Robinson, 29 ottobre 2023
Biografia di Escher
Che cos’è l’artista se non il suo occhio? La prospettiva speciale con cui guarda il mondo, certo, l’occhio dell’immaginazione che filtra il vissuto e rielabora le suggestioni dell’arte precedente, guidando la mano nella creazione di qualcosa di inedito. Chi dipinge, disegna, incide ne è consapevole, e non è un caso che tra le trecento opere del grande incisore olandese Maurits Cornelis Escher, in mostra dal 31 ottobre a Roma presso Palazzo Bonaparte, ci sia una serie intitolata “Superfici riflettenti”: la maggior parte delle opere riunite in questa sezione, inclusa la celebre Mano con sfera riflettente, una litografia del 1935, sono in realtà rimandi alla visione in cui compaiono i suoi autoritratti, mentre Occhio, una mezzatinta del 1946, rappresenta in maniera ravvicinatissima proprio un bulbo oculare in cui si riflette, con nera ironia, un teschio umano.Snobbato dalla critica quando era in vita ( morì nel 1972) ma invece adorato da matematici e scienziati fin dagli anni Cinquanta, poi dal movimento hippie e psichedelico nei Sessanta e nei Settanta, Escher è l’esempio perfetto di un talento che è insieme sguardo panopticon e maestria tecnica ( nel suo caso, enorme maestria tecnica). Il percorso di esposizione messo in piedi a Palazzo Bonaparte, ricco di oltre trecento opere, permette di cogliere entrambi – l’originalità del vedere e la caparbietà dei mezzi – facendo giustizia a un artista che tutti hanno visto, per aver incontrato le sue invenzioni riprodotte ovunque, dai poster alle magliette, ma quasi nessuno conosce.L’occasione per la mostra è il centenario del primo arrivo di Escher nel 1923 a Roma, che fu per lui una vera folgorazione. Nato a Leeuwarden nel 1898, dopo aver studiato alla Scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem, il giovane Maurits Cornelis Escher scese per la prima volta in Italia nel 1921, visitò la capitale due anni dopo. Vi si stabilì fino al 1935, vivendo in una casa atelier del quartiere di Monteverde, insieme alla moglie, la figlia di un banchiere svizzero conosciuta a Ravello, e i tre figli. Viaggiò spesso dal nord al sud del Belpaese per tutto il periodo della sua vita italiana. Tornato nei Paesi Bassi, a Baarn, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, restò in patria fino alla morte, nel 1972.Divisa in sezioni tematiche, con una sala immersiva e una ricostruzione dello studio che Escher aveva a Baarn, che espone i suoi strumenti originali ma anche il cavalletto portatile che usava quando girovagava per l’Italia, la monografica romana si apre sui suoi esordi nell’incisione, realizzati sotto l’influsso dell’Art Noveau e del suo maestro ad Haarlem, Samuel Jesserun de Mesquita. Un Autoritratto (1929) e dei Girasoli ( 1918) di sapore vangoghiano accolgono il visitatore, che si stupirà poi dell’ampia produzione che Escher realizza negli anni italiani, sicuramente meno nota di quella successiva: una dozzina di scene romane, perlopiù notturni, e molte vedute, spesso “riprese” con una prospettiva dall’alto che sarà poi tipica dei suoi lavori architettonici, della costieraamalfitana e dei paesi degli Appennini, dall’Abruzzo alla Calabria, disegnati con una libertà che evoca l’aeropittura futurista. Con il futurismo Escher condivide l’amore per la ripetizione delle forme, che diventerà, grazie alla reinvenzione delle tassellature, figure geometriche dette “tasselli” che permettono di suddividere il piano, la sua cifra più popolare. Si cita spesso, come momento rivelatore di questa predilezione, il viaggio che negli anni Trenta fa scoprire a Escher le decorazioni moresche dell’Alhambra di Granada, ma il repertorio a cui attinge è più vasto e sembra arrivare, in opere come la xilografia Cavaliere ( 1946), fino all’antica Mesopotamia.Le sezioni “Paradossi geometrici” e “Struttura dello spazio” raccolgono i lavori più noti dell’artista, quelli in cui trasfigura in litografie e xilografie di altissima fattura sia gli enigmi dell’inconscio, secondo la lezione del Surrealismo, che quelli della matematica e della geometria novecentesca:Relatività ( 1953) Salire e scendere( 1960),Buccia ( 1955), Vincolo d’unione (1956), oltre alle geniali Metamorfosi, sono le sue opere che più affascinano chi si occupa di scienza; sono note le frequentazioni di Escher con matematici come Roger Penrose e Harold Coxeter. Federico Giudiceandrea, collezionista della sua opera e curatore dell’esposizione di Palazzo Bonaparte, racconta infatti di essere rimasto folgorato da Escher «quando, da ragazzo del liceo, lo scoprii in una riproduzione suScientific American». Lo incontrò di nuovo, racconta ancora, sulle copertine dei dischi di molti gruppi anglosassoni. Un uso della sua arte che Escher non aveva mai autorizzato ( disse di no anche a Mick Jagger) e che lo spinse a fondare nel 1968, per tutelarsi, la M.C. Escher Foundation. Non era solo per motivi economici legati ai diritti, ma perché detestava che fossero riprodotta male. Il mistero del mondo, a volte, si nasconde in una punta di bulino.