Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 31 Martedì calendario

“ESPRESSO” AMARISSIMO – NEL LIBRO “IL ROMANZO DEL GIORNALISMO ITALIANO”, GIOVANNI VALENTINI RACCONTA SEGRETI E RETROSCENA DEL GRUPPO FONDATO DA EUGENIO SCALFARI – L’ARRIVO ALLA DIREZIONE DEL SETTIMANALE, NEL 1984, OSTEGGIATA DAI “TUPAMAROS SUPERSTITI CAPEGGIATI DA PAOLO MIELI”, LO SCONTRO CON LIVIO ZANETTI E L’AVVICENDAMENTO TRA SCALFARI E MAURO A "REPUBBLICA", VOLUTO DAGLI EDITORI. FU LO STESSO “EU-GENIO” AD ANNUNCIARLO, MA "CARACCIOLO E DE BENEDETTI SI DIVERTIRONO POI A DIRE CHE..." -

Titolo: Il romanzo del giornalismo italiano. Sottotitolo: Cinquant’anni di informazione e disinformazione.

È articolato in 20 capitoli; 334 pagine; oltre 250 personaggi tra giornalisti, scrittori, editori e politici, il nuovo libro di Giovanni Valentini, già direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore del quotidiano la Repubblica, oggi editorialista del Fatto Quotidiano.

Pubblicato da La Nave di Teseo, in libreria dal 31 ottobre, Il romanzo del giornalismo italiano è un “memoir” in cui l’autore racconta in prima persona le sue varie esperienze professionali intrecciate con le vicende della vita pubblica nazionale: dal Giorno a Repubblica; dalla direzione dell’Europeo a quella dell’Espresso, passando per quella dei quotidiani veneti del Gruppo; dalla direzione editoriale di Tiscali fino all’incarico di Portavoce dell’Antitrust.

Una trama di episodi, aneddoti, retroscena e anche pettegolezzi, in gran parte inediti, che riguardano personaggi noti e meno noti: da Eugenio Scalfari a Umberto Eco, da Antonio Padellaro a Marco Travaglio, da Carlo Caracciolo a Carlo De Benedetti, da Sandro Pertini a Francesco Cossiga, da Silvio Berlusconi a Carlo Azeglio Ciampi, da Rosy Bindi a Giorgia Meloni, da Antonio Di Pietro a Renato Soru. Ecco, qui di seguito, alcuni estratti che riguardano in particolare la Repubblica e L’Espresso.

Fu Scalfari, dopo aver assunto già due volte Valentini a Repubblica e averlo nominato capo della redazione milanese, a volere che il giornalista tornasse a Roma, nel luglio del 1984, per dirigere L’Espresso all’età di 36 anni.

L’assemblea di redazione, fedele al vecchio direttore Livio Zanetti sotto il controllo dei “tupamaros superstiti capeggiati da Paolo Mieli”, manifestò un parere contrario, pur escludendo pubblicamente riserve di natura personale. Ma, trattandosi di un parere consultivo, l’editore confermò la nomina con il consenso del Comitato dei garanti.

Nel suo “Romanzo del giornalismo italiano”, l’autore rivela ora un retroscena conosciuto da pochi. Due anni prima, Caracciolo era andato a Padova - dove Valentini dirigeva i quotidiani veneti del Gruppo - e gli aveva già fatto una proposta. “L’Espresso è in difficoltà,” esordì il Principe-editore. “Zanetti comincia ad avere la sua età e il giornale ha bisogno di un ricambio.” E, parlando anche a nome di Scalfari, aggiunse: “Vorremmo che tu tornassi a Roma, a settembre, per fare il caporedattore e prepararti dall’interno a prendere il suo posto.”

Per correttezza, e per verificare che il direttore fosse favorevole a quella soluzione, prima di accettare l’incarico Valentini volle incontrare personalmente Zanetti che si negò più volte. Alla fine, in piena estate romana, i due giornalisti si incontrarono a pranzo al ristorante Il Passetto. 

Dopo aver traccheggiato per un buon quarto d’ora Zanetti, facendosi schermo del “corporativismo” redazionale, ammise abbassando gli occhi: “Sì, sono al corrente della proposta di Carlo. Anche a me farebbe piacere averti come caporedattore. Ma, vedi, mi sembra che non tutta la redazione sia d’accordo.

Prendiamo un po’ di tempo e magari ne riparliamo più avanti”. A quel punto, irritato dall’ipocrisia e dalla falsità dell’interlocutore, Valentini reagì con veemenza: “Chiudiamo qui il discorso, non parliamone più”, replicò a brutto muso: “Lasciami solo dire che il tuo è stato un comportamento da vigliacco”. E, racconta l’autore del libro, “prima che mi alzassi e me ne andassi, lui biascicò: “È vero, hai ragione…”.

Ai sette anni della sua direzione all’Espresso (1984-1991) Valentini dedica tre capitoli intitolati L’Espresso amaro, Il fortino di via Po e infine Venduti e comprati: dall’insediamento all’ideazione della Bustina di Minerva di Eco, dalla campagna sulla concentrazione televisiva e pubblicitaria di Berlusconi al filone dell’ambientalismo, fino all’avvento di De Benedetti e alla “Grande spartizione” con la Mondadori che mise fine alla “Guerra di Segrate”.

