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 2023  novembre 02 Giovedì calendario

Intervista a Claudio Sala

Claudio Sala, è vero che la chiamavano “il poeta del gol” per via del suo dribbling?
«Sì, perché è il gesto più poetico del calcio, il più istintivo. Destro, sinistro, finta, controfinta: e l’altra squadra in un istante ha un uomo in meno».
Ha visto? I dribblomani sono tornati di moda.
«Era ora! Tutto ricominciò quando il Bayern mise Robben e Ribery sulle fasce, ma col piede invertito: il destro a sinistra e il sinistro a destra. E il Napoli ha vinto lo scudetto con quattro esterni, di cui uno, Kvara, fenomenale».
Una specie di Claudio Sala georgiano.
«Mi assomiglia tanto. Ha due piedi identici ed è immarcabile. Ma, rispetto a me, tira e segna di più.
Lui poteva benissimo giocare nella nostra epoca d’oro».
Più forti voi o quelli di adesso?
«Senza offesa, non c’è paragone».
Il dribbling l’ha ammazzato la tattica?
«Certamente. Che noia il giro di passaggi a mezzaluna, senza mai prendersi responsabilità. Io invece puntavo dritto l’avversario, sempre».
Il dribbling s’impara?
«No, è nel sangue. Da bambino, c’era chi andava da mio padre e gli diceva: Claudio è bravo ma è un “venezia”, tiene troppo la palla. Lui rispondeva: lasciatelo fare, vediamo cosa succederà».
Scusi, cosa significa, “un venezia”?
«Lo dicevano ai nostri tempi. Un veneziano era uno che voleva fare sempre da solo, c’è anche quel famoso modo di dire: “faso tuto mi”. Del resto, un ragazzino non lascerebbe mai la sua palla».
Anche Pulici e Graziani avranno ringraziato quelsuo papà lungimirante.
«Con i miei passaggi, Pupi e Ciccio sono andati alle nozze del gol. E lo stesso Bettega con Causio».
A proposito, meglio il poeta o il barone?
«Lui era forte, ottimo dribbling, cross perfetti, però io ero superiore fisicamente».
Un dribbling si sceglie?
«No, si sente. È il richiamo della foresta. Senti il momento, lavorando sul piede debole dell’avversario. È un tango dove la danza la meni tu, e il difensore si adegua. Io avevo il marcatore addosso per 90 minuti, ci mancava solo che mi seguisse a casa dopo la partita, ma giocare d’anticipo erainutile. Non ero veloce ma tempista. Portavo il mio francobollatore a spasso, sul lato del campo dove lui si trovava peggio, e poi lo lasciavo lì come un allocco».
“Francobollatore”: poeta, lei sta riscrivendo versi antichi.
«Ma si diceva così! Il marcatore si attaccava alla punta come un francobollo alla busta».
Torniamo a Claudio Sala bimbo, c’è un momento in cui il dribblomane scopre di esserlo?
«Sì, a noi succedeva tra portone e ringhiera, oppure tra marciapiede e auto parcheggiata. Siamo stati la generazione dello spazio stretto, sigiocava dappertutto, più che altro in strada, e bisognava tenersi il pallone incollato al piede.
Facevamo di necessità virtù. Le gradi destrezze sono nate nei posti più sperduti e impensati».
Nel calcio di oggi, tutto è analisi rigorosa. Ma si ha l’impressione che a decidere siano ancora i gesti classici, tipo appunto il dribbling.
«Per vincere devi saltare l’uomo, questo è l’unico schema immortale del football. Vedo partite schiacciate in mezzo campo e giocatori che si rifugiano nel gesto più semplice, cioè il passaggio al compagno più vicino. Errore gravissimo se lo si fa in orizzontale!».
Ha detto Pasquale Bruno: «I calciatori di oggi sono talmente scarsi che non avrei nemmeno più bisogno di menarli, non sanno neppure stoppare il pallone».
«Severo ma giusto. Il livello individuale è sceso tantissimo. Io dico sempre che il nostro coefficiente di difficoltà era 10, oggi non penso superi il 7».
Crede che nelle scuole calcio si dovrebbe addestrare una nuova generazione di dribblomani?
«Sarebbe utile, forse è impossibile.
Però si può lavorare sui fondamentali, cominciando da entrambi i piedi: il mancino può diventare bravo anche col destro e viceversa. Non forziamo la natura, assecondiamola e addomestichiamola. E proviamo ad alleggerire un po’ il pallone: noi eravamo forti perché da piccoli usavano la palla di gomma».
Lei crede nella specializzazione dei ruoli?
«Mica tanto. Per anni ho fatto la mezz’ala, ero un 10 chiuso da Mazzola e Rivera.
Poi Gigi Radice mi diede il 7 e mi spostò all’ala: fu la mia fortuna, e forse anche quella del Toro. Dove, per inciso, io ho coperto tutti i ruoli dal 7 all’11, e sempre cavandomela col mio famoso dribbling».
Il poeta canta per gli altri?
«Un calciatore diventa davvero grande se non è individualista.
Sembra un paradosso: nessuno più del dribblomane ama il pallone, ma nessuno più di lui è prezioso quando lo offre all’attaccante.
Quando sono diventato un’ala pura, destra o sinistra senza differenza ma meglio destra, ho capito di non essere più un individualista. Ho adorato la palla solo per poterla passare agli altri».