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 2023  ottobre 29 Domenica calendario

Erdogan, il nuovo Saladino

Un Saladino neo-ottomano si erge sul Medio Oriente. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non solo difende i militanti di Hamas, chiamandoli «liberatori, non terroristi», ma definisce Israele «un criminale di guerra» e l’Occidente «responsabile del massacro in corso a Gaza». Se non bastassero le parole, a chiarirne il senso provvede l’immagine della kefiah bianconera che Erdogan porta al collo al comizio di Istanbul, con la riproduzione della bandiera della Turchia su un lato e della bandiera della Palestina sull’altro: quasi una sovrapposizione, per ricordare che quella terra è appartenuta per quattrocento anni all’Impero ottomano, di cui lui aspira a essere l’erede. Se non per governare la Palestina, come facevano i sultani suoi predecessori, sicuramente per proteggerla, influenzarla, controllarla, presentandosi come l’unico vero leader dell’intera regione, dal Bosforo al canale di Suez.Già nei giorni scorsi, quando il presidente turco ha detto per la prima volta che quello di Hamas «non è terrorismo», le sue dichiarazioni avevano suscitato preoccupazione nella diplomazia occidentale.Ma il discorso che ha pronunciato ieri, accompagnato da una eloquente coreografia, rischia di aprire una crisi con un Paese membro della Nato e in fondo tuttora candidato all’ingresso nell’Unione Europea.Perché Erdogan ha preso una posizione di sfida così temeraria? Si possono individuare tre ragioni. La prima è che l’Islam politico rappresenta il credo ideologico su cui ha basato le sue vittorie elettorali e la svolta autocratica imposta alla Turchia: un’ideologia le cui radici risalgono alla vasta galassia islamista dei Fratelli Musulmani, un estremismo religioso che lo imparenta automaticamente con i fondamentalisti di Hamas, membri della stessa famiglia.La seconda ragione è la malcelata ambizione di Erdogan di affermare la Turchia come potenza neo-ottomana, discendente dell’Impero che ha dominato il vicino Oriente, dai Balcani al Golfo Persico, fino alla sconfitta nella Prima guerra mondiale.Difendendo con un linguaggio simile la feroce carneficina di Hamas del 7 ottobre scorso, più ebrei ammazzati in un giorno dall’era dell’Olocausto in poi, il leader turco manda un chiaro messaggio al mondo arabo, che ha difeso i palestinesi ma stando attento a non rompere tutti i ponti con Israele, tantomeno con gli Stati Uniti e i loro alleati europei: soltanto lui ha il coraggio di parlare così allo Stato ebraico e all’Occidente, mentre loro sono pavidi e sottomessi.E la terza ragione è che Erdogan si permette un atteggiamento simile subito dopo avere dato finalmente luce verde all’ingresso della Svezia nell’Alleanza Atlantica, come era già accaduto, dopo lunghi tentennamenti, con la Finlandia: la Turchia ha fatto un favore alla Nato, cedendo alle pressioni dell’America e rimanendo in sostanza fedele alla solidarietà occidentale di fronte all’aggressione della Russia in Ucraina.Questo lo fa sentire in diritto di dire ciò che vuole sulla nuova guerra che infuria in Medio Oriente, come per ribadire che la Palestina è nel cortile di casa sua, legata a Istanbul da una storia secolare. Si può scommettere che, se criticato privatamente dai partner occidentali per le parole su Hamas, su Israele, su Gaza, Erdogan risponderebbe: le cose in Palestina si sono guastate quando l’ha presa in mano il Regno Unito nel 1922 con il “mandato britannico”, dopo la sconfitta ottomana nella Grande Guerra. Finché era controllata dai turchi, andava tutto bene.E c’è un altro possibile argomento che spiega il suo comizio: molti di coloro che marciano per la Palestina in Europa e negli Usa pensano che Hamas non sia un gruppo terroristico (sebbene Stati Uniti e Ue lo classifichino come tale), che Israele sia «un criminale di guerra», che l’Occidente sia «responsabile dei massacri a Gaza», anche se non tutti lo dicono apertamente. Il nuovo Saladino si sente insomma inattaccabile dall’esterno.Il dubbio è se, abbracciando così strettamente Hamas, non possa perdere consensi sul fronte interno. Ma è stato rieletto presidente, per la terza volta, pochi mesi fa. Ne ha di tempo il sultano di Istanbul per rafforzare il potere, prima delle prossime elezioni presidenziali.