la Repubblica, 1 gennaio 2023
Un lettura malevola
Secondo una lettura malevola (per esempio: la mia), l’intenzione della destra di abolire i senatori a vita potrebbe dipendere non tanto dall’intenzione di restringere le mansioni e il prestigio del Quirinale, che quei senatori nomina e che è il solo potere in grado di fare ombra allo strapotere del premierato; quanto da una imbarazzante mancanza di materia prima. Una Levi Montalcini, una Liliana Segre, un Renzo Piano, un Carlo Rubbia devoti a “Dio, Patria e Famiglia” non sembrano al momento reperibili.
Sia questo il frutto della famigerata egemonia culturale della sinistra o della altrettanto famigerata penuria di figure di alto profilo nel campo avverso, si capisce che negli ultimi anni la destra abbia avuto le sue buone ragioni per lamentare il fatto che su quei pochi ma prestigiosi voti, in certe sedute parlamentari decisive, non poteva mai contare. Memorabili, in questo senso, gli insulti da mercato rionale alla senatrice Levi Montalcini.
L’idea di costruire una egemonia culturale nuova fiammante è stata affidata dal governo Meloni-Salvini agli spintoni e ai repulisti, sul modello della Rai (fin qui scarsetto nei risultati). Ma si tratta di un lavoro molto all’ingrosso, e di un’egemonia molto alla mano. Per costruire un senatore a vita, lo dice la parola stessa, non basta correggere i palinsesti: ci vuole una vita. In genere è una vita di studio e di eccellenza professionale, così da guadagnarsi quello speciale calibro che fa di te un cittadino esemplare, rappresentativo del prestigio di una intera comunità. Non basterebbero, a Meloni e Salvini, cinque o sei legislature. Meglio dunque abolire quella carica: o le poltrone si possono occupare, o è meglio farle portare in uno sgabuzzino.