la Repubblica, 3 novembre 2023
Il mondo di Lebowski
In Toscana il Lebowski è una squadra di calcio. Ufficialmente si chiama Centro storico Lebowski perché è nata in piazza Massimo D’Azeglio, nel cuore di Firenze. Gioca in promozione e l’ultima partita l’ha vinta 1-0 contro il Saline, squadra di Volterra. Si chiama così dal 2010 e in tredici anni, partendo dalla III categoria, ha conquistato ben tre promozioni. Nel loro sito si legge: “Il Centro storico Lebowski è prima di tutto degli Ultimi rimasti, che sono il cuore di tutto ciò che facciamo; è di chi taglia l’erba del campo prima delle partite, di chi organizza le feste per portare i soldi per iscriversi al campionato, di chi fa le collette per autofinanziare il materiale sportivo, di chi pulisce la sede, di chi raccoglie i palloni dopo l’allenamento, di chi porta con passione e rispetto i suoi colori in campo”. La curva è intitolata a Moana Pozzi. A maggio 2023 hanno organizzato il “Big Lebowski Margini Fest” assieme al cast di Margini, il punk-movie di Niccolò Falsetti (con la partecipazione di Zerocalcare) che era passato nel 2022 alla Settimana della Critica di Venezia.
Sempre a luglio 2023 si è svolto a Louisville, Kentucky (la città di Muhammad Ali, per inciso) il Lebowski Fest, che si definisce “an insane going celebration committed to praising the Coen Brothers’ religion film” (una festa folle che si propone di celebrare il “film/religione” dei fratelli Coen). Il festival prevedeva un “bowling party” e una proiezione nella quale il fanclub degli Achievers avrebbe visto il film per la 352esima volta. I rinfreschi erano rigorosamente a base di White Russian, il drink che il “Dude” Lebowski rabbocca a inizio film con il latte acquistato al supermercato (e pagato con un assegno di 0,91$). Il Lebowski Fest si tiene dal 2002, è nato a Louisville ma è itinerante e si è svolto in altre città degli Usa, una volta persino a Londra. Una manifestazione analoga (che per distinguersi si chiama LebowskiFest, tutto attaccato, che astuzia) si svolge a Raleigh, North Carolina.
Se mettete “Big Lebowski” su Google, viene fuori il mondo. Un club a Novara, una manifestazione musicale a San Francisco, un Big LeBYRDski Fest in programma per il 4 novembre al Byrd Theater di Richmond, Virginia, una gara per fan in costumi ispirati al film a Wichita, Kansas… Dovunque nel mondo, Big Lebowski è sinonimo di bowling, bevute e musica rock. Molti di questi eventi tengono a sottolineare di non avere alcun rapporto diretto né con i fratelli Coen, né con la casa di produzione del film: sono indipendenti e autogestiti, sono solo dei grandi fan. Ma fan di che cosa?
Qui viene il bello. Fan del film di Joel e Ethan Coen, direte voi. Beh, il film conta, ma fino a un certo punto. Naturalmente è bellissimo che la Cineteca di Bologna lo ripresenti in sala dal 6 novembre, restaurato in 4K Universal Pictures, nell’ambito del suo progetto Il cinema ritrovato. Sarà un piacere rivederlo al cinema, 25 anni dopo l’uscita avvenuta nel 1998. Ma il culto di cui si trova testimonianza in rete non è strettamente per il film, quanto per il suo protagonista e per i valori che egli incarna. È come se “Dude” Lebowski (assurdamente ribattezzato “drugo” nel doppiaggio italiano, manco fosse uno dei “drughi” di Arancia meccanica… o, peggio ancora, un ultrà della Juve) fosse uscito dal film e fosse diventato un vero amico degli spettatori.
In fondo è proprio così. Dude è uno dei personaggi più iconici, più simpatici e soprattutto più concreti dell’intera storia del cinema. Non si può non volergli bene. In primis, è un fannullone: il suo ideale di vita è stare sdraiato sul pavimento e ascoltare in cuffia il sonoro di vecchie partite di bowling. In secundis, direbbe Totò, è uno che non bada al look: va al supermercato in vestaglia e ciabatte e probabilmente non si fa la barba dagli anni 60. Potremmo andare avanti. Non sembra particolarmente portato all’amore ma tiene molto all’amicizia, soprattutto quella con i compagni di bowling Donny e Walter. Adora il rock classico ma non sopporta gli Eagles (la scena in cui il tassinaro afroamericano, che invece li adora, lo fa scendere dal taxi nel mezzo di una freeway è strepitosa) né i terroristi nichilisti, anche se uno di loro è il bassista dei Red Hot Chili Peppers, Flea. E soprattutto non ammette che dei balordi gli piscino sul tappeto. Forse, in assoluto, la cosa che gli dà più fastidio è che esista un altro Lebowski, il “big” del titolo, e che l’abbiano scambiato per lui coinvolgendolo in una storia pericolosa.
Il grande Lebowski, a ripensarci, è veramente qualcosa di più di un film. È una parabola sulla vita che tutti noi vorremmo vivere: lasciateci giocare a bowling, lasciateci bere con gli amici e soprattutto non rompeteci le scatole. Perché, se ci rompete le scatole, potremmo diventare cattivi – e in fondo, chi non ha un amico reduce dal Vietnam pronto a usare le maniere forti come Walter Sobchak? Più che un grande film, Il grande Lebowski è un mondo nel quale sarà bello ritornare, per rivedere attori meravigliosi come Jeff Bridges, John Goodman, Steve Buscemi, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman e soprattutto lo strepitoso John Turturro nel ruolo, secondario ma indimenticabile, del campione di bowling Jesus Quintana. Perché la morale di questa filosofia chiamata lebowskismo, alla fine, si riassume in cinque parole: You don’t fuck with Jesus. Ok?