la Repubblica, 29 ottobre 2023
Il ruolo dell’Iran
L’Iran non intende finire in un conflitto regionale contro Israele. Tantomeno contro gli Stati Uniti. Lo ha chiarito la Guida suprema, Ali Khamenei, smentendo che il suo regime abbia contribuito a pianificare ed eseguire il massacro terroristico di israeliani compiuto da Hamas il 7 ottobre. E mettendo a tacere le voci che sui media iraniani plaudivano con entusiasmo al “successo” degli islamisti di Gaza, parte del “fronte della resistenza” anti-sionista. Questo significa che lo scenario della guerra regionale sia superato, e che in ogni caso l’Iran non vi sarebbe coinvolto? Niente affatto. In ogni guerra gli eventi prendono pieghe impreviste. Illudersi di poterle governare significa rischiare brutte sorprese, dovute ad eventi casuali o imprevisti. Mai come di questi tempi le previsioni falliscono. L’equazione strategica è troppo complessa per poterla interpretare. Le grandi potenze, America compresa, sembrano avere perso il controllo che un tempo vantavano sugli attori in campo, mossi come devote pedine secondarie.
La rappresentazione mediatica corrente vuole Hamas, Hezbollah e affini puri strumenti di Teheran. Non così semplice. Se per il Partito di Dio sciita libanese si può ammettere una dipendenza quasi totale dall’Iran, non così per Hamas. Movimento arabo-palestinese, di radice sunnita e di capacità militari nettamente inferiori a Hezbollah. Inoltre, Hamas non è mai stato padrone assoluto di Gaza, avendo al fianco la spina della Jihad islamica – competitore più che alleato – organicamente legata a Teheran, e di altre schegge jihadiste. Resti dello Stato Islamico compreso, che il 7 ottobre si sono distinti per efferatezze specie contro donne e bambini. Infine, non per importanza, il decisivo aiuto finanziario del Qatar, che tiene a galla Hamas.
Insomma, immaginare che Khamenei spinga un bottone e che a Gaza qualcuno esegua è eccesso di fantasia.Ma nemmeno la Repubblica Islamica è monolite. Se la vecchia guardia è tuttora al fianco di Khamenei, la seconda generazione del regime si muove con spregiudicatezza. Specie i pasdaran, cardine del sistema. Avanguardie militari dell’impero persiano esteso dall’Afghanistan occidentale (Herat) al Mediterraneo orientale (Beirut). Convinti che prima o poi “l’entità sionista” crollerà. Annientata e sostituita da una Palestina inscritta nella sfera d’influenza di Teheran. Le possibilità di coinvolgimento bellico dell’Iran dipendono da due variabili. Primo: inasprimento del conflitto a Gaza, con massacro e/o espulsione di buona parte degli abitanti in qualche area del Sinai, travolgendo le barriere fortificate dall’Egitto. A questo punto Hezbollah difficilmente potrebbe stare a guardare. Israele invaderebbe il Libano e Teheran sarebbe costretta a scegliere fra vedere annientati i suoi attori di prossimità e intervenire per proteggerli. Con Washington che a quel punto potrebbe scendere direttamente in campo per salvare Israele. Secondo: gli attacchi iraniani a infrastrutture americane, specie in Iraq e in Siria, potrebbero aumentare di volume. Biden sarebbe forse spinto a riconsiderare la sua prudenza per dimostrare al mondo che gli Stati Uniti restano il Numero Uno, pronto a battersi se colpito. Le repliche americane alle citate provocazioni iraniane sono da intendersi avvertimento. Rafforzato dallo schieramento di un imponente sistema aeronavale nel Mediterraneo orientale e nel Golfo. Di sicuro il tempo gioca contro l’intenzione di evitare una guerra regionale, comune oggi a tutte le potenze, Iran e Stati Uniti inclusi. Ma nelle crisi volere non è potere.