La Stampa, 30 ottobre 2023
I prigionieri palestinesi
Abdullah Allariya è stato rilasciato dal carcere di Megiddo quattro giorni fa. La città di Tulkarem se n’è accorta dagli spari. È così che si festeggia la liberazione di un prigioniero, qui. Scendono in strada i gruppi armati, scendono in strada i vicini, i bambini che assaggiano la gioia dei parenti e, insieme, assaggiano il sapore delle armi. Dieci, undici, tredici anni, i padri che si tolgono gli M16 dalle spalle e li mettono in mano ai figli, ai nipoti, ai fratelli minori. Una esibizione della violenza che diventa rivendicazione di un diritto riguadagnato, quello della scarcerazione dopo mesi di detenzione amministrativa.Abdullah Allariya è stato arrestato a fine dicembre, insieme ad altri sei giovani del campo profughi di Tulkarem. Ha passato dieci mesi chiuso in cella con altre otto persone. Poi, il 7 ottobre anche per loro tutto è peggiorato. Quel sabato mattina gli uomini dell’amministrazione penitenziaria sono entrati nelle celle e hanno detto: quello che accade là fuori non deve avere niente a che fare con quello che accadrà qua dentro. Tradotto, significava: non reagite. E loro, i prigionieri, non l’hanno fatto. Ma da quel sabato, nel carcere di Megiddo, come nelle altre prigioni israeliane è cambiato tutto. Le guardie penitenziarie hanno tolto le coperte ai detenuti, tagliato l’acqua e l’elettricità e eliminato uno dei pasti quotidiani. Quattro giorni fa Abdullah Allariya ha ricevuto notizia del rilascio alle cinque del mattino, ha potuto lasciare Megitto dieci ore dopo, nell’intervallo di tempo che separa la notizia di scarcerazione dall’apertura del cancello, è stato picchiato due volte.A Megiddo, il giorno in cui Abdullah l’ha lasciato, c’erano 3 mila persone, un anno fa erano 1.000.Numeri che raccontano la gravità della vita dei prigionieri palestinesi e spiegano anche i tentativi negoziali di Hamas degli ultimi giorni, il rilascio di tutti gli ostaggi in cambio del rilascio di tutti i prigionieri. Per capire perché questo tema sia così centrale, bisogna fare qualche passo indietro, a partire dai dati delle ultime settimane.Secondo i dati forniti da Addameer, un gruppo per i diritti dei prigionieri con sede a Ramallah, dal 7 ottobre Israele ha arrestato 4 mila lavoratori di Gaza e più di 1.000 persone nella Cisgiordania occupata, numeri così alti da aver raddoppiato i palestinesi tenuti in custodia fino a poche settimane prima.Fino al giorno della strage nelle carceri israeliane c’erano circa 5 mila palestinesi, oggi sono più di diecimila.Prima dell’attacco, ogni giorno venivano di media arrestate 15-20 persone. Ma dal 7 ottobre, secondo i funzionari palestinesi, il tasso di arresti giornalieri di palestinesi in Cisgiordania è salito a 120 persone al giorno, molti nei raid quasi quotidiani a Jenin, Tulkarem, Nablus.Giovedì mattina Addameer ha tenuto una conferenza stampa a Ramallah. Il capo della Commissione per i detenuti dell’Autorità Palestinese, Qadura Fares ha parlato di una situazione «senza precedenti e molto pericolosa». Detenuti ridotti alla fame e alla sete, senza accesso alle medicine, prigionieri con malattie croniche che richiedono cure regolari, peggiorati rapidamente quando l’amministrazione penitenziaria ha tagliato acqua e elettricità. «Hanno anche chiuso le cliniche carcerarie – ha detto – impedendo ai detenuti di recarsi nelle strutture mediche esterne, nonostante la presenza di alcuni malati di cancro tra i detenuti che necessitano di cure continue. La cosa più pericolosa è che nelle ultime tre settimane abbiamo ricevuto notizie allarmanti di ripetute aggressioni fisiche. Tutti coloro che vengono arrestati vengono aggrediti regolarmente».Maltrattamenti confermati da Abdullah Allariya. Nelle ultime settimane in ogni cella c’erano fino a 15 persone. Allariya ha raccontato di maltrattamenti degradanti: «Ci prendevano a pugni in faccia, ci picchiavano, ci sputavano addosso e ci calpestavano. Ci hanno fatti inchinare davanti a loro, uno per uno, chi di noi si rifiutava veniva trascinato in una cella di isolamento e picchiato per ore. Se poteste entrare ve ne accorgereste dal sangue sui pavimenti, ma da mesi non entrava più nemmeno la Croce Rossa Internazionale».Il peggioramento delle condizioni dei detenuti fa seguito all’inasprimento delle leggi emanate dalla Knesset, il parlamento israeliano, che due settimane fa ha approvato un piano – per ora trimestrale – che prevede la riduzione dello spazio abitativo minimo assegnato a ciascun prigioniero. Prima del 7 ottobre era di 3 metri quadrati a persona, oggi lo spazio diminuisce al crescere dei detenuti.Decisioni che fanno seguito al piano carcerario del ministro della Sicurezza Nazionale, l’estremista di destra Itamar Ben-Gvir che qualche mese fa aveva già cominciato a emanare norme che peggioravano le condizioni dei prigionieri, tra cui la privazione dell’acqua calda e il divieto di portare loro il pane. In più ha impedito l’attuazione della legge sul rilascio anticipato e ha ordinato alle autorità carcerarie di intensificare le incursioni nelle stanze dei prigionieri e le ispezioni casuali.Il 13 ottobre a meno di una settimana dall’attacco di Hamas, Israele ha anche modificato la legge che rende più semplice l’arresto dei palestinesi per mero sospetto. Come riporta Al Jazeera, queste norme sarebbero l’equivalente della detenzione amministrativa nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est. I detenuti amministrativi sono trattenuti secondo la procedura della “detenzione preventiva”, che si basa su informazioni di intelligence secretate, che non vengono condivise né con i detenuti né con i loro legali. Non sono previste udienze probatorie e gli avvocati non sono messi a conoscenza delle prove. Le udienze sui fermi amministrativi sono chiuse al pubblico, e la durata della detenzione amministrativa è imprevedibile. Dovrebbe in teoria durare da tre a sei mesi, ma spesso viene rinnovata a ogni scadenza.Quasi tutte le 1.100 persone arrestate dal 7 ottobre sono state trasferite in carcere in regime di detenzione amministrativa. Imprigionati senza accuse né processo. Già nel 2015 un rapporto delle Nazioni Unite descriva gli «abusi fisici e le umiliazioni sofferte da palestinesi nelle strutture carcerarie israeliane». Il rapporto parlava di «torture fisiche, intimidazioni psicologiche durante gli interrogatori, percosse, isolamento e rifiuto di visite familiari». Quel rapporto denunciava inoltre che fossero sempre di più i bambini soggetti allo stesso trattamento. Il caso forse più eclatante è quello di Ahmad Manasra, arrestato a 13 anni e interrogato senza supporto legale. Nonostante la sua età, nonostante fosse stato gravemente ferito durante l’arresto, nonostante una diagnosi di schizofrenia, nonostante – soprattutto – si fosse giunti alla verifica che non aveva partecipato all’accoltellamento per cui era stato arrestato, Manasra è in prigione dal 2013 e in isolamento dal 2021, ai sensi di una legge antiterrorismo approvata anni dopo il suo arresto. Secondo le organizzazioni palestinesi, tra i 1.100 arrestati delle ultime settimane, 170 sono bambini, 20 dei quali trattenuti in isolamento.C’è un dato, a monte dei report, da tenere in conto. Al di là dei trattamenti riservati ai prigionieri palestinesi, la loro detenzione è illegale per il diritto internazionale. Israele resta uno stato occupante in Cisgiordania (la zona in cui viene registrato il maggior numero di arresti), perciò il trasferimento forzato di persone dai territori occupati alle carceri israeliane è in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, che regola, appunto, gli obblighi delle forze occupanti.C’è anche tutto questo alla base delle richieste di Hamas. I prigionieri in cambio degli ostaggi. Israele ha rifiutato l’offerta. Non è più il 2011, quando il caporale Gilad Shalit fu rilasciato in cambio di 1.027 prigionieri palestinesi. È il 2023, Israele è in guerra con Hamas. Una guerra che si combatte anche, purtroppo, sulla sorte degli ostaggi da 22 giorni nella Striscia di Gaza e su quelli dei palestinesi detenuti nelle 23 carceri israeliane. «Abbiamo perso la dignità là dentro – dice Abdullah Allariya, mentre i combattenti di Tulkarem sparano in aria – ci hanno calpestato e umiliato. Nessuno di noi dimenticherà, né i rilasciati, né quelli ancora in cella». —