La Lettura, 4 novembre 2023
Su Napoleone Bonaparte
Tempi difficili per Napoleone Bonaparte: in Italia si rincorrono le accuse di avere dominato con il pugno di ferro la penisola, di averla impoverita per finanziare le sue guerre, di averla depredata del patrimonio culturale, mentre nessuno sembra dare peso alla sua campagna militare che pose fine all’asfissia sociale dell’antico regime. In Francia, le cose gli vanno se possibile ancora peggio, perché sul suo capo fioccano le accuse di avere reintrodotto la schiavitù e di essere quindi stato colonialista e razzista al tempo stesso.
La sua stessa dimensione rivoluzionaria – mai avrebbe rinnegato di essere figlio del 1789 – viene molto contestata ricordandone la scelta di farsi imperatore e distribuire titoli sovrani tra i familiari. Non va meglio alla sua eredità politica, perché si sottolinea che i diversi movimenti nazionali d’Europa rifiutarono gli anni napoleonici come una stagione dai tratti insopportabilmente accentratori. Insomma, la popolarità di Bonaparte resta forte solo nel campo militare, dove non si può negare la genialità dell’uomo d’armi, che cambiò il modo di fare la guerra e consacrò sui campi di battaglia la propria leggenda.
Napoleone, non di meno, fu molto più di un grande condottiero: basterebbe ricordarne l’azione legislativa e di governo (grandiosa e duratura), o la genialità politica – il suo sistema di potere avrebbe affascinato le migliori menti d’Europa – oppure la sensibilità culturale, che lo fece sempre attento agli sviluppi del sapere. Potremmo proseguire, ma il giudizio negativo comunque resterebbe, perché – a ben vedere – le sfortune di Bonaparte dipendono da quelle della Rivoluzione francese cui tutto doveva e alla quale si nega ormai centralità nella costruzione del tempo presente. Così, se il 1789 non è più la data d’avvio della modernità, Napoleone, che ne rivendicava l’eredità, non può che uscirne a sua volta molto sminuito.
Sarebbe però utile rovesciare i termini della questione e chiedersi se, proprio guardando al nostro drammatico presente, una diversa lettura della figura di Bonaparte non possa restituire rilievo anche alla stagione di cui fu interprete e che vide la nascita della moderna democrazia politica. A questo proposito, ricordiamo la geniale contraddittorietà dell’uomo: nutriva insofferenza verso il dissenso e avrebbe sempre governato dall’alto, ma la sua azione sempre si richiamò alla sovranità popolare sancita dal 1789, tanto da legittimare con tre diversi plebisciti le proprie scelte istituzionali. Per questo motivo, mai gli mancò il consenso: convinse i francesi (e non solo) di essere l’uomo della nazione, si propose come l’eroe vittorioso, ma soprattutto come il politico capace di conciliare la rivoluzione con la necessità di una ferrea forma di governo. Gli riuscì un gioco di prestigio, certo: ma quell’impossibile equilibrio dovrebbe ricordare al nostro presente come le pratiche di libertà e i modelli autoritari di governo siano le due facce della medaglia uscita dal conio della democrazia.