella psicologia del personaggio, il generale Bonaparte. Per lui, annientare un popolo sconfitto significava privarlo della storia. Guardate quanto importante è la radice di un popolo. Se agli italiani togli i fasti romani, crolla anche il fascismo: pensate quanto si può, togliendo una parte del sangue di un popolo, riuscire a condizionare anche il presente. Per inciso, è vero che Elgin fa ciò che vuole, ma ha dalla sua un «firmano» (un decreto del sultano) di Selim III per portare via dall’Acropoli tutto quello che non dia fastidio ai militari. Tralasciando il Louvre napoleonico, lo scempio nazista, e tutti coloro che hanno infierito sulle culture di popoli sottomessi con le armi, bisogna sempre prendere visione del momento storico e del contesto in cui si svolge la vicenda. Elgin depreda un Partenone che è stato cannoneggiato da Francesco Morosini nel 1687 e fatto saltare in aria dai veneziani della Serenissima. Forse è stato giusto vedere Elgin come un eroe della patria che salva una civiltà dall’oblio, ed è vero anche che – finita la contingente emergenza – i pezzi potrebbero tornare alla proprietà (anche se non necessariamente al luogo) d’origine. Non per questo dobbiamo smantellare il Louvre, il British Museum o il Museo Egizio di Torino.
BERNARD CORNWELL — Io farei l’esempio dei quattro cavalli di Costantinopoli, presi dall’Italia e portati a Venezia, che Napoleone rimosse e portò a Parigi. Dopodiché gli inglesi li rimisero a San Marco e in più pagarono anche il trasporto. Uno dei motivi per cui Napoleone collezionava oggetti d’arte (be’, più che collezionarli li rubava) era perché aveva la strana convinzione che Parigi fosse il vero grande centro della civilizzazione, e quindi dovesse possedere i più grandi esempi della civiltà con la finalità di mostrarli al mondo: il Louvre naturalmente ringrazia.

Napoleone ha precipitato l’Europa in oltre un decennio di guerre. L’Europa, orgogliosa di avere garantito la pace dalla Seconda guerra mondiale fino a pochi anni fa, ha radici nella guerra?
MARCO BUTICCHI — Noi non abbiamo creato decenni di pace, abbiamo soltanto spostato il fronte altrove. Come per il Medio Oriente che oggi esplode. Per inciso, lì ho una teoria personale: mi sembra assurdo che i servizi segreti più potenti al mondo, Mossad e Shin Bet, si siano fatti passare sotto il naso lungo la striscia di Gaza diecimila missili e migliaia di terroristi pronti a entrare in azione; c’è un disegno più grosso che coinvolge probabilmente l’Iran: vedo una situazione internazionale che mi fa molta paura. Comunque. La nostra non è una pace vera, ripeto: abbiamo spostato il fronte altrove, continuando a depredare l’Africa, continuando a fare guerre in Medio Oriente e contemporaneamente continuando a servire con le nostre armi coloro che si fanno guerra. Il fatto che Napoleone abbia basato il proprio mondo, e l’Europa abbia basato quel mondo, sulla guerra, non deve stupirci, perché la storia in fondo è fatta di guerre: la storia ce la racconta sempre chi ha vinto, quindi è fallace e bisogna andare a rivedersela a posteriori per rimettere tutte le storture al loro posto. E di Napoleoni, ahimè, ne vedo tanti, ancora oggi; ma non con lo stesso carisma.
BERNARD CORNWELL — Per fortuna Putin non è Napoleone. Ma che la storia d’Europa sia una storia di guerre, be’, c’è certamente del vero in questo: tra l’altro per l’Inghilterra il nemico era la Francia, quasi in ogni guerra in Europa la Gran Bretagna si è schierata con chiunque fosse nemico dei francesi. Ma io penso che l’Unione europea sia stato un grande successo, e avrei voluto che l’Inghilterra rimanesse «dentro»: penso che la Brexit sia stato il classico esempio di una nazione che si spara in un piede da sola. Penso che l’Europa sia più potente, e sia anche un posto migliore, grazie all’Unione europea. D’altro lato, in Europa attualmente c’è una guerra, una guerra terribile, in Ucraina, terribile tanto quanto quella del Medio Oriente. Secondo me l’Unione europea dovrebbe giocare un ruolo di peacekeeping più forte in futuro: guardiamo agli Stati Uniti come alla potenza che può aiutare a mantenere la pace a livello internazionale, ma secondo me l’Europa può e deve aiutare, lo sta facendo sicuramente per l’Ucraina e spero che possa continuare a farlo. Lo stesso Napoleone voleva un’Europa unita: peccato solo che la volesse francese. E sono contento che non sia successo.
