La Stampa, 1 novembre 2023
Italiani mammoni
«Bamboccioni». Scritto in italiano.
È questa la parola con cui inizia il pezzo di costume sull’Italia che apriva ieri la prima pagina dell’autorevole quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il titolo è inequivocabile: «Di mamma ce n’è una sola», così come la foto di apertura, che ritrae una fila di barattoli di pomodori pelati Mutti, che in tedesco corrisponde al diminutivo di “mutter”, cioè mamma.
Il tutto accompagnato da una didascalia dai toni canzonatori, per introdurre il caso di cronaca della donna di 75 anni di Pavia che ha visto riconoscere da una giudice il suo buon diritto a far sloggiare da casa i due figli di 42 e 40 anni con un lavoro fisso. La didascalia sfodera un’ironia che sconfina nella derisione nel descrivere «il figlio italiano» medio. Esiste una “certa età” dove è “ragionevole” vivere del proprio stipendio in una casa propria – si scrive – e in cui si può «ben volentieri mangiare la propria pasta, cucinata secondo la ricetta della mamma o della nonna, ma non più nella sua cucina».
Davanti agli occhi di chi legge sembra veder scorrere i fotogrammi delle mamme italiane rappresentate nei mafia movie, prone a ingozzare la prole, a prescindere dall’età. Ma nel pezzo vero e proprio del corrispondente tedesco da Roma a pagina 7 del quotidiano i toni cambiano.
Il caso di cronaca è spiegato con chiarezza e precisione, corredato da dati statistici Eurostat in cui si evidenzia che in media i ragazzi italiani – perché nel 76,6% si tratta di uomini – escono di casa intorno ai 30 anni, superati dagli spagnoli e greci che lasciano casa ancora più tardi.
Mentre il premio dei più “mammoni” d’Europa, se è questo il termine appropriato per definirli, è vinto dai croati, che lasciano il nido in media intorno ai 35 anni. In Germania la situazione è diversa, trovano una sistemazione indipendente intorno ai 24 anni, riporta la FAZ. Ma un giovane tedesco, aggiungiamo noi, finché è in formazione, può godere di un sostegno statale che arriva a tutte le famiglie di 250 euro al mese, il cosiddetto “Kindergeld”, oltre al sostegno finanziario in base al reddito, il “Bafög”, che può arrivare fino a 900 euro al mese.
Trovare lavoretti poi, i cosidetti “mini-job”, in Germania è la prassi per i giovani che vogliono rendersi indipendenti. Mentre in Italia, e soprattutto al Sud – nota il giornalista tedesco – rimanere a casa è uno status dettato anche dalla condizione economica. «Ci sono troppi pochi posti di lavoro con un compenso adeguato» e «gli appartamenti a prezzi abbordabili scarseggiano», riferisce.
Secondo l’Eurostat il 66,4% dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni vivono in casa dei genitori. Ma il tasso di disoccupazione giovanile nel nostro Paese è del 27,3%. Nessuna sorpresa, dunque. Solo una conseguenza – il vivere in casa – dettata da una situazione a noi tutti nota. Quello che invece sorprende è il tono di scherno con cui si torna a osservare l’Italia da parte di un giornale conservatore dai toni solitamente misurati.
Prendere la parte per il tutto, l’eccezione di una sentenza, come una fotografia impietosa di una società che rifiuta di crescere è una forzatura, che ricorda da vicino i tempi dei governi Berlusconi. Tempi in cui l’Italia figurava nei giornali tedeschi nella sezione Panorama, dove si trovano le curiosità dal mondo. Un Paese serio fino ad un certo punto.
Ma forse c’è dell’altro e la lingua batte dove il dente duole. Quelle immagini dei mafia-movie ci fanno così male, proprio perché in Italia una pensionata deve andare dal giudice per vedere affermare il suo diritto di non essere più solo una mamma che accudisce i figli a 75 anni.