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 2023  novembre 04 Sabato calendario

"I FUMETTI NELL'AUTOBUS SONO STATI LA MIA PRIMA SCUOLA DI CINEMA" - TOM HANKS RACCONTA LA SUA VITA IN UN LIBRO: "I FUMETTI SONO COME SCENEGGIATURE. MI ISPIRO ANCHE ALLE LETTERE CHE MIO PADRE INVIAVA ALLA MADRE QUANDO ERA IN GUERRA" - GLI INSEGNAMENTI DI ROBERT ZEMECKIS, IL RISCHIO INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LA PROFESSIONE DI ATTORE, LA CANCEL CULTURE CHE DILAGA A HOLLYWOOD E I CELLULARI: "HANNO DISTRUTTO QUALSIASI TIPO DI PASTO CHE CONDIVIDI CON GLI ALTRI” -

Tom Hanks (1956, Concord, California) è apparso per la prima volta in televisione nel 1980, in Henry e Kip della ABC, e al cinema nel 1984 con Splash -Una sirena a Manhattan. Ha vinto due Oscar, per Philadelphia (1994) e per Forrest Gump (1995). La sua raccolta di racconti, Tipi non comuni, è stata pubblicata da Bompiani nel 2017. Nascita di un capolavoro del cinema (Bompiani) è il primo romanzo, accompagnato dai fumetti scritti da Hanks e illustrati da R. Sikoryak

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Qual è il segreto di questo processo? «Il fatto che nessuno deve diventare un problema, perché bisogna risolvere problemi di ogni tipo durante la lavorazione di un film».

Le grandi storie, che sia Quarto potere di Welles o Batman, hanno sempre radici nell'infanzia? «Tutti i grandi scrittori ei grandi registi che conosco hanno un evento, un incontro o un'immagine misteriosa che impiegano anni per far germogliare». […]

Non le piaceva studiare i libri di scuola? «A leggere un fumetto ti bastano 20minuti, io avevo a disposizione ore e ore, quindi li studiavo. Sono fatti a blocchi, hanno ritmo narrativo, sono come sceneggiature: molto visivi, tante azioni, dialoghi rapidi e le nuvolette che mostrano i pensieri. E poi erano letture in movimento. Sull'autobus la mia mente vagava fuori dal finestrino, il mondo sfrecciava negli scenari di persone in auto, camion, case all'orizzonte, aeroplani nel cielo, montagne in lontananza e la mia mente inventava sempre storie su ciò che vedevo. E quello che vedevo, così come quello che immaginavo, essenzialmente passava attraverso o si rifletteva in un rettangolo di vetro, il finestrino».

Come uno schermo? «Esatto. I fumetti nell'autobus sono stati la mia prima scuola di cinema. I paesaggi lontani erano un campo lunghissimo, poi poteva spuntarti da vicino l'autista di un camion che sorpassi, lentamente, lo vedi bene perché stai in alto come lui, da vicino, un primo piano, vedi se canta, fuma, beve caffè, da come è vestito, dall'età immagini che vita fa, ti ricorda un insegnante, il tuo patrigno... finito per chiedermi da dove viene? A cosa stai pensando? Dove sta andando? Com'è la sua vita? Idem da grande, andando da mia madre, se al semaforo si affiancava unmotociclistami chiedevo: da dove viene? Da cosa scappa?».

Uno dei motori del romanzo sono le lettere che zio Bob, che ha combattuto i giapponesi nel Pacifico, scrive a casa. Lei in famiglia ha lettere simili? «Quando è morto mio padre, a mio fratello maggiore è arrivata una scatola con effetti personali, lui e mio padre erano molto vicini; e c'era anche la posta che mio padre mandava a sua madre quando lui era in guerra, in Marina, da qualche parte nel Pacificomeridionale. Ricordo una vmail, dove V stava per vittoria, una lettera che era microfilmata e poi stampata. La calligrafia era di mio padre, brutta quanto la mia. In quella lettera non ha detto assolutamente nulla. Ma ha anche detto assolutamente tutto della sua esperienza, a parte dove si trovava, che non era permesso dire. Lo spazio nella lettera era poco. Diceva: “Sono in un posto affollato e un gruppo di ragazzi sta parlando di razzi, astronavi e di andare su Marte”. Per i nemici ha usato la parola “Jap” (dispregiativa, ndr). E poi: «Non credo che farò nessuna di queste cose per un bel po' di tempo».

Nella lettera c'era il rapporto di mio padre con sua madre, problematico, il rapporto di mio padre con laMarina, il periodo più infelice della sua vita, e la descrizione di quella che chiamiamo stasi: aveva 19 anni, tutta la vita davanti, ma non sapeva per quanto tempo sarebbe dovuto restare lì. Beh, quella lettera è incorniciata nel mio ufficio, la conservo per i miei nipoti e mi ricorda due cose: quanto poco di tutta la tua vita potevi comunicare in uno spazio ristretto, e il potere con cui poche parole possono esprimere il tono e il carattere di una relazione. Un documento straordinario, nonmeno di un libro di 400 pagine».

Il libro è anche una risposta a quella lettera? «In un certo senso sì». […]

Tornando al fuoco civile, penso al suo Chuck Noland in Cast Away, quando accende un fuoco. In quel filmc'è un pacco che il naufrago non aprirà mai, anche se è su un'isola deserta: spera di consegnarlo, se tornerà a casa. Cosa c'era dentro? «Al regista Zemeckis piace dire che c'era un telefono satellitare con pannelli solari... ma così lo usava e lo venivano a salvare... la storia finisce lì. Per me dentro c'è la stessa cosa che c'è nel Falcone Maltese o nel monolite in2001, Odissea nello spazio. Il McGuffin ha la stessa stoffa dei sogni: il contenuto della scatola è più sorprendente e stimolante di qualsiasi cosa specifica. Per me, dentro c'è la vastità dell'ispirazione e della speranza. Ciò di cui abbiamo bisogno. Il cinema. E poi: il cellulare a noi ha rovinato la vita...».

In che senso? «I telefoni hanno distrutto qualsiasi tipo di pasto che condividi con gli altri, il telefono è fatto per attirare la tua attenzione, ti distrae, distrae gli altri...».

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Giorni fa lei ha denunciato che hanno usato la sua faccia e la sua voce, alterata dall'intelligenza artificiale, per la pubblicità di uno studio dentale... «In realtà non c'era nessun studio dentale lì. Stavano usando una mia versione fake per provare a rubare informazioni personali a chi avesse creduto allo spot... Me lo aspettavo, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Sono laico e storico, abbiamo già vissuto questi choc... Pensiamo all'aneddoto per cui di fronte a un treno che vedevano proiettato per la prima volta in un caffé francese alcuni spettatori sarebbero usciti dalla sala come se davvero ci fosse un treno in arrivo . O pensiamo a chi per la prima volta ha sentito delle voci uscire dalla radio... L'AI è qualcosa di simile. Internet è una grande piazza cittadina, reale, dove possono andare tutti. A manifestare, comunicare idee, a vendere la propria merce, anche notizie false e rubare. Bisogna stare attenti ai ladri».

[…] Ha detto che Philadelphia, film su un avvocato gay che soffre di AIDS, oggi lo dovrebbe interpretare un gay. All'epoca un attore etero serviva a non spaventare il pubblico? Lei vinse un Oscar... «Erano gli Anni 90 c'era una volontà diffusa di far finta che l'Aids non esistesse, idee di ogni tipo sulla sua origine, le responsabilità... Il film competeva sul mercato e aveva senso che il personaggio fosse fatto da un attore non gay. Oggi è diverso, c'è un tipo di legittimità che dice: perché qualcuno dovrebbe fingere di essere qualcosa che non è per rendere una storia più appetibile? Vale a livello etnico, di genere, sessuale... Siamo tutti bambini grandi adesso, e da un lato significativo, incredibilmente, accettiamo molto di più chi sono le persone e come affrontarle».

Lo scopo di chi recita non è mettersi e metterci nei panni degli altri? La cancel culture contro l'appropriazione culturale rischiando di impedirlo. «Proviamo con l'arte. Anni fa è stato esposto L'origine del mondo negli Usa, un dipinto così scioccante che alcuni, disgustati, chiedevano fossero rimossi. Altri ribattevano esaltandolo. Io, invece, mi chiedo: cosa può fare di male al mondo di qualcuno una rappresentazione bidimensionale della vagina di una donna?

Certi frammenti di creatività stimolano le passioni, e le passioni non sono giuste al 100% e non sono sbagliate al 100%, ma sono individuali al 100% e animano opinioni. Ci sarà sempre chi dice: come osi raccontare questa storia? C'è dell'estremismo, sì,ma poi il pendolo andrà dall'altra parte, speriamo non troppo. Oggi noi siamo in grado di gestire il mezzo e il messaggio dobbiamo farlo. Io punto al livello intermedio, in cui tutti si calmano e capiscono che una cosa che non piace non va presa come un'offesa. Nei dibattiti sull'appropriazione culturale invece le persone o non prestano attenzione perché stanno urlando troppo o stanno urlando perché nessuno presta attenzione».