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 2023  ottobre 31 Martedì calendario

Biografia degli Oliver Onions

A renderli felici, dopo 60 anni di carriera, è l’emozione provata ogni volta che squilla un cellulare e parte la suoneria di Dune Buggy, brano ancora di culto composto per il film ...Altrimenti ci arrabbiamo! (1974) con Bud Spencer e Terence Hill: «Ci piace ascoltare in giro i nostri pezzi, che siano sopravvissuti ai decenni e rimangano impressi nella memoria collettiva», rivelano i fratelli Guido e Maurizio De Angelis di 78 e 75 anni, in arte Oliver Onions, autori di oltre 150 colonne sonore. Per celebrare una vita di successi il duo originario di Rocca di Papa, in provincia di Roma, sarà in concerto il 3 novembre al Lucca Comics & Games: ripercorreranno la loro parabola artistica assieme ad alcuni amici storici tra cui Franco Nero e Giancarlo Giannini, Michele Zarrillo e Amedeo Minghi, Omar Fantini, Moreno degli Extraliscio e il coro degli ANIMEniacs. Prolifici e versatili, gli Oliver Onions (il nome è quello dello scrittore britannico morto nel 1961, autore di storie di fantasmi e horror psicologici) hanno attraversato uno dei periodi più effervescenti per la produzione musicale e discografica.
Cambiereste qualcosa di questi 60 anni di musica?
GUIDO DE ANGELIS — Non mi rimprovero nulla, non penso che avremmo potuto fare di più. Abbiamo sofferto, fatto sacrifici, ma ci siamo anche divertiti molto. Tutto è cominciato con gli arrangiamenti realizzati per altri, poi è arrivato il film Per grazia ricevuta (1971, di e con Nino Manfredi, ndr) ed è stato un successo dopo l’altro.
MAURIZIO DE ANGELIS — Rifarei anche io tutto da capo ma poi, se mi metto a viaggiare con la fantasia, invidio un po’ i concertisti che si cimentano nei brani più spigolosi, penso a Rachmaninov, e mi dico: «Se invece della chitarra avessi studiato il pianoforte chissà, magari ci sarei riuscito...». Sono scelte che si fanno anche per necessità... Sono entrato nel mondo della musica giovanissimo, a 9-10 anni, avevamo un gruppo e facevamo le stagioni... Ci dividevamo 5 mila lire al giorno, dovevamo guadagnare in fretta per pagarci gli strumenti.

Con Bud Spencer a Terence Hill è nato un lungo sodalizio, per loro avete scritto 16 colonne sonore...
GUIDO — Con loro si è creato fin dall’inizio un rapporto di collaborazione. Di Bud ricordo la forza e l’estrosità gigionesca, Terence era più timido. Siamo diventati quattro amici al bar, andavamo sul set e partecipavamo a molte delle riprese: non ci bastava leggere la sceneggiatura, volevamo entrare dentro il film. Tra gli episodi più divertenti ricordo la volta che stavamo girando alcune scene di ...Altrimenti di arrabbiamo a Madrid e prendemmo il coro ufficiale dell’Accademia, che faceva musica classica, per fargli intonare il famoso lalalalalla improvvisato con Bud. Rimasi colpito da un’anziana signora, magrolina, che camminava nervosamente intorno al teatro... A un certo punto Bud mi disse: «Hai visto come ti guarda? Ti odia, non sopporta che stiate facendo cantare questa roba ai suoi allievi soltanto perché all’Accademia servono soldi... Se ti offre un caffé non ti fidare, come minimo ti avvelena...».
MAURIZIO — Bud è venuto spesso in studio da noi a registrare, tra gli altri Banana Joe. Facevamo di quelle mangiate, non era certo tipo da farti venire voglia di metterti a dieta. Ricordo grasse risate e un grande spirito di convivialità.
GUIDO — Con Terence sembriamo fratelli, abbiamo un rapporto strettissimo. Ai tempi di Don Matteo andavo a trovarlo sul set e mi confidava: ««Quanto mi manca l’odore dei cavalli, delle stalle, delle praterie...». Una volta lo invitai a pranzo a Spoleto e gli dissi: «Hai nostalgia di quelle atmosfere? Ecco, questa è la sceneggiatura di un western che vorremmo girare...». E lui, entusiasta: «Bellissimo, dove? A Manziana? In Abruzzo? Ad Almeria?». Quando gli svelai che saremmo andati a Santa Fe, nel New Mexico, dove è nato il genere western, non riusciva a crederci. Una volta finite le riprese di Doc West (miniserie del 2009 codiretta da Giulio Base, ndr) si è commosso.

Gabriella Ferri è tra i moltissimi artisti con i quali avete collaborato: che ricordi avete?

GUIDO — Gabriellina dolce... Abbiamo scritto gli arrangiamenti dei suoi ultimi tre album. Se n’è andata troppo presto.

MAURIZIO — Gabriella registrava dal vivo negli studi della Rca con noi che suonavamo intorno. Non c’era quasi mai bisogno di ritoccare nulla, giusto qualche minuzia. Lei era sempre sé stessa, riusciva a trasmettere empatia e nella sua voce c’era una malinconia popolare che arrivava al cuore. Nonostante fosse un’icona della romanità, riusciva a trasfigurare brani napoletani facendoli diventare piccole gemme. Probabilmente ha avuto meno successo di quello che avrebbe meritato... Ogni volta che riascoltiamo la sua voce ci rendiamo conto di aver perso una grandissima artista, quello che ha fatto non si può dimenticare.

Come si scrive una colonna sonora candidata a a diventare una hit senza tempo, che a volte riesce anche a superare il successo del film?

MAURIZIO — Quando veniamo incaricati di scrivere una colonna sonora, nel 90% dei casi il film ancora non esiste. Ci affidiamo alla fantasia seguendo le indicazioni del regista, se vuole un taglio serioso o da commedia, un registro epico, romantico, avventuroso... Si buttano giù delle idee, poi ci si confronta, nel frattempo iniziano le riprese. Il compositore è un po’ come il sarto, cuce addosso al film questo vestito sonoro su misura che deve relazionarsi bene con le scene in base ai temi che ha preparato prima e che dovrà sincronizzare con le diverse situazioni.

GUIDO — Quando Sergio Sollima ci chiese qualcosa di eclatante per Sandokan (serie tv del 1976, ndr) facemmo un’audizione con il regista, il produttore e due funzionari della Rai. Gli facemmo subito ascoltare il grido «Sandokaan, Sandokaaaan»... Avrei voluto avere con me la macchina fotografica per immortalare le loro facce.

MAURIZIO — Non sapevano che avevamo preparato la versione discografica, completamente pop, poi rimasta nell’immaginario. Quando la accennammo con la chitarra avvertimmo un po’ di sconcerto ma il coro iniziale era un desiderio di Sollima... Voleva che, sentendolo, alla gente venisse voglia di andare a vedere che cosa stesse succedendo da qualunque stanza della casa si trovasse.