Sono 53 pagine dense di aneddoti e retroscena che raccontano da “dietro le quinte” di vicende pubbliche vissute dall’interno della redazione di via Po, passando dal “caso Malindi” ai “sassolini di Cossiga” fino ai segreti di Gladio e all’operazione “Stay-Behind” contro il pericolo di un’invasione nemica.

Quando il settimanale pubblicò lo scoop sull’organizzazione paramilitare rimasta fino ad allora segreta, il Capo dello Stato telefonò all’Ingegnere-editore per protestare, come se fosse lui l’autore dell’inchiesta o il direttore del giornale: “Con questo articolo, hai fatto peggio che se avessi stuprato mia figlia!” inveì contro De Benedetti, come lui stesso riferì poi a Valentini: “Finché ci sarò io, non metterai più piede al Quirinale. E domani ti farò restituire i telefonini che mi hai regalato.”

Scrive nel suo libro l’ex direttore del settimanale: “De Benedetti, pur senza lamentarsi o recriminare, rimase turbato da quello scontro con il presidente della Repubblica.

Avvezzo agli ambienti felpati dell’alta finanza, lui non aveva né l’aplomb né l’esperienza di un editore come Caracciolo. Ho motivo di ritenere che il caso Gladio fu all’origine della mia rottura con l’Ingegnere che sarebbe arrivata appena un anno dopo”.









Destituito dopo sette anni dalla direzione dell’Espresso nel luglio del ’91, per volere di De Benedetti che insedia Claudio Rinaldi, in autunno Valentini torna ancora una volta a Repubblica.

A dicembre di quell’anno, come racconta l’ex direttore nel suo libro “Il romanzo del giornalismo italiano” (La Nave di Teseo), Scalfari gli annuncia che intende nominare un “pacchetto” di vicedirettori, tra cui lui, ma il giornalista riesce a dissuaderlo: “Per quanto mi riguarda, ti ringrazio di aver pensato a me.

Ma, come ti avevo detto fin dall’inizio, ho bisogno di ricaricarmi, di leggere, di andare al cinema e al teatro… Per un po’ di tempo, preferisco dedicarmi a scrivere”.

Quanto alla nomina di cinque vice, aggiunge: “Poi, se me lo consenti, vorrei sconsigliartelo. Passerebbero la maggior parte del tempo a farsi la guerra tra di loro, rallentando il lavoro e la programmazione del giornale”. E il direttore gli dà retta.

Alla fine del ’94, per rilanciare la testata a quasi vent’anni dalla fondazione, Scalfari fa un appello alla bandiera e decide di nominare tre vicedirettori: Mauro Bene, Antonio Polito e lo stesso Valentini che a quel punto non può più rifiutare. I “tre fratellini” si rimboccano le maniche, riformano il “timone” del giornale e la grafica, raddoppiano le pagine dei Commenti, la “nuova Repubblica” passa al full color e riprende quota.

Nella primavera del ’96, Valentini viene incaricato anche di coordinare il gruppo di lavoro che fonda il sito repubblica.it e il direttore, in tono tra lo scettico e l’ironico, gli chiede: “Ma tu mi devi spiegare perché dobbiamo cannibalizzarci le vendite in edicola…”.

Una mattina di maggio è lo stesso Scalfari ad annunciare nella riunione di redazione l’avvicendamento alla guida del giornale. “L’editore,” esordisce, “mi ha chiesto una rosa di tre nomi. Io ho domandato: una ‘rosa’ interna o esterna? Mi è stato risposto: esterna, per favorire una discontinuità. E allora, ho fatto i nomi di Ezio Mauro, Claudio Rinaldi e Paolo Mieli”.

Nessuno ha l’ardire di chiedere il motivo per cui la nuova proprietà pretende una “discontinuità”. Chiosa nel suo “romanzo” Valentini: “Caracciolo e De Benedetti si divertirono poi a dire che Scalfari s’era convinto di essere stato lui a scegliere Ezio Mauro”.

Scriverà Giampaolo Pansa nel libro La Repubblica di Barbapapà: “Scalfari aveva immaginato una scelta sorprendente: Bernardo Valli. Ad affiancarlo da condirettore poteva impegnarsi Valentini, già direttore dell’Espresso e molto legato a Eugenio”. Ma l’interessato nel suo volume per La Nave di Teseo commenta: “Non so se fosse vero o meno.

Ma, onestamente, Scalfari non mi parlò mai di quell’ipotesi. E comunque, la vendita a CdB aveva cambiato le carte in tavola”. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con il passaggio del Gruppo L’Espresso alla Fiat di John Elkann, sotto l’egida editoriale della Gedi. 

Oltre a un capitolo intitolato Mani ferite, la vera storia di Tangentopoli raccontata da Di Pietro; a quello sul Mistero della Sapienza, dedicato al delitto di Marta Russo all’Università La Sapienza di Roma, il “romanzo” di Valentini ne comprende uno più personale intitolato Una vita con Barbapapà, uno sul Giornalismo on line e infine si conclude con quello che risponde all’interrogativo sul futuro della professione, fra social network e intelligenza artificiale: faremo a meno dei giornalisti?