Avvenire, 1 novembre 2023
In moto o a cavallo, sul ponte incontri Cusano e le Upanisad. Un inedito
«Capitano cose di ogni genere. Mi torna in mente un motociclista. Stavo davanti alla baita e lo seguivo con lo sguardo. Volevo vedere quanto ci avrebbe messo a stufarsi. Per quattro volte si inerpicò sulla costa ripida e, una volta raggiunta la sommità della collina, faceva inversione e scendeva a valle, senza intoppi e a motore spento. La quinta volta successe l’inevitabile; l’incidente intendo. Lo portai a braccia nella baita, ricoperto di sangue e privo di coscienza. Gli spruzzai addosso dell’acqua. Riprese conoscenza e, con mia gran sorpresa, mi riconobbe. “Pensavo non saresti più venuto. Ti ho aspettato anche l’anno scorso, sempre di questi tempi” mi disse. Non capivo. “Temo che tu mi confonda con qualcun altro. Questa baita non è mia. Me l’ha lasciata un amico, per una settimana” gli risposi. Sorrideva. “So bene che la regola del gioco prevede che tu faccia finta di non riconoscermi. Ma sono io, Emanuel”. E cominciò a raccontarmi delle storie. Avvenimenti strani di ogni genere, del tutto inverosimili. Lo interruppi più di una volta. “Ma tutte queste cose non sono vere. Sai benissimo che non possono essere vere. Le hai inventate tu”. “E l’incidente?” mi domandò sorridendo. “Mi sono inventato anche l’incidente?”. Si passava il fazzoletto sul labbro superiore, insanguinato, e mi guardava con candore, ma anche con una impercettibile ironia. Esitavo. Mi era difficile dirgli la verità, e cioè che era amnesico. Alla fine, dovetti decidermi. Se fosse svenuto di nuovo, mi sarei visto costretto a portarlo all’ospedale e sarebbero venute fuori complicazioni su complicazioni. “Si tratta di un errore” gli dissi con gentilezza. “Ti trovi qui per sbaglio. Mi confondi con qualcun altro. Tu appartieni a un altro mondo, a un’altra società. Forse sei uno scrittore, o un avventuriero, in ogni caso qualcuno pieno di misteri, che ha vissuto esperienze favolose in passato e altrettante lo attendono in futuro. Io mi muovo in un mondo modesto, tranquillo, banale. Non avresti motivo di conoscermi. Te lo ripeto, questa baita non è mia; è di un amico. È la prima volta che vengo qui”. Continuava a fissarmi, tamponandosi il labbro col fazzoletto. Lo lasciai andare, benché sapessi benissimo che si sarebbe perduto. Era amnesico. Che possibilità aveva di ritrovare quelli che lo stavano aspettando, e che lo avevano aspettato anche l’anno prima? Era amnesico, e la regola del gioco – se l’ho ben capita da lui – prevedeva che non venisse riconosciuto subito. Per questo doveva ritornare due o perfino tre volte, ma come poteva sapere dove era già stato e dove non ancora, se era amnesico? Se ne andò, e io sapevo bene che si sarebbe smarrito. Cominciavo a rammaricarmi di averlo lasciato andare. Era un tipo interessante. Che pazienza aveva avuto per inerpicarsi tutte quelle volte sulla collina con la motocicletta e scendere a valle, fino in fondo alla valle, all’altezza del ponte...».
«Già, capitano cose di ogni genere» mi interruppe Onofrei. (Sapevo perché mi interrompeva; senza volerlo avevo fatto ancora allusione al ponte). «Capitano cose di ogni genere. Questa primavera passavo per strada Domnitei, quando vidi uscire da un cortile un luogotenente di cavalleria. A guardarlo, rimasi di stucco sul bordo del marciapiede. Era talmente bello che di lui si poteva parlare solo in termini di teologia negativa. Sorridevo. È così che si dovrebbe descrivere qualcuno, mi dicevo, usando cioè un linguaggio completamente diverso da quello di tutti i giorni. Il linguaggio della teologia, ad esempio, o della metafisica. Pensavo tra me e me: un luogotenente di cavalleria presentato in termini di teologia negativa costituisce di per sé un mistero, un paradosso, una coincidentia oppositorum avrebbe detto Nicola Cusano. Mi piaceva questo modo di pensare. Tutt’a un tratto mi ero elevato a un altro mondo, penetrando in un universo di essenze e archetipi. Sorridevo felice, e forse questo sorriso lo incoraggiò. Voglio dire, incoraggiò il giovane che stava accanto a me sul marciapiede, non il luogotenente. Il luogotenente era passato oltre. “L’ho ammirato anch’io” mi disse. (Mi bastò un’occhiata per capire che avevo a che fare con un intellettuale). “Posso dirle” proseguì “che è molto più che un bell’uomo, molto di più, tanto da non poter essere descritto se non in termini di teologia negativa. Lo conosco. È assetato di cultura. Legge le Upanisad. Le dirò di più: cerca una casa con due studenti. Cioè, non mi fraintenda: vorrebbe affittare una casa insieme a due studenti; una casa intera, non un appartamento. Una casa con giardino, cortile, veranda. È probabile che questa casa non gli sia piaciuta” aggiunse, dopo aver dato un’altra occhiata alla facciata. “Conoscendo i suoi gusti, avrebbe preferito una casa più spaziosa. Per le conferenze, i ricevimenti”. Lo ascoltavo rapito. Lo conosceva assai bene, lo capiva.
“Ovviamente” continuò “gli piace rientrare a casa a cavallo, per questo ha scelto un reggimento di cavalleria. Ma il colonnello glielo ha proibito. Un uomo così bello, a cavallo, in uniforme da ussaro, su queste strade tappezzate di foglie morte, l’autunno, strade così malinconiche al calar del sole...”. “E tutte le ragazze che lo spiano dalle finestre” aggiunsi io. “Aveva ragione il colonnello”. “No, non è per questo” continuò lui. “Era per via della malinconia, della tristezza dei tramonti bucarestini. Perché, se mi permette, signore” si rivolse a me molto cortesemente “abbiamo la fortuna o la sfortuna di vivere nella città più malinconica del mondo”». «Allora lo conosco!» lo interruppe Gologan. «L’ho incontrato anch’io una volta. Gli piace conversare con gli sconosciuti, per strada. È un tipo originale». «Io gli sono obbligato» continuò Onofrei «perché è grazie a lui se ho conosciuto il tenente. Il tenente e i due studenti... Quando ho usato l’espressione coincidentia oppositorum, non esageravo affatto. Ovviamente, Cusano si serve di questa espressione per definire Dio. Ma, intendiamoci, io non affermo che il luogotenente assomigli, o che si possa paragonare, o che partecipi di un modo d’essere simile a quello di Dio. No, non intendo dire questo. Ma vi assicuro che del suo modo d’essere non si può parlare se non in termini di teologia negativa. Non solo ha letto le Upanisad. Ma da quando le ha lette, si è posto certi problemi. Penso che capiate a cosa faccio riferimento: a neti! neti! e al resto, ovvero la realtà ultima, l’essere, in una parola, l’âtman. Quando sono andato a fargli visita la prima volta, accompagnato dal mio amico Blanduzia…».
(Traduzione dal romeno di Horia Corneliu Cicortas e Igor Tavilla. Estratto da “Il ponte” in Racconti fantastici. Volume I, a cura di Horia Corneliu Cicortas e Igor Tavilla, Castelvecchi editore).
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