la Repubblica, 1 gennaio 2023
Il peso dell’inflazione
Istat e Eurostat hanno appena pubblicato importanti dati sulla crescita del Pil e dei prezzi in Italia e nell’area dell’euro. Queste stime confermano le tendenze più recenti: economia e inflazione stanno rallentando. Vi spiego perché vedo il bicchiere macroeconomico mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto, tranne che per le implicazioni che questi sviluppi avranno per i conti pubblici italiani.
Facciamo un passo indietro. L’uscita dalla recessione Covid nel 2020 è stata più rapida del previsto in Italia, in Europa, nel mondo anche per effetto di politiche di bilancio e monetarie super espansive da parte dei principali Paesi: deficit che non si vedevano dalla seconda guerra mondiale sono stati finanziati “stampando” una montagna di euro, dollari, eccetera. Il balzo nella domanda di beni e servizi è stato però superiore alla capacità di ripresa dell’economia mondiale, anche alla luce dei colli di bottiglia causati dal Covid, e questo ha portato l’inflazione (a partire da quella delle materie prime) a livelli che non si vedevano da trent’anni. A questo punto le banche centrali (e i governi) hanno corretto il tiro anche perché l’inflazione stava avendo conseguenze pesanti sulla distribuzione del reddito e sul risparmio accumulato, il cui potere d’acquisto era eroso dall’aumento dei prezzi. Inevitabile che la stretta monetaria, in particolare il rapido aumento dei tassi di interesse, causasse non solo un rallentamento dei prezzi, ma anche dell’economia.
Leggo i dati usciti ieri in modo relativamente positivo perché sembra che i passi avanti nel ridurre l’inflazione in Europa siano avvenuti senza causare una recessione (o, peggio, una crisi finanziaria tipo quella del 2008-09 che segui l’ultima fase di aumento rapido dei tassi di interesse), ma solo interrompendo per qualche trimestre la crescita economica.
Guardiamo ai dati. Il Pil Italiano nel terzo trimestre è rimasto stazionario. Dal secondo trimestre del 2022, l’ultimo trimestre prima dell’aumento dei tassi di interesse da parte della Bce, l’economia italiana è cresciuta a una velocità media di un po’ meno dello 0,1% al trimestre, esattamente la stessa velocità dell’area dell’euro. Crescita quasi zero. Dov’è la buona notizia? La prima è che per fortuna sembra che siamo riusciti a evitare una recessione. La seconda è che la guerra all’inflazione sembra vinta un po’ prima del previsto. In ottobre i prezzi in Italia sono scesi leggermente (-0,1%; non credo c’entri il trimestre tricolore per gli alimentari perché il calmieramento dei prezzi è stato generalizzato). Il calo del tasso d’inflazione nei 12 mesi passati è stato poi particolarmente forte (dal 5,3% al’1,8%), perché nell’ottobre 2022 c’era stato un balzo dei prezzi dovuto al costo dell’energia. Ma tant’è: siamo sotto il mitico 2%. Nell’area dell’euro, il tasso di inflazione a 12 mesi rimane un po’ alto (2,9%), ma è in netto calo rispetto ai mesi precedenti. La Bce ha evitato un nuovo aumento dei tassi di interesse a ottobre (secondo me anche l’aumento di settembre si poteva evitare) ed ora dovrebbe aver esaurito la fase di aumento dei tassi. Il momento in cui si potrà avviare una discesa si è avvicinato.
La conferma della staticità del Pil italiano ha però implicazioni negative per i conti pubblici. La legge di bilancio che va in Parlamento prevede per il 2024 un aumento del Pil nominale del 4,1%. Anche se la crescita del Pil aumentasse da 0,1% a 0,2% al trimestre da qui a fine 2024, la crescita reale nel 2024 sarebbe dello 0,6%, la metà di quello ipotizzato dal governo. Inoltre, i prezzi del Pil dovrebbero crescere di meno, diciamo nel 2%, invece del 2,9% previsto dal governo. Il Pil nominale aumenterebbe dunque del 2,6%, un punto e mezzo meno di quanto previsto. Data il livello della pressione fiscale in Italia, il minor Pil causerebbe minori entrate per circa 14 miliardi. Forse si risparmierà qualcosa sulla spesa per interessi, ma la legge di bilancio sembra andare in Parlamento con un buco piuttosto grande che si aggiunge a un deficit programmato già alzato dal governo al 4,3%. Non solo, con un Pil più basso e un deficit più alto, il rapporto tra debito pubblico e Pil riprenderebbe a crescere. A meno di rivedere, cosa del tutto improbabile, la legge di bilancio, sarà quindi richiesta una gestione particolarmente attenta della spesa pubblica nel corso del 2024, cercando di finire l’anno con un risultato migliore di quello che ora appare probabile.