la Repubblica, 29 ottobre 2023
Armita è morta
BEIRUT – Qualche giorno fa sul suo profilo Instagram era comparsa una scritta – “Anche la notte più buia finirà e il sole tornerà a splendere” – e tutti avevano sperato che Armita Garawand potesse ancora farcela. Invece no. È morta dopo 28 giorni di coma, aveva 17 anni. È morta come Mahsa Amini, la 22enne curda arrestata un anno fa perché aveva lasciato una ciocca di capelli fuori dal velo, e morta due giorni dopo mentre era in custodia della polizia. Ma Armita era diversa da Mahsa cresciuta in una famiglia religiosa. Le ultime immagini in vita la riprendono mentre con uno spolverino lungo, capelli corti e piercing sulle labbra, entranella metro di Teheran per andare a scuola. Come un’intera generazione di coetanee, col capo scoperto, aveva deciso di non subire l’oppressione, le regole di abbigliamento, e non solo, che il sistema impone alle donne, la sua “morale”.Dal vagone della metro, Armita è uscita distesa, immobile, trascinata di peso dalle amiche. Quel che è successo all’interno, non lo sapremo forse mai, perché la polizia ha diffuso le immagini solo del prima e del dopo. Testimoni, parenti e amiche sono stati costretti al silenzio. L’unica giornalista diShargh che ha provato ad avvicinarsi all’ospedale è stata arrestata. I resoconti di media indipendenti, basati all’estero ma con una buona rete di fonti in Iran, come Iranwire, parlano di un’aggressione da parte dalla sicurezza interna della metro. Trauma cerebrale, coma. Già lo scorso 22 ottobre i medici avevano parlato di “morte cerebrale”.Il governo sostiene invece che Armita sia caduta a terra per un calo di pressione. IlGuardian è riuscito a parlare con due testimoni che eranonella carrozza della metro. Una donna col chador aveva cominciato a discutere con Armita perché non indossava il velo. «Le urlò contro chiedendole perché non fosse coperta», riferisce ilGuardian. «Armita le rispose: “Ti chiedo di toglierti il velo? Perché mi chiedi di indossarlo?”». A quel punto la donna l’avrebbe spinta a terra. Un racconto opposto a quello fornito dai media ufficiali. La madre della ragazza, Shahin Ahmadi, è comparsa in tv sostenendo che la figlia avesse avuto un calo di pressione. Testimonianza estorta, secondo gli attivisti. Il giornale riformistaHam Mihan ha chiesto al governo di permettere «ai media indipendenti di indagare» sulla vicenda per «convincere l’opinione pubblica». Non accadrà.Quando è morta Mahsa Amini ancora c’era qualche spazio di libertà per i reporter iraniani. Ma l’anno di repressione brutale, con oltre 500 morti e più di 70 giornalisti arrestati, ha cambiato le cose. Niloufar Hamedi e Elahé Mohammadi, le due giornaliste che per prime raccontarono la morte e il funerale di Mahsa, e le proteste, sono in carcere da un anno e sono state condannate a una pena complessiva di 25 anni, accusate di aver collaborato «con una potenza ostile, l’America». Per aver fatto informazione. Non era passata nemmeno una settimana dal 1° ottobre che il ministro dell’Interno iraniano Ahmad Vahidi aveva già spiegato quale sarebbe stata la posizione del governo: non c’è nulla sui cui indagare, è tutto chiaro. «I nemici vogliono sobillare proteste nel Paese».