Corriere della Sera, 29 ottobre 2023
Sgarbi e il conflitto d’interesse
Malgrado i venti di guerra e i pericoli che minacciano la nostra economia l’attenzione che l’opinione pubblica ha rivolto alle attività del sottosegretario Sgarbi merita un approfondimento che permetta di chiarire quali limiti debbano porsi alle attività di chi ricopra cariche elettive o ruoli di governo. In proposito, è innanzitutto necessario distinguere tra attività per le quali un limite è imposto per legge e attività in cui un limite va lasciato invece a un giudizio di opportunità politica affidato alla sensibilità dell’interessato o di chi lo ha nominato.
Le democrazie più avanzate (Francia, Germania, Spagna, Usa, ma anche UK, Grecia e Austria) si sono date leggi che per prevenire l’insorgere di conflitti di interessi pongono limiti sia alle attività che al patrimonio di chi ricopre cariche elettive o di governo, obbligando chi le ricopra alla cessazione di qualsiasi attività professionale e ad affidare la gestione del proprio patrimonio a un blind trust gestito da terzi che assicuri la «cecità» dell’interessato rispetto ai propri interessi, giungendo – ove non sia possibile assicurare tale cecità – alla vendita obbligata delle proprie attività economiche. Questa è stata la via sostanzialmente seguita dalle principali democrazie. E questa fu la via scelta dalla legge, di cui fui primo firmatario, che approvata nel 1995 in Senato con il voto del centro-sinistra e della Lega decadde alla Camera per le dimissioni del governo Dini e la fine anticipata della legislatura. Quella legge da me riproposta negli anni dei governi di centro-sinistra non fu mai approvata per le divisioni nell’ambito della maggioranza di governo e di una parte della stessa dirigenza degli allora Ds.
La mancata approvazione di una legge che prevenisse l’insorgere del conflitto di interessi aprì la via all’approvazione negli anni seguenti della legge Frattini, a tutt’oggi vigente, disegnata a difesa di Berlusconi e fondata sul principio che si debba intervenire sul conflitto di interessi non per prevenirlo, ma solo laddove questo si sia già manifestato e risulti da atti di governo adottati dall’interessato a proprio esclusivo beneficio e in danno erariale. Con il risultato che l’attuale legge sul conflitto di interessi è del tutto inefficace, al contrario del ben più stringente articolo 136 del Testo unico bancario che regola adeguatamente il conflitto in ambito finanziario.
È in questo contesto che va giudicato il caso Sgarbi. È opportuno premettere che qualsiasi attività intellettuale riconducibile alla legge sul diritto di autore appare tutelata dal diritto costituzionale alla libera espressione del pensiero. I libri, le prefazioni, l’attività di conferenziere di Sgarbi non appaiono rientrare nella sfera di applicazione dell’attuale normativa sul conflitto di interessi, e vanno dunque giudicate alla luce della loro opportunità politica per la loro compatibilità o meno con la sua attività ministeriale. Come del resto è sostanzialmente avvenuto in altri casi, come ad esempio quello del senatore Renzi, ove semmai è la natura di alcuni destinatari esteri delle sue attività a far sorgere un problema di opportunità politica.
Contraddizioni
In Italia manca una normativa adeguata e, soprattutto,
sono numerosi i casi di entità
ben più rilevante
Diverso potrebbe essere il caso della organizzazione da parte di Sgarbi di mostre quando queste fossero organizzate da enti destinatari di contributi pubblici o contemplassero l’uso di beni culturali affidati alla tutela dello Stato. Ma anche qui – ritengo – varrebbe la distinzione tra curatele soggette a norme di legge e una attività riconducibile a una libera espressione di un pensiero critico costituzionalmente tutelato.
In conclusione, il caso Sgarbi è assai meno rilevante di quello dei tanti imprenditori e professionisti che continuano nella loro attività pur ricoprendo cariche elettive o di governo, in molti casi avvantaggiandosene. In molti Paesi europei e negli Stati Uniti qualsiasi attività imprenditoriale e professionale è vietata finché si ricoprono tali cariche. E in altri Paesi – ad esempio in Francia – è vietato il cosiddetto pantouflage, l’assumere cioè al termine della propria esperienza di governo ruoli in imprese che erano sottoposte al proprio controllo.
Siamo uno strano Paese. Non abbiamo una vera e seria legge sul conflitto di interessi ma abbiamo uomini e donne che assumono cariche di governo pur mantenendo il controllo o un contatto con società di cui sono stati proprietari, dirigenti, o consulenti. Abbiamo uomini e donne, in Parlamento o con incarichi di governo, indagati o le cui aziende sono fallite o sono indebitate con lo Stato per imposte non pagate. Abbiamo governi viziati da casi di familismo, ma ci indigniamo per casi di ben minore rilevanza ove non vi è conflitto di interessi ma semmai solo questioni di opportunità politica. Quando ci daremo una nuova e adeguata legge sul conflitto di interessi recependo i modelli europei e degli Usa per prevenire il verificarsi dei veri conflitti?