Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 31 Martedì calendario

Il trucco fa tanti soldi

«Non smetto mai di lavorare». Michelangelo Pistoletto, 90 anni, biellese, è al Castello di Rivoli per gli ultimi dettagli dell’allestimento della sua mostra Molti di uno, che inaugura domani e dura fino al 25 febbraio. L’artista italiano più famoso e quotato del mondo ammette: «Potrei anche smettere, e tutti possono, ma quando lo fanno sono morti: è la fine».Un vero artista non va in pensione?«Nella Cittadellarte, la mia fondazione vicino Biella, sviluppiamo delle attività con le aziende perché chi va in pensione possa frequentare una scuola di ripartenza per occupare al meglio il tempo libero. Non ha senso starsene a casa sul divano. Le persone poco impegnate devono interessarsi a fare qualcosa di utile alla società. E io stesso provo a esserlo con la mia arte».A Napoli la sua Venere degli stracci è stata bruciata da uno squilibrato e il 22 gennaio ne regalerà un’altra alla città. Ci era rimasto male?«La sto rifacendo, ma ci vuole ben altro per dispiacermi. Mi addolora per esempio chi muore nel mondo a causa della brutalità umana, di cui il rogo della Venere è solo un piccolo esempio. Quindi la rifaccio volentieri, anche perché è un simbolo di generazione e rigenerazione. La Venere rigenera con la sua bellezza gli stracci che rappresentano gli avanzi del mondo».L’arte può rigenerare anche una città, per esempio Torino in questa settimana di Artissima?«L’arte può far partire una rigenerazione, anche se sono talmente preso dagli impegni che non ho avuto tempo di pensare ad Artissima».Torino è tornata centrale nel sistema dell’arte?«Non vedo città centrali, neppure Milano o Roma, perché non ci sono più movimenti e situazioni di punta. L’ultimo gruppo degno di nota è stato quello dell’Arte povera, poi la Transavanguardia ha testimoniato ciò che era evidente a tutti e cioè che non c’era più alcuna avanguardia. Ora vedo solo tanti artisti che si dichiarano tali e che tentano di esprimersi in ogni angolo del mondo».Perché non ci sono più movimenti?«Siamo tutti individui, senza più bisogno di gruppetti, pronti ad aprirci direttamente alla città e alla società. Io stesso superai l’arte povera. È l’epoca della metaopera, in cui l’artista interviene direttamente nella sua arte, oltre ogni frontiera delle discipline».Almeno l’arte resta un’espressione libera o il mercato finisce per condizionarla?«Nessuno può obbligare un artista a fare qualcosa di non sentito o non voluto. L’importante per tutti è non perdere di riferimento il bene comune. Non esiste arte senza questo. Il mercato poi è una conseguenza della creatività, della società e dei desideri. Altrimenti sarebbe come dire che non bisogna più scrivere canzoni perché ci sono le case discografiche e i festival».Chi sono i suoi maestri?«Mio padre Ettore Olivero Pistoletto innanzitutto, che mi ha insegnato l’arte e mi ha coinvolto nel restauro di quadri antichi. Poi alla radice del mio lavoro c’è Piero della Francesca, che ha aperto la prospettiva del Rinascimento. Infine, Alberto Burri e Lucio Fontana. Queste sono le persone, ma anche delle storie mi hanno ispirato. Nell’Antico Egitto, per esempio, si usava l’oro nell’arte funeraria per i calchi delle persone e quel metallo per me è diventato lo specchio, sempre alla ricerca dell’immortalità».Grazie ai suoi maestri si sente parte di un prima e di un dopo nella storia dell’arte?«Certo, i miei quadri specchianti determinano proprio questo passaggio. Si va da una prospettiva sempre in avanti, a un davanti e un dietro, che nello specchio ci comprende. Si può andare avanti, ma anche riconsiderare il passato per continuare meglio con una doppia prospettiva».Per un artista è fondamentale avere un maestro?«Per me lo è stato e per questo quando mi chiamano maestro dico sì, ci sono e cerco di spiegare, insegnare, far conoscere e conoscere con loro. Ho aperto la Cittadellarte, un’accademia e scritto il libro La formula della creazione per questo».Le sue letture?«Pochissime, preferisco mantenermi puro ed essere un autodidatta. Ho guardato con gli occhi, ho pensato attraverso di essi e viaggiato molto per portare in giro il mio lavoro».Lei è la sua opera insomma?«La mia vita è la mia arte e viceversa. Ho fatto un quadro che rappresenta il mio fisico con dodici Qr code da cui ricavare con lo smartphone dei contenuti su di me, che è esposto a Rivoli tra ventinove stanze dedicate ognuna a un settore della vita sociale».Perché continua a vivere a Biella e non altrove?«Per me è il punto di irradiazione, non l’ho scelta, è stato un caso che nascessi lì».Che rapporto ha con Dio?«Anni fa realizzai una grande scritta “C’è Dio? Sì, ci sono"».Si sente Dio?«Lo siamo tutti noi, nello specchio non manca nessuno. Io credo nell’umanità, nell’essere pensante, che cerca di capire cosa ci sia oltre».Se le dico destra e sinistra?«Ci sono ancora entrambe e vanno congiunte tra loro con un cerchio in cui creiamo tutti insieme una via nuova».È per la terza via?«Chiamiamola in modo originale, è una formula, un incontro, un elemento che funziona in tutto, anche nella politica. Penso a una demopraxia composta da tante piccole organizzazioni efficienti, fatte da almeno due persone che risolvono problemi pratici».Vuole due Meloni?«No, penso per esempio a una famiglia, a un’associazione, a una piccola o media impresa. È ora che la società civile si accorga che il potere politico non è solo quello che viene eletto, ma anche quello delle migliaia di organizzazioni di cui si compone». —