Corriere della Sera, 29 ottobre 2023
I cento miliardi di Biden
Non è raro che un uomo politico, dopo avere conquistato il potere con il voto degli elettori o con un colpo di mano, voglia, per meglio conservarlo, dimostrarsi capace di onorare i suoi connazionali con vittoriosi trionfi. La storia degli ultimi secoli è una lunga sequenza di personaggi, da Churchill a Stalin, da Hitler a Mussolini, da conservatori a comunisti, che hanno cercato, quasi sempre con la forza, di lasciare un segno negli annali della loro patria e del mondo. Speravamo che queste ambizioni appartenessero al passato e che gli uomini politici dei nostri tempi, dopo numerose guerre, avessero aspirazioni meno belliciste. Ma un presidente americano sembra averci smentito. Con una dichiarazione in cui ha detto che la guida degli Stati Uniti «regge il mondo» («holds the world together»), Joe Biden ha sentenziato che l’America deve sostenere l’Ucraina e Israele «nel mezzo di due guerre molto diverse, ma entrambe imprevedibili e sanguinose».
Biden conosce i suoi connazionali e sa certamente quanti siano quelli tradizionalmente ostili alla partecipazione del loro Paese in guerre in cui non sono direttamente coinvolti. Non è direttamente interessato, secondo alcuni osservatori, ma vuole riempire le casse dello Stato ed è convinto che soltanto l’esibizione di una forza militare gli permetterà di chiedere al Congresso gli oltre cento miliardi di dollari di cui ha bisogno. Verranno usati per l’assistenza militare alla Ucraina, a Israele e a Taiwan: elargizioni che contribuirebbero anche e soprattutto a rivendicare il prestigio degli Stati Uniti nel mondo e a onorare il loro Presidente.
Non possiamo costringere Biden ad abbandonare le sue ambizioni, ma possiamo ricordargli che alcuni Paesi nel mondo, dalla fine della Seconda guerra mondiale, hanno affrontato divergenze e ambizioni con altri strumenti: nell’ordine l’economia, la democrazia e la diplomazia.