Cornwell, nel suo romanzo un ufficiale inglese, Sharpe, eroe a Waterloo, deve proteggere un agente che a Parigi vuole recuperare l’arte rubata da Bonaparte: lui stesso è un piccolo Napoleone. Nel suo libro, Buticchi, le spie francesi cercano di intercettare i marmi presi da Elgin. Una guerra in altre forme.
BERNARD CORNWELL — Sharpe è un eroe, ovviamente. È un po’ cattivello, certo, ma sta dalla nostra parte. Le guerre napoleoniche per gli inglesi sono state una grande battaglia e un’enorme sfida, proprio perché alla fine hanno creato in qualche modo il mito fondante della nostra nazione. Cioè, soltanto dopo gli attacchi di Napoleone ci siamo sentiti veramente uniti (anche se questo ora si sta un po’ disgregando). Napoleone era visto come una forte minaccia: gli inglesi sono sempre stati terrorizzati dal pericolo dell’invasione. Addirittura, Bonaparte fece costruire un monumento che celebrava la conquista dell’Inghilterra, prima ancora di tentarla (la colonna trionfale eretta a Boulogne per celebrare in anticipo il successo dell’invasione dell’Inghilterra, ndr). Così ho deciso di utilizzare quel periodo storico per il mio romanzo, perché lo considero un periodo molto interessante e perché forniva uno sfondo potente per il mio eroe, che ha più vite di una cesta piena di gatti.
MARCO BUTICCHI — Premetto che nel mio libro, oltre alla vicenda ottocentesca dei marmi, si racconta anche dell’accusa a Fidia, il più grande scultore dell’antichità, incolpato di avere rubato l’oro della statua crisoelefantina dell’Acropoli, gettato in carcere e morto senza raccontarci la verità. Quell’oro era ancora in giro? Poi narro il naufragio del Mentor, la nave di Elgin, e l’idea di fare recuperare i marmi del Partenone ai pescatori di spugne di Kalymnos. Poi, a proposito di inglesi e francesi: è vero che questi marmi interessavano all’inverosimile a Napoleone. Tant’è che appena gli capita a tiro il conte di Elgin, Napoleone lo fa incarcerare per ben tre volte, e lo tiene in ostaggio in Francia per diversi anni. Lo faceva interrogare ogni tanto, e gli chiedeva: mi vendi i marmi per venti-trentamila sterline? Anche qui Bonaparte mostra quanto sa, quanto è informato: perché gli offre precisamente la cifra che Elgin aveva speso per la spedizione. E io aggiungo, malizioso: con tutto quello che oltre ai marmi il brigantino Mentor poteva contenere.

Ha impressionato il mondo la distruzione del sito di Palmira in Siria da parte dell’Isis, nel 2015. Non è più impossessarsi dell’arte e della storia, come Napoleone ed Elgin, è distruggerla.
BERNARD CORNWELL — Sono barbari, assoluti barbari. Ma questa è l’immagine dell’odio per l’Occidente.
MARCO BUTICCHI — Vi ricordate quel bellissimo film, I ragazzi venuti dal Brasile, in cui i nazisti avevano rapito i bambini? Quel che accade adesso in Ucraina: i russi portano via i bambini e forniscono un’educazione conforme al loro volere. Non mi stupisce che ci siano ancora guerre, mi stupisce che con la scomparsa dei nostri vecchi noi andiamo perdendo il ricordo del secondo conflitto mondiale, accaduto un attimo fa. Non mi capacito nel vedere il mondo moderno che si infila ancora nei conflitti sanguinari del mondo antico. Il sale sparso sulle rovine incendiate, accade anche oggi, guardate che cosa ne è di Gaza e dei kibbutz assaltati. Siamo nel terzo millennio e dobbiamo ancora vedere queste cose.
BERNARD CORNWELL — Diceva un saggio che chi non ricorda la storia è destinato a riviverla. Sì, è scioccante vedere quel che succede a Gaza e Israele, e in Ucraina.
MARCO BUTICCHI — Penso che l’investimento di vita nella cultura non sia mai abbastanza.
BERNARD CORNWELL — Io sospetto che la guerra scaturisca sempre dall’odio etnico o dal fanatismo religioso, che sempre colpiscono la cultura. Mi stupisce che negli ultimi duecento anni la Monna Lisa sia rimasta dov’è: a un certo punto avrebbe potuto finire tranquillamente nella Germania nazista...
MARCO BUTICCHI — Distruggendo Palmira, o rubando le opere d’arte, tu umili il tuo nemico. Non so se è peggio rubare o distruggere.
BERNARD CORNWELL — La distruzione è peggiore. I marmi del Partenone, comunque, esistono ancora e potrebbero un giorno anche essere restituiti.