Robinson, 29 ottobre 2023
Lo studio EL di Scola
Entrando nello Studio EL a Cinecittà è facile immaginare Ettore Scola con le sue giacche eleganti, il sigaro, l’ironia gentile. Un gigante del cinema che si definiva artigiano e amava circondarsi di sceneggiatori e scenografi, di giovani, creando un laboratorio- fucina che aprisse la strada a nuovi progetti creativi e a talenti. Quello spazio di memoria e d’arte – aperto nel 1983, chiuso e spogliato nel 2021 – torna accessibile al pubblico ( dal 7 novembre, visite organizzate) perché il patrimonio dello Studio che porta le iniziali di Ettore e Luciano, Scola e il suo scenografo Ricceri, è entrato nella collezione del Miac – Museo dell’audiovisivo e del cinema di Cinecittà. «Un’iniziativa importante – dice Chiara Sbarigia, presidente degli studi – perché EL è un luogo che simbolicamente rappresenta non solo la memoria di ciò che era, ma anche di cosa può ancora essere Cinecittà: un laboratorio di formazione per i giovani. Gli scenografi – là c’è ancora la sede della loro associazione – continuano a fare quel lavoro, tramandare la grande tradizione che ci ha permesso di conquistare tanti Oscar».Sulla parete sinistra, contenitori di riviste di costume e società, di fronte un’enorme libreria in legno traboccante di volumi di storia dell’arte, del teatro, libretti d’opera. Una scrivania piena di piccoli premi, foto, bozzetti, lucidi per la scenografia diConcorrenza sleale. Dritto da Il viaggio di Capitan Fracassail seicentesco cappello rosso di Massimo Wertmüller, lo scrigno dello speziale, le maquette per il carro dei comici. La macchina da scrivere del regista, il porta-stecche da biliardo. L’automobilina rossa a pedali di Paolino che, lanciata nel corridoio della casa borghese, scandiva i decenni ne La famiglia. Un patrimonio messo a disposizione dagli assistenti di Scola, Cinzia Lo Fazio e Ezio Di Monte, che lo hanno «difeso e mantenuto – rivendica Lo Fazio – Nello studio ho vissuto quasi quarant’anni, era un laboratorio, uno spazio di discussione e vita, con cucina annessa». Ogni oggetto ha la sua storia. «La libreria era destinata al macero, disegnata per un film forse da Danilo Donati. E l’emeroteca: Ettore e Luciano l’hanno comprata dall’immaginoteca degli sceneggiatori della De Paolis».Aleggia il grande spirito di Capitan Fracassa, un bosco ricostruito in studio, lavoro straordinario con una genesi buffa. Lo Fazio: «Iniziammo i sopralluoghi in Francia, un lavoro pazzesco. Ma ogni volta che Ricceri spiegava a Scola che il carro dei comici e i buoi dovevano salire su un tir, lui storceva il naso, “è troppo faticoso”. Ci spostiamo in Italia, sopralluoghi in Veneto, Toscana, Lazio, Campania. Ma anche lì il carro per raggiungere il set andava caricato. Così una mattina arriva Scola trafelato e spettinato e dice a Ricceri: “Ma non lo possiamo fare come sempre a Cinecittà?” L’altro replica:“Ma è un bosco”, e Ettore: “Ma io so che ce la puoi fare”. Da lì nasce l’intuizione di un viaggio nella pittura francese». Il bosco ricostruito è ormai leggenda: «Per i calchi fatti sulla corteccia di faggi e castagni vicino a Soriano, primo tentativo “green”, usammo una creta non tossica, costosa. Peccato siano andate perdute le foto di questi alberi fasciati di garza come le mummie». Scola disegnava in continuazione oggetti, anche dal suo passato, e li metteva nel film. «Puoi fare grandiscenografie ma se l’oggetto per l’attore quel giorno non è giusto rischi di non girare – continua Lo Fazio – Scola ti dava le sceneggiature con i disegni a fianco e tu capivi l’importanza di ogni oggetto». A volte si improvvisava, ci si adattava. «In Splendor serviva un accendino d’oro per Marina Vlady, che le regalava Panelli. Un attrezzista dice che ce l’ha, si scopre che è arrugginito. Trovo in merceria un finto accendino che è uno spargiprofumo. Paolo Panelli mi dice “non ti preoccupare” e va da Scola: “Maestro, Cinzia ha trovato un oggetto fantastico” e s’inventa la battuta “ho messo in questo vaporizzatore il mio profumo, così ti ricorderai di me”. Per la cena diLa famiglia Ettore voleva una gallina florida, non si trovò e fu usato un pollo travestito, ma lui se ne accorse: “Stasera si mangia pollo”».Anche gli attori erano vagliati al dettaglio, per Scola erano tutto. Con Troisi c’era grande intesa, «Massimo inventava scuse con le fidanzate per uscire con papà, avevano sempre da chiacchierare» dice Silvia Scola che frequentò lo Studio EL con altri emergenti. «Papà adorava i giovani, per loro si spendeva. Nei primi anni 80 la produzione era in crisi, gli accessi ai giovani erano pochissimi. Le tre pagine di soggetto servivano a poco. Scola e Ricceri avevano messo insieme sceneggiatori e scenografi, supervisionano i progetti come in una bottega rinascimentale. Dallo Studio EL i ragazzi uscivano con storie affiancate da ambientazioni. Ricordo Roma Roma Roma,serie sulle vite quotidiane di una famiglia patrizia e una di schiavi conciatori di pelle nella Suburra. Non s’è mai fatta. Alla fine l’esperienza è stata più importante del risultato».