Corriere della Sera, 29 ottobre 2023
La scelta di Arafat
Gerusalemme Le divise verde oliva stirate, i kalashnikov a tracolla, le keffiah bianche e rosse sulla testa. I miliziani palestinesi arrivano al porto di Beirut sulle camionette, da lì salgono a bordo dei traghetti greci e ciprioti, sparano qualche ultimo colpo in aria. Sembra la partenza di una crociera, è una ritirata. Dai tetti gli agenti del Mossad scrutano i movimenti con i telescopi, scattano foto: vogliono essere certi che Yasser Arafat e tutti i suoi uomini lascino il Libano, direzione Tunisi.
L’operazione Pace per la Galilea era partita il 6 giugno del 1982 con un obiettivo più limitato, spingere le postazioni palestinesi verso nord, almeno una trentina di chilometri, allontanarle dai villaggi israeliani bersagliati dai razzi e dalle infiltrazioni dei fedayyin. Questo è l’ordine dato dal premier Menachem Begin, mentre Ariel Sharon, il suo ministro della Difesa, decide di premere l’invasione molto più in profondità, fino a mettere sotto assedio la parte ovest della capitale libanese dove sono installati il capo di Fatah e i suoi.
«Pace per la Galilea»
Israele voleva spingere i palestinesi verso nord e arrivò ad assediare la capitale libanese
Arafat minaccia di trasformare quella zona di Beirut nella sua «Stalingrado», come adesso ripetono i capi di Hamas dai loro rifugi sicuri all’estero, tutta Gaza – con una popolazione di 2,3 milioni di abitanti – deve resistere per loro, esposta ai bombardamenti massicci, ai colpi devastanti dell’artiglieria e dei carri. L’accerchiamento a quello che diventerà il primo presidente palestinese – dal 1996 fino alla scomparsa nel 2004 – dura 10 settimane, 5 mila morti soprattutto libanesi solo nella città, per la maggior parte civili, 360 soldati israeliani caduti. In totale, dall’incursione ai primi di settembre, le vittime sono 17 mila.
L’appello
Il giornale Al Sharq Al Awsat al capo jihadista Sinwar: lascia la Striscia fallo per la causa
Adesso che i carrarmati avanzano dentro Gaza alcuni analisti ipotizzano che l’ammainabandiera da parte di Arafat 41 anni fa possa rappresentare una soluzione anche per la Striscia. «I boss di Hamas sanno come fermare la guerra. Basta che annuncino: rilasciamo tutti gli ostaggi ed evacuiamo Gaza», commenta Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare e da 12 anni alla guida dell’Institute for National Security Studies all’università di Tel Aviv. Nell’intervista alla rivista Politico aggiunge però che «Israele non può tornare sulla stessa linea di demarcazione segnata con il ritiro dalla Striscia nel 2005. E come per i terroristi palestinesi dietro la strage alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 la caccia ai responsabili dei massacri del 7 ottobre non finirà fino all’ultimo di loro». Anche nel caso di Arafat gli israeliani cercarono di assassinarlo a Tunisi e non lasciarono il Libano, occupandone il sud fino al 2000. È Yasser l’ultimo a prendere il largo il 30 agosto. Per 10 giorni una forza multinazionale composta da francesi, italiani e americani ha supervisionato gli spostamenti dei miliziani, deve riempire il vuoto lasciato dai palestinesi, la guerra civile nel Paese è già in corso da 7 anni. Emmanuel Macron, il presidente francese, ha parlato in questi giorni di truppe internazionali che verifichino il disarmo di Hamas e sostengano un governo ad interim, prima del pieno ritorno dell’Autorità palestinese a Gaza.
Al Sharq Al Awsat, giornale saudita pubblicato a Londra, si rivolge direttamente a Yahya Sinwar, il capo di Hamas, e lo incita ad andarsene come fece Arafat: «Oggi la tua testa potrebbe essere il prezzo per spegnere le fiamme. Per gli israeliani il tuo arresto sarebbe un trofeo, anche lasciare la Striscia può essere una soluzione. La questione è: sei pronto a sacrificarti per Gaza e la causa palestinese?».