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 2023  novembre 04 Sabato calendario

MEDIOBANCA, L’AMORALE DELLA FAVA – PAOLO PANERAI: È FINITA IN POLVERE LA SFIDA A NAGEL DI MILLERI, MALGESTITA (VEDI ENPAM) DA CALTAGIRONE, SMANIOSO DI RIFARSI DALLA SCONFITTA IN GENERALI DI UN ANNO FA - MA IL PEGGIO DEVE ARRIVARE: LE NUOVE REGOLE DEL DDL CAPITALI, PROMOSSE DA CALTA-FAZZOLARI-MELONI, ESPORREBBERO FRA UN ANNO E MEZZO ALL’INGOVERNABILITÀ PRIMA GENERALI E POI TRA TRE ANNI QUELLO DI MEDIOBANCA - NON SOLO: MOLTE ALTRE SOCIETÀ SI TROVEREBBERO PENALIZZATE SENZA UNA MAGGIORANZA ASSOLUTA E GLI INVESTITORI INTERNAZIONALI NON SI AZZARDEREBBERO A METTERE I PROPRI CAPITALI IN IMPRESE ITALIANE -

………………………………………. Ma che bel risultato, alla fine, per il gruppo Del Vecchio: poteva avere quattro consiglieri di Mediobanca (questa era l’offerta di Alberto Nagel a Francesco Milleri capo del gruppo degli occhiali), ne ha ottenuti ai voti solo due. Che cosa è successo?

Un fatto molto semplice: non ha funzionato il fronte romano, perché ai voti diretti dell’alleato Francesco Gaetano Caltagirone (poco sotto il 10%) dovevano sommarsi i voti di Enpam, l’ente di previdenza dei medici presieduta da Alberto Oliveti che doveva avere il 2% invece si è fermato all’1,2%; a spingere per arrivare all’obiettivo del 2% erano sia il presidente Oliveti, che nel 2024 dovrebbe scadere e al quale era stato promesso un cambio di statuto, ma anche il direttore generale Domenico Pimpinella, che ambisce a diventare ad di F2i al posto di Renato Ravanelli, essendo l’ente uno dei soci del fondo.

A gestire tutta questa partita doveva essere Raffaele Ranucci, ex senatore da sempre molto vicino a Caltagirone, ex-machina della vicenda. Perché l’operazione non ha funzionato? Perché dal ministero dell’economia, sia il ministro Giancarlo Giorgetti sia il sottosegretario Federico Freni hanno avvisato che enti di previdenza come Enpam non dovevano immischiarsi superando l’1,2% acquistato, mentre F2i, che è il fondo delle infrastrutture, deve casomai impegnarsi nell’operazione per la rete di Tim che Giorgetti, saggiamente, vuole abbia una partecipazione importante italiana e dello stato, se la maggioranza passerà a Kkr.

La riprova dell’intervento diretto del governo, che ha stoppato il disegno dell’uso di Enpam e della strumentalizzazione di F2i per sconfiggere la lista del consiglio d’amministrazione di Mediobanca, è il fatto che Poste non ha esercitato il voto in assemblea con la quota che aveva rastrellato proprio nell’imminenza dell’adunanza.

Ma se formalmente lo sconfitto è il capo del gruppo Del Vecchio, Milleri, altrettanto sconfitto è Caltagirone che con il suo potere a Roma aveva organizzato le varie mosse su Enpam e su Poste. Positivo o negativo?

Il positivo è che un ministro serio e preparato (non solo perché è bocconiano) come Giorgetti e un sottosegretario altrettanto preparato come Freni, avvocato di diritto finanziario, hanno impedito che per interessi di parte, Mediobanca, che opera nel contesto delle prassi e delle regole internazionali, finisse sotto scacco dei poteri esogeni. Il negativo è tuttavia all’orizzonte. Se fossero già state applicate le nuove regole del Ddl Capitali, come sarebbe andata a finire la battaglia per il cda di Mediobanca?

Se con le nuove norme (che potrebbero entrare in vigore nel 2024) Delfin avesse presentato lista lunga (sette consiglieri), avrebbe avuto diretto a 6,26 consiglieri (arrotondando equivale a 6 consiglieri) e Assogestioni uno. La lista del Cda ne avrebbe avute otto, quindi maggioranza di un solo consigliere nonostante la vistosa differenza.

Ma poniamo che all’assemblea appena tenutasi Benetton (2,2%) avesse votato con Delfin e Caltagirone invece che con il consiglio uscente: la lista del cda avrebbe ottenuto il 50,4%, quindi avrebbe avuto ugualmente la maggioranza. Ma in quel caso la quota Delfin sarebbe salita al 43,94%, quindi, pur perdendo, avrebbe avuto diritto a 6,59 consiglieri, che arrotondando avrebbe voluto dire 7 consiglieri, cioè quanti la lista del Cda e Assogestioni, con 1 consigliere, sarebbe diventato l’ago della bilancia. Stessa storia per le Generali, il cui consiglio è di 13 membri. Lo scorso anno la lista del Cda ha ottenuto il 55,99% dei voti presenti in assemblea, la lista Caltagirone-Del Vecchio il 41,72% mentre Assogestioni l’1,93%.

Non avendo superato lo sbarramento del 3% , il consigliere di Assogestioni con le nuove norme sarebbe confluito nella lista Caltagirone, perché quest’ultima avrebbe conseguito il 43,65% dei voti dell’assemblea, che applicato ai 13 consiglieri equivale a 6,59, con arrotondamento a sette. Quindi alla lista del Cda sarebbero spettati sette consiglieri e alla lista Caltagirone-Delfin (in Generali ha più voti Caltagirone di Delfin) sei consiglieri.

Quindi, nonostante una differenza del 14,3% rispetto alla seconda lista, la lista del Cda, con le regole del DDL, avrebbe ottenuto solo un consigliere in più. Non basta: i sette consiglieri della lista del Cda, il base al Ddl, sarebbero scelti per di più nell’ordine di gradimento ottenuto per singolo consigliere dall’assemblea, compreso il presidente e l’amministratore delegato indicati nella lista del Cda.

Se poi le nuove norme entrassero effettivamente in vigore come sono ora, c’è da attendersi anche un mercato delle vacche nell’ambito della lista del Cda nei 40 giorni tra pubblicazione lista e data dell’assemblea. Perché la lista deve essere di 1/3 più lunga del numero di posti del consiglio e per esser certi di entrare in cda i candidati hanno bisogno anche del voto delle minoranze, quando si passerà al voto di gradimento singolo.

Entrerebbero quelli che hanno il maggior numero di voti, quindi se per ipotesi Caltagirone e Delfin in Generali votassero a favore di alcuni consiglieri della lista del Cda, anche dando per scontato il voto favorevole della maggioranza che ha votato per la lista del Cda, a passare sarebbero per certo quelli che hanno avuto i voti a favore da Caltagirone e da Delfin…

Chiedo scusa ai lettori per questo rompicapo, ma tutto ciò dimostra come il Ddl così com’è non dovrebbe passare perché, se passasse, il consiglio d’amministrazione di due delle più importanti istituzioni finanziarie private del paese potrebbero essere destinate all’ingovernabilità.

Passata la sfida romana, gestita da Caltagirone per cercare di rifarsi dalla sconfitta di un anno e mezzo fa in Generali, il governo in primo luogo e, non in secondo, il parlamento dovrebbero pensarci bene prima di esporre all’ingovernabilità prima Generali, il cui consiglio sarà da rinnovare fra un anno e mezzo e poi tra tre anni quello di Mediobanca. Ma non solo: molte altre società si troverebbero penalizzate senza una maggioranza assoluta, determinando una inevitabile ingovernabilità.

Così l’Italia, che è già un nano per quanto riguarda il mercato finanziario borsistico, diventerebbe anche una giungla dove gli investitori internazionali non si azzarderebbero a mettere i propri capitali. Quindi, Signor Ministro Giorgetti, pur con tutti i problemi che ha, faccia capire alla Sua maggioranza il rischio che il mercato finanziario correrebbe, se il Ddl entrasse in vigore senza modifiche.

P.S. Ricordando il proverbio per cui tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, un acuto banchiere d’affari mi ha segnalato che il voto unitario del 32% può avere conseguenze opa per chi lo ha composto, ma sicuramente ne potrà avere Delfin che è stata autorizzata dalla Bce a non superare il 20% di capitale di Mediobanca, diversamente dovendo essa stessa Delfin essere sottoposta alla pesantissima regolamentazione e controllo delle banche da parte di Francoforte. Di fatto, sia pure con Caltagirone e l’ente di previdenza dei medici, nella votazione del 29 ottobre Delfin ha superato la soglia stabilita da Bce, in quanto asse portante del voto assembleare.