La Stampa, 30 ottobre 2023
Intervista a Paulina Olowska
Prendete dei riferimenti erotici anni ’70, tipo Emanuelle, cocktail miscelati per sedurre in combinazioni rosso-rosastre da ’80 pieni, conversazioni tra donne dominatrici negli ormai emancipati ’90 e cercate di capire che cosa manca in questo viaggio nella seduzione. Facile, un punto di vista: è tutto ideato da una prospettiva maschile, quel che regge ancora e quel che si è perso nelle soffitte dell’autoerotismo. Paulina Olowska, artista polacca che giovedì alle 18,30 apre il suo show alla Fondazione Sandretto di Torino, prova a completare e ad aggiornare il quadro. Lo fa con Visual persuasion, appuntamento chiave dell’Art week appena iniziata e spettacolo che occupa l’intero spazio espositivo, dalla caffetteria al ripostiglio: «Volevo che il pubblico si sentisse coinvolto e circondato».Da dove nasce l’idea?«Da un libro pubblicato nel 1961, negli Stati Uniti, dal pubblicitario Stephen Baker. Analizza l’effetto delle immagini sul subconscio, uno studio fatto per la capacità attrattiva. Io indago quel che veicola il desiderio. Ho messo le mie opere in dialogo con quelle della Collezione Sandretto perché cerco un confronto, un percorso aperto in cui entra la città, Torino. Mi pare magica e la sessualità è magia».Come ha portato Torino dentro un soft porn?«Con delle scritte, con dei vestiti. Con le esperienze dei giorni qui. Un’insegna può essere erotica, io accendo insieme quelle di Parigi, Chicago, Torino: La casa del materasso».Un gioco. Ma la dimensione ludica non è mai mancata all’erotismo.«Sì, ma siamo mancate noi, è mancato il femminismo. Una delle opere in mostra parte da Viva, rivista unica nel suo genere perché nei ’70 si chiedeva che cosa potesse piacere alle donne. Era diretta da uomini che non hanno fatto ricerche in merito, hanno solo cercato di ammorbidire la pornografia. Io non cerco di dire che la sensualità va in una direzione piuttosto che in un’altra, ma che dobbiamo smettere di darla per scontata così come l’abbiamo ereditata e sono convinta che molti guasti, maltrattamenti, assenze e disuguaglianze partano da lì».Sono passati 50 anni da quella rivista.«Polly Barton ha appena pubblicato Porno. Una storia orale e le persone intervistate dicono che vorrebbero essere parte della conversazione sull’erotismo. È ora di negoziare un nuovo linguaggio e non riguarda il vocabolario, piuttosto l’immaginario».Negoziare con chi? Con gli uomini?«No, un patto più diffuso, sociale, universale. Prendiamo le app, Tinder, Grinder e simili: si propongono come territorio di libertà e uguaglianza. Lo sono. Siamo felici di Tinder?».Lo siamo?«Mi pare la solita prospettiva. Per questo ho creato connessioni con opere di altri periodi. Cerchiamo di capire da dove siamo passati, esistono idee che valgono oggi. In un video di Sylvère Lotringer, due dominatrici, una è Catherine Robbe-Grillet, la più nota in questo ruolo, dialogano sul potere. Se ti fai pagare sei libera? Quando sei al comando? In un film di Walerian Borowczyk, La Bestia, la principessa corre nel bosco dietro l’animale. E le domande sono sempre le stesse: la donna avrà fatto sesso con la bestia? Parliamo di uno stupro o di un piacere? Lei ha stuzzicato la bestia?».Attenzione, i lupi stuzzicati sono un argomento sensibile in Italia oggi.(Ride). «Lo sono sempre e ovunque. È questo il principio: io non lo so che succede nel film ma il punto di vista della donna non viene difeso da nessuna interpretazione. O perversa o vittima che se l’è cercata. Così ho girato una versione alternativa: il mio primo soft porn. Spero vi piaccia»Uomini e donne hanno davvero un punto di vista diverso sul sesso?«No, è molto simile, ma le sfumature contano e da troppo tempo esiste solo una voce, l’hanno dettata gli uomini. Non so che cosa vuole una donna da un porno. Scopriamolo, invece di chiederci: “Alle donne serve guardare il porno? “. Che domanda è?».A che punto entrano gli uomini nel dibattito?«Spero in questo show. Però nel dialogo con gli studenti di Torino, organizzato pochi giorni fa, su dieci domande, sette erano delle ragazze».Sicura che per gli uomini sia facile parlare di fantasie? Forse sono più abituati agli stereotipi che ai desideri?«No. Sono… viziati. Non fanno alcuno sforzo, gli è stato sempre dato tutto per garantito, anche le fantasie: il loro linguaggio, la loro prospettiva, la loro eccitazione, il loro godimento. Io non voglio sentirmi coccolata da un porno, voglio sentirmi sicura quando ne guardo uno».Lei è nata in un Paese comunista, cita anche un certo voyeurismo proibito. Quanto l’ha influenzata?«Sono cresciuta in Polonia, poi ho studiato a Chicago: ho una doppia cultura e la metto nella mia arte. Ho vissuto ad Amsterdam e in Giappone e sono tornata in Polonia, scelta consapevole per trattare con la mia infanzia. Ho mantenuto dei riferimenti storici e sono stata criticata e definita nostalgica, all’inizio della carriera. Però non puoi far sparire sotto il tavolo quel che ti ha formato. Rimuovere non vuol dire crescere»