la Repubblica, 29 ottobre 2023
Intervista a Judith Hill
Un palmares di collaborazioni senza eguali: Michael Jackson, Prince, Stevie Wonder, Rod Stewart. Prima di diventare una cantautrice di successo, Judith Hill è stata una delle voci più richieste. Poi l’incontro con Prince che le ha prodotto il disco di debutto, Back in time. In questi giorni, in attesa di pubblicare il suo prossimo disco, la cantautrice americana arriva in concerto in Italia, il 2 novembrea Milano, il 4 al Roma Jazz Festival e il 5 a Bologna.Ha da poco pubblicato un nuovo brano, “Runaway train”, in cui dice di sentirsi come un treno in fuga.«Facciamo per anni tour in giro per il mondo e se da un lato è molto eccitante perché visiti città e sali su palchi diversi, a un certo punto ti rendi conto che ciò che vivi non è più soltanto una carriera ma uno stile di vita. La musica ha una serie di conseguenze e sacrifici, io ho perso il senso di comunità che avevo quando vivevo a casa mia».Il brano parla anche di come una donna deve difendersi in un ambiente come questo.«La musica nel mondo occidentale è associata all’idea della celebrità, per cui devi vendere molti dischi e biglietti, devi essere famoso. Non devi essere Beyoncé per avere un impatto con la tua musica. Gli artisti sono tutti importanti allo stesso modo, il mondo ne ha bisogno».Nel 2009, pochi mesi prima di morire, Michael Jackson la scelse per il tour “This is it”.«Mi presentò un mio amico musicista e dopo un’audizione Michael mi volle per cantare in duetto con luiI just can’t stop loving younei concerti di Londra. Facemmo alcune prove e la cantammo insieme allo Staples Center di Los Angeles. Fu di grande ispirazione per me poter osservare la sua energia».Qualche mese dopo lei cantò “Heal the world” nel concerto di commemorazione.«Fu molto emozionante ma anche difficile da realizzare perché le prove con lui erano finite da appena due settimane».Nel 2015 l’incontro con Prince: la invitò a registrare il suo disco di debutto “Back in Time” al Paisley Park di Minneapolis.«Produsse lui le mie canzoni, io osservavo e imparavo. Paisley Park era un posto nel mezzo del nulla, eppure sembrava di stare nel centro del mondo: era Prince a renderlo speciale grazie alla sua chiarezza e purezza di mente. Ero dentro il music business, stavo per firmare con la Sony ma sarebbe stato un disastro: ne uscii mentalmente grazie a Prince, per ritrovarmi inqualcosa di autentico in mezzo al caos».Anche Prince e Michael Jackson si sono rivelati fragili.«Credo fossero artisti connessi con l’energia dell’universo ma ogni volta che porti qualcosa di grande e di intenso al pubblico ne soffri le conseguenze. La loro visione così grande e il loro messaggio così importante significano impiegare un’energia enorme, come una stella che brucia intensamente. C’erano forze nel mondo che si opponevano, che volevano silenziarle, e alla fine cisono riuscite».Nel 2013 ha partecipato a The Voice Usa ma è stata eliminata. Che esperienza è stata?«Lì ho capito chi sono per l’America.Nei talent hanno bisogno di segnali semplici, di capire in quale casella posizionarti e in che modo raccontarti, se sei come me, cioè per metà nera e per metà giapponese e per giunta fai soul, risulti troppo ingombrante, dovresti essere solo nera. In certi casi un talent vale come un corso di sociologia».