il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2023
Le commedie scorrette non si possono più fare
Pigliano per il telefono il presidente del Consiglio Meloni, e il cinema che ci assiste non è qui e ora, ma datato, persino antico: il ragioniere Ugo con l’accento svedese di Fantozzi contro tutti del 1980 o, ancora più ficcante, il sedicente ambasciatore del Catonga con blackface e anello al naso di Totò truffa ’62. Se due titoli fanno una prova, quando si stava peggio, in termini di politicamente corretto, si stava meglio, per incidenza e persistenza nell’immaginario collettivo. Revisiona ieri, cassa oggi e autocensura domani, l’audiovisivo attuale rassomiglia il latte: pastorizzato, scremato e scade fra tre giorni.
“I filtri applicati a film e serie non rendono giustizia, non danno un’immagine nitida della realtà”, osserva Carlo Verdone, che a ritroso contempla I mostri di Dino Risi: “Ogni episodio è censurabile, lo rivediamo e ridiamo, al contempo ci interroghiamo: stiamo ridendo su qualcosa che non ammette riso? Così il film è rovinato, perché non siamo abbastanza intelligenti da contestualizzare il periodo storico”.
Verdone non si nasconde, “lo stato dell’arte è il maccartismo, il moralismo insopportabile, si fanno i compitini corretti come a scuola, con la paura del preside, sia esso il critico di turno o l’esponente più illuminato dei social, della penna rossa e delle bacchettate perbeniste”. Ci vorrà del tempo per “ritrovare l’equilibrio, mi sembra tutto una grande stronzata: ieri abbiamo dovuto riaprire due scene della terza stagione di Vita da Carlo perché non gradite alla produzione, e il risultato è assai meno comico di quello originario”. Verdone attacca la cancel culture: “Vogliamo abbattere le statue di Cristoforo Colombo perché criminale di guerra, e chi tra generali romani e omologhi attuali non lo è?”; difende l’obelisco Mussolini al Foro Italico “e dunque sono fascista? La scuola romana era brutta pittura, i futuristi da elidere?”. Ce l’ha con la “miopia imbarazzante d’Oltreoceano, la foga iconoclasta e il moralismo del cazzo: ma la predica viene dall’America primo produttore al mondo di pornografia, che ha fatto e fa danni mostruosi?”. Verdone torna alla scena di Totò e Nino Taranto, “una meraviglia di recitazione, ma che ce frega dell’anello al naso?” e tira le somme: “Quando c’era la censura, svicolavano e portavano messaggi geniali; quando tutto è stato possibile, abbiamo fatto passi indietro”.
A quell’anello al naso Enrico Vanzina assicura Vacanze di Natale, cult sempreverde creato col fratello Carlo quarant’anni fa: “La notte di Capodanno il personaggio di Christian De Sica viene sorpreso a letto col maestro di sci dai genitori, costruttori romani cafoni, e al ‘c’abbiamo un figlio frocio’ risponde ‘moderno, moderno’. Un dialogo incredibile, sdoganavamo la questione in maniera strepitosa, come il nostro cinema per decenni non avrebbe più fatto”. Lo sceneggiatore rispolvera C’eravamo tanto amati di Scola, Divorzio all’italiana di Germi, “la commedia che prendeva di petto il Paese e i suoi problemi, che sempre giocava d’anticipo, sicché oggi Totò può annoverare l’incidente della Meloni”. Vanzina loda “il principe De Curtis re degli ignoranti, di cui Checco Zalone ha preso il posto” e nel politicamente scorretto discerne una garanzia di durata: “Lascia il segno, sia che affronti seriamente sia che butti in caciara: il miscuglio non perdona”.
Alla regia di Fantozzi contro tutti con Paolo Villaggio c’era Neri Parenti, che non si fa illusioni: “Oggi taccerebbero il suo accento svedese di appropriazione culturale. Fantozzi non potrebbe esistere in questa società: come potrebbe chiamare la figlia babbuina anziché bambina?, apostrofare color topo i capelli della moglie?, ne verrebbe uno scandalo. Per tacere del Consiglio dei dieci assenti e i super cattivi assimilabili ai nazisti”. E il decadimento è strutturale: “Una volta comandavano i produttori, poi i distributori, quindi gli esercenti e ora le piattaforme globali”. Con una esternalità drasticamente negativa: “Oggi la morale è mondiale, e tutti ne sono assuefatti”.