il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2023
Guai a dire di no a B. e Dell’Utri: Villa Mariani, 30 anni da incubo
Una dedica firmata in persona da Silvio Berlusconi. Le proposte di acquisto fatte pervenire da intermediari di Marcello Dell’Utri. L’interesse di Fininvest, citato in alcuni vecchi carteggi. Le visite di persona agli eredi di un altro fedelissimo del Cavaliere, l’ex maestro di tennis Romano Luzi. E ancora, Vittorio Sgarbi, ambasciatore in tempi più recenti dello stesso messaggio: è arrivata l’ora di vendere Villa Mariani, maestosa residenza sulle colline di Bordighera, ma soprattutto il suo inestimabile contenuto artistico, l’atelier e le opere di Pompeo Mariani, impressionista italiano poco conosciuto dal grande pubblico, e forse proprio per questo oggetto da tempo di pressanti attenzioni speculative del mercato dell’arte. Gli eredi, però, si oppongono alla vendita. Ciò che segue è una catena incredibile di episodi ostili che si dipana nell’arco di trent’anni: furti, guerra con le banche, il misterioso svuotamento di un caveau, l’interesse di speculatori, massoni e ’ndranghetisti.
Mentre riannoda i fili di questa lunga e tormentata vicenda, Carlo Bagnasco, presidente della Fondazione Pompeo Mariani, mostra decine di documenti, conservati in modo meticoloso in un imponente e impolverato archivio cartaceo. Tra questi c’è una lettera fra due discendenti del pittore, datata 12 novembre 1990. A scrivere è Umberto Pitscheider, discendente di un ramo tagliato fuori dell’eredità. Il destinatario è Pompeo Lomazzi, nipote del pittore e suo erede universale: “Vorrei che tu tentassi di comprendere il mio stato d’animo rispetto alle iniziative di Fininvest e Motta (…) nel 1987 ti scrissi di aver trovato il finanziamento per un catalogo su zio Pompeo, chiedendoti di collaborarvi con me (…) il mio finanziatore ha più volte contattato un amico di Berlusconi e dando principio o seme a quella piantina che diventerà un albero di notevole valore speculativo. Io non vorrei mai fare speculazione sul lavoro di zio Pompeo (…) ma sento come umiliante il fatto che tutti quelli che hanno quadri suoi o dané per comperarne, adesso si troveranno maggiori valori nel giro di due anni, molto maggiori che con altri investimenti”.
Lomazzi, notaio molto benestante e senza figli, si rifiuta di vendere. Villa Mariani subisce otto furti in dieci anni. Scompaiono un centinaio di tele, tuttora ricercate dal nucleo tutela patrimonio culturale dei carabinieri. Alcune vengono riproposte paradossalmente alla stessa Fondazione Mariani, affidata a Bagnasco da Stefania Scevak, cognata ed erede del notaio Lomazzi: “I proprietari, ignari, ci chiedevano di autenticare i quadri rubati. Scoprimmo che alcuni di quei dipinti erano stati rimessi in commercio da un mercante d’arte monzese”.
Dopo i furti comincia la guerra delle banche. “Nonostante avessimo in garanzia beni per milioni di euro, due diversi istituti di credito ci revocarono improvvisamente il credito”. Prima Bnl, poi Mps: “Da un caveau del Monte dei Paschi scomparvero le nostre garanzie, venti chili di lingotti d’oro e un disegno di Degas, per un valore di 5 milioni”.
Siamo nel 2010, Bagnasco denuncia tutto alla Procura di Sanremo. “Venne da me anche Vittorio Sgarbi, che mi disse che avevo creato una cosa più grande di me e che era arrivata l’ora di passare la mano”. Nel 2012 la villa finisce all’asta. Ma nel frattempo accade un colpo di scena: Ettore Castellana, imprenditore vicino ad ambienti massonici e coinvolto in un’inchiesta sulla ’ndrangheta nel Ponente ligure, consegna ai magistrati un memoriale, in cui racconta di un presunto disegno per mettere in ginocchio Bagnasco, far mettere all’asta villa Mariani e comprarla a pochi soldi. Questo sarebbe stato l’obiettivo di un imprenditore noto nella zona, Piergiorgio Parodi, interessato a costruire un residence di lusso e un mega parcheggio. Parodi, racconta sempre Castellana, ne avrebbe parlato al numero uno di Mps, Giuseppe Mussari, durante un summit a Montecarlo. Castellana, va sottolineato, era animato da sentimenti di vendetta nei confronti di Parodi, ma i pm ne acquisiscono le dichiarazioni, ritenendole interessanti.
L’indagine si conclude nel 2015 con un’archiviazione, ma in quella sentenza sono rimarcate le anomalie nella gestione Mps, tra cui l’esistenza di una seconda chiave del caveau. E sulla vicenda aleggia ancora oggi un possibile contenzioso civile da 20 milioni di euro tra la banca e Bagnasco, che in extremis riesce a evitare la vendita all’asta. “Fra i potenziali acquirenti – racconta – si è fatto avanti anche un personaggio emerso in un’altra inchiesta sulla’ ndrangheta a Ventimiglia”.
Questa incredibile sequenza di eventi è stata sottoposta di recente alla Procura di Genova, a cui Bagnasco ha consegnato un memoriale per valutare possibili reati distrettuali. Nel frattempo si avvicina il 2027, centenario della morte di Mariani, e il mercato è in subbuglio: “L’affare Mariani fa gola a molti – sostiene Bagnasco – Dell’artista ci sono 10 mila opere in circolazione, il valore potrebbe raggiungere il miliardo di euro”. Villa Mariani, luogo in cui dipinse anche Claude Monet, è considerato tra i dieci atelier meglio conservati al mondo e ospita 20 mila oggetti appartenuti a Mariani. Artista ancora oggi più conosciuto all’estero che in Italia: dei 10 mila turisti annui, la maggior parte sono stranieri.