la Repubblica, 2 novembre 2023
Cercasi Cristo
«Cercasi Cristo: non tanto alto, bruno col viso semitico, lo sguardo penetrante». È il dicembre del 1963 e con queste parole, Pier Paolo Pasolini, in un’intervista al settimanale Le ore, inizia a cercare l’attore per Il Vangelo secondo Matteo. Rispondono in tanti, dai 13 ai 60 anni: «Io ora le invio una mia foto la prego di volermi scusare se sono però troppo brutto»; «Gentilissimo signor Pasolini mi deve scusare se io mi sono permesso di scriverle su un foglio di quaderno ma a quest’ora i negozi sono chiusi perché ormai sono le 11 di sera»; «Non per vantarmi ma ho degli occhi bellissimi e questo centra molto perché credo che il suo film sia basato soprattutto sul espressionismo del volto».
Contravvenendo alle indicazioni del regista che cerca un «bruno con viso semitico», uno degli aspiranti Gesù si descrive, in poetica indeterminatezza, con «capelli quasi biondi occhi quasi azzurri». Questo volto ipotetico, destinato a rimanere anonimo, dà il titolo al documentario di Simona Risi, sceneggiatura di Donata Scalfari, 3D Produzioni, Capelli quasi biondi occhi quasi azzurri. 78 lettere a Pier Paolo Pasolini, che potrete vedere oggi in prima serata (ore 21.15) su Sky Documentaries.
Alla fine Pasolini sceglierà un ragazzo catalano, Enrique Irazoqui, studente antifranchista, conosciuto a Roma con Elsa Morante. Le comparse, invece, le sceglie tra i contadini e le contadine di Matera trasformata in Gerusalemme. E la povertà delle comparse, spiega lo scrittore Marco Ciriello, una delle belle voci di questo documentario, «si vede dai denti». «Scelgo gli attori, diciamo così, a carattere popolare, o comunque innocenti, fra attori non professionisti», dirà Pasolini durante le riprese del Salò. «Mentre scelgo i borghesi, coloro che sono coscienti ecc, tra gli attori professionisti».
Nel Vangelo ci sono anche gli amici intellettuali: Natalia Ginzburg, Alfonso Gatto, Enzo Siciliano. A interpretare la giovane Maria è la silenziosa materana Margherita Caruso; la Madonna anziana è Susanna Colussi, Mater dolorosa di Pier Paolo. Nasce così quello che Martin Scorsese, ma anche L’Osservatore Romano, definirà «il miglior film su Cristo».
Com’è nata l’idea di girare un documentario sulle lettere dei ragazzi che speravano di essere scelti da Pasolini? E queste lettere come sono arrivate alle sorelle Scalfari? Dalle mani del fotografo Mimmo Frassineti, che le ha trovate in un cassetto di casa. Le aveva riposte lì suo padre, lo scrittore Augusto Frassineti, al quale l’amico Pasolini le aveva affidate. 78 lettere che sono un trattato di antropologia d’una mascolinità italiana degli anni Sessanta: aspirazioni, devozioni, protervie, figliolanze, fragilità, omofilie.
La loro lettura, affidata agli allievi della scuola del Piccolo di Milano, s’intreccia – Tonio Dell’Olio ne fa un vivissimo resoconto – alla storia della genesi del film nel dialogo con la Pro Civitate Christiana di Assisi: «un luogo», commenta il cardinale Matteo Zuppi, «dove Pasolini si sentiva accolto e protetto».
Le immagini e le parole del documentario, tra cui quelle delle comparse d’allora oggi ritrovate, sono accompagnate dalle riflessioni di Marco Tullio Giordana, un ottimo compagno di viaggio. Capelli quasi biondi occhi quasi azzurri racconta un mondo italiano che si specchia nel cinema di Pasolini e al tempo stesso si sente rispecchiato: «Come le sembro? Sono una faccia pasoliniana?».
Un mondo con brutalità primitive e delicatezze antiche, come quella del ragazzo che allega, alla propria lettera, un francobollo per la risposta. È un viaggio nel tempo, nei sogni e nei segni perduti: le difformi grafie (solo l’analisi psico-estetica delle buste meriterebbe una piccola mostra), gli errori ortografici, i linguaggi aulici oppure popolari. E le fotografie d’accompagnamento: i belli e i brutti, i damerini e i bulli, le facce antiche, masaccesche. «Certi visi con la fronte bassa che oggi non ci sono più», commenta Natalia Aspesi. E poi c’è l’immaginario cristologico attorno al quale ciascuno s’inventa, immagina, identifica. E com’è cambiato l’uso del corpo, che allora si esponeva in seduzioni ingenue, nella sua genuina e talvolta “disperata vitalità”, senza il complesso di dover piacere. Una fisicità oggi scomparsa, nascosta dalla riproduzione infinita del virtuale. Volti e parole di un’Italia poco scolarizzata, in continuità con la polemica pasoliniana sulla scuola che livella i linguaggi e il consumismo che uccide i caratteri.
Ancora, in queste lettere, le suppliche, le adulazioni, i racconti di vita: sono povero, ho bisogno di lavorare, amo il cinema, «non scrivo la presente perché cerco pubblicità ma perché ora che mi sto facendo crescere la barba gli amici mi chiamano Gesù Cristo e con lo stesso nome mi chiamavano in ospedale dove fui ricoverato per un incidente». Bellissimo documentario pasoliniano, quindi nostalgico, ma anche capace di guardare senza pregiudizi e persino qualche speranza ai ragazzi di oggi, anche se digitali e post-religiosi.
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