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 2023  ottobre 30 Lunedì calendario

Dopo la guerra


Nella trepidazione per gli ulteriori e drammatici sviluppi a Gaza, seguita allo stallo della mediazione per la liberazione degli ostaggi, l’azione militare di Israele appare conformarsi a quello che si configura sempre più come un uso alternativo da parte di Hamas degli stessi come “scudo umano” piuttosto che come mezzo primario per ottenere concessioni, al momento prefigurate nell’ipotesi del rialzo massimo possibile nelle richieste di scambio.Israele intensifica le azioni via terra in una sorta di «fase 2». Conflitto che «durerà a lungo» secondo Netanyahu, fermo restando l’obbligo per Israele di rispettare le norme del diritto internazionale anche nell’esercizio del diritto alla difesa. Permane, dunque, il timore generalizzato di una escalation nella regione; ad esclusione di quei fiancheggiatori di Hamas che vedono nel conflitto un’opportunità e non una tragedia. Su tutti Teheran – al netto delle smentite di Khamenei – e con lo sguardo interessato dalle retrovie di altri come la Russia.In uno scenario dai contorni militari così complicati ed umanitari così drammatici si interroga la diplomazia internazionale su possibili formule di stabilizzazione post-conflitto nell’area più tormentata di sempre. Nella premessa, al momento aleatoria, di una neutralizzazione di Hamas, che nel frattempo chiama a raccolta la componente radicale in Cisgiordania. In questa ottica va registrato il sostegno politico al ruolo che va assegnandosi all’Autorità Nazionale Palestinese guidata dall’anziano Abu Mazen, leader fino a oggi simbolo di irrilevanza, poca credibilità e corruzione: ma comunque “interlocutore”. Vista così appare quanto meno utile il messaggio dell’ultimo Consiglio europeo a supporto dell’Anp, dopo settimane a Bruxelles caratterizzate da confusione, stonature e fughe in avanti come quella di Von der Leyen. Un vertice con un’agenda monstre che includeva, oltre a Gaza, l’Ucraina, la revisione di bilancio, l’economia, le migrazioni e persino, a margine, contatti con i leader di Serbia e Kosovo da mesi in tensione. Un ordine del giorno da far rievocare la caustica definizione di Churchill sui Balcani e adattabile alla situazione generale di oggi «nella quale si sta producendo più storia di quanto si sia in grado di digerire».Questo sostegno di Bruxelles si salda anche con la posizione di Washington dopo la non scontata ammissione del presidente Biden di «non ripetere gli errori seguiti all’attacco alle Torri Gemelle del 2001». Una linea solo abbozzata, con la Ue presumibilmente nel ruolo abituale di “ufficiale pagatore”, suscettibile di coinvolgere altri attori di rilievo a partire dall’Arabia Saudita. Ma, non da ultimo, con una Lega Araba chiamata ad uscire dall’ambiguità pluridecennale di molte leadership della regione. E con un ruolo di coordinamento, in una fase non si sa quanto transitoria, assegnato alle Nazioni Unite. Senza abbandonare quella tela di intese che si spera solo allentata e non recisa dal riesplodere del conflitto. Disegno quest’ultimo in cima agli obiettivi da colpire di Hamas e Hezbollah con la regia di Teheran.Nell’ipotesi di vedere alla luce, anche in modo embrionale, un disegno politico ed assistere alla liberazione degli ostaggi senza passare da una Striscia di Gaza rasa al suolo, va letta lateralmente la posizione assunta da Erdogan. Il leader turco, con abituale spregiudicatezza, si è espresso in termini sempre più perentori a favore di Hamas subito dopo aver tolto il veto all’ingresso della Svezia nella Nato.Evidente il suo proporsi tra i possibili interlocutori di rilievo dell’attuale e futura fase. Ruolo da non pregiudicarsi anche per il Segretario generale dell’Onu Guterres, che ha speso la sua immagine schierandosi con le molte risoluzioni approvate in questi anni dall’Assemblea generale dell’Onu a sostegno della causa palestinese. Indiretta conferma con la recente approvazione dell’ultima risoluzione a New York. La mancata condanna dell’aggressione di Hamas e del simmetrico diritto alla difesa di Israele ha indotto diversi Paesi, tra i quali l’Italia, ad astenersi.Un’ipotesi che prova a disegnare il futuro convive gioco forza con la drammatica incertezza del presente. Uno sviluppo militarmente ancora più drammatico e su vasta scala, infatti, aprirebbe gli scenari a varianti non prevedibili. Vi è da augurarsi che non sia questo l’abbrivio e che tutti si impegnino seriamente per scongiurarlo