la Repubblica, 28 ottobre 2023
Victoria’s Secret in crisi La caduta degli Angeli
Pensavano di avercela fatta, quelli di Victoria’s Secret. Sembrava proprio che il marchio per eccellenza della lingerie americana fosse riuscito a tirarsi fuori dalla crisi in cui era precipitato nel 2019 dopo una serie di passi falsi, uno più grave dell’altro. In ordine sparso: l’amicizia tra l’ex-ad Leo Waxner e il miliardario pedofilo Jeffrey Epstein, le inchieste su abusi di manager del brand nei confonti delle modelle, l’aver insistito nel promuovere un irraggiungibile ideale di bellezza limitato a ragazze altissime, magrissime, perfettissime e preferibilmente caucasiche. Nell’epoca del #Metoo, basterebbe molto meno per essere rasi al suolo. Ma il marchio negli ultimi tempi ci ha provato sul serio a riprendersi, seguendo per filo e per segno il vademecum del perfetto brand woke, cioè sensibile e attento alle ingiustizie sociali. Tutto, pur di riconquistare il pubblico dei ventenni.È così che è iniziata la recente trasformazione di Victoria’s Secret in paladino delle diversità. Ha ingaggiato la calciatrice Megan Rapinoe, la modella trans Valentina Sampaio e quella curvy Paloma Elsesser. Ha rinnegato gli impossibili standard estetici promossi sino a quel momento promettendo corpi più realistici e immagini meno ritoccate. Ha richiamato “in servizio” le testimonial – i cosiddetti Angeli, soprannominate così perché sfilano indossando enormi ali – più adulte, da Adriana Lima a Naomi Campbell. Ha lanciato una linea di biancheriaadaptive, cioè per chi non ha una completa libertà motoria. Ha cancellato l’annuale e famosissima sfilata trasmessa in mondovisione (è tra i programmi più visti di sempre), ritenuta da molti il simbolo di tutto ciò che non va nel brand e l’hasostituita con un documentario che si può vedere da qualche settimana su Prime Video, Victoria’s Secret The Tour ‘23,dedicato ad artiste e stiliste indipendenti da tutto il mondo. Al posto della lingerie, reportage da Lagos e Tokyo.E comunque, non è bastato. Lo ha dovuto ammettere pochi giorni fa l’ad Martin Waters: il fatturato previsto per il 2023 è 6,2 miliardi di dollari, a fronte dei 7,5 del 2020, quando cioè il marchio era già in piena crisi di immagine. Un calo notevole, dunque. E sì che, a detta di Waters, la risposta alla trasformazione del marchio sui social media è stata molto positiva. Peccato che il successo su Instagram e Tiktok non è sintomo di successo anche nelle vendite; un fatto acclarato da tempo, dal quale si evince che Victoria’s Secret ha calibrato la sua nuova identità più a misura dei critici digitali che dei consumatori reali. Risultato: molti applausi, molti repost sui social, e fatturati in calo.È evidente, inoltre, che questa trasformazione all’insegna del politically correct, è più una reazione in corsa per arginare le critiche che una riflessione ben ponderata. Nasce dall’emergenza: è mancato il tempo fisiologico per maturare la svolta. Sembra una strategia che ha come unico scopo quello di salvare i fatturati, altro che rivoluzione etica.«I brand hanno bisogno di passare attraverso fasi diverse», riflette Lauren Sherman, corrispondente di moda per la piattaforma Puck e co-autrice di un volume sulle vicende del marchio in uscita il prossimo anno. «Abercrombie, per esempio, ora sta tornando, ma ha passato anni e anni di crisi. Victoria’s Secret dovrebbe fermarsi un po’ e poi ripartire con un nuovo team capace di studiare un approccio diverso».A supportare la tesi dell’autrice c’è anche la strategia dei dirigenti del marchio per far fