La Stampa, 29 ottobre 2023
In margine alla nomina di Buttafuoco
Può avere un suo interesse – dimenticando per un momento le vere tragedie che attraversiamo e ancora più quelle che probabilmente ci aspettano – affrontare seriamente la questione che sembra riaffiorare a ogni nomina politico-governativa in carrozzoni radio-televisivi o in istituzioni culturali: c’è stata una egemonia della “cultura di sinistra” e oggi è in atto un piano di “rivincita” da parte della “destra”? Lasciamo da parte la valutazione “tecnica” dei curricula, la cui importanza è assai precaria anche in concorsi universitari. Non mi sembra, francamente, che ci si trovi di fronte a scandali particolari, a qualcosa di peggio che a normali pratiche di lottizzazione. Per citare il caso più recente: Buttafuoco ha meno “titoli” dei suoi predecessori? Certamente di Baratta sul piano della competenza tecnico-amministrativa; ma per quanto concerne arti-cinema-architettura-danza? Che cosa occorre valutare quando si nomina qualcuno a sovraintendente in un teatro o a presidente in una fondazione, piuttosto che a direttore artistico? A questa domanda occorrerebbe rispondere con precisi criteri.Ma la discussione in corso prescinde dal problema di definire metri razionali di giudizio; quello che sembra interessare è esclusivamente questo: il nominato è “cultura di destra” o “cultura di sinistra”? E su quali elementi ci si basa? Forse su quanto il suddetto personaggio ha prodotto in campo critico, artistico, filosofico, ecc., o sui progetti che dichiara di voler svolgere? Sarebbe divertente analizzare che cosa propriamente “di sinistra” avrebbe combinato la Biennale negli ultimi decenni. Forse “di sinistra” c’è stato nella sua storia soltanto il periodo della “contestazione” in cui la Biennale fu…sospesa! E ora il nuovo presidente “di destra” darà il bando a chissà quali audacie di avanguardia e si dedicherà alla cura di mostre e spettacoli su “dio, patria e famiglia”? Contesterà il carattere globale e sradicato delle manifestazioni artistiche contemporanee riscoprendo chissà dove e come radici nazional-popolari? Scherzo per far intendere la natura assolutamente strumentale di certe polemiche. La Biennale continuerà a documentare bene o male ciò che passa per il mercato e il suo presidente sarà bravo se, come Baratta, saprà trovare sedi, sponsor, quattrini.Questo vuol dire che non c’è “cultura”? Certo che c’è. Ma quando mai è stata inventata o si è espressa all’interno di istituzioni e strutture per loro essenza governativo-burocratiche? Per qualche felice caso, per eccezioni che confermano la regola, che è quella che a loro spetta essenzialmente pubblicizzare il già noto. Vi è cultura “di destra”? Certo che sì, e anche grande, come quella vera “di sinistra” ha sempre saputo. Potremmo allora pensare a qualcosa sullo “scontro tra civiltà” alla luce di Terra e Mare di Carl Schmitt o ripercorrendo quell’"assalto” dell’Occidente al globo narrato da Toynbee e studiarne il tramonto alla luce di Spengler. Magari potremmo allargare l’orizzonte e con una serie di mostre e convegni illustrare, studiare le conseguenze del crollo del sacro e delle tradizioni religiose in Occidente accompagnati dai meravigliosi saggi dei Guenon e dei Coomaraswamy. E poi con Florenskij opporre l’arte dell’icona orientale a quella della civiltà europea occidentale. Sul piano, poi, della filosofia politica – se vi fossero istituzioni a ciò dedicate – una “cultura di destra” d’alto profilo riprenderebbe e aggiornerebbe le formidabili analisi critiche della democrazia liberale fornite dai Mosca e dai Pareto. Ci sono “intellettuali” in grado di svolgere programmi simili? Magari sì, penso a amici come Cardini, Veneziani, Tarchi.Tranquilli – da nessuna parte esiste la volontà di predisporre simili programmi e tantomeno di nominare da qualche parte i personaggi citati. In ogni istituzione domina il “politicamente corretto”. Lo esigerà certamente la Meloni come lo esigerebbe la Schlein. La vera cultura ha sempre “fatto scandalo”. Devono passare quei tempi – soprattutto per la Meloni che deve accreditarsi come rappresentante del “pensiero unico” liberal-liberista. E d’altra parte avviene diversamente nell’ambito accademico, almeno per le discipline che interessano le istituzioni tipo teatri o Biennale? Forse che sarebbe oggi possibile ottenere un finanziamento europeo per una ricerca, che so, sulla critica della secolarizzazione di un Del Noce? Che direbbero gli occulti decisori dei milionari programmi di finanziamento europei di una ricerca sul pensiero di Dostoevskij o sulla teologia di Florenskij? Solo il “regno della quantità” conta per loro, con annesso uso di strumenti informatici. E sono bravi i colleghi che camuffano i loro interessi teorici dietro asettici programmi di vuota erudizione.C’è una “cultura di destra”, ma la “sinistra” dorma sogni tranquilli. Essa sta altrove. Anzi, stava, ché ora non resiste che in alcune personalità “anarchiche”, o come oggetto più o meno nostalgico di riflessione. Non darà alcun fastidio in Biennale, Maxxi e via cantando. Né lo darà la “sinistra” alla “destra” quando dovesse succederle al loro comando. Siamo tutti appartenenti allo stesso senile Occidente. L’epoca delle avanguardie storiche, degli scandali artistici, che è l’epoca della guerra civile tra visioni politiche, in Occidente è finita. E, tutto sommato, per fortuna. Non scambiamo lottizzazioni che lasceranno tutto com’era con l’antica “battaglia delle idee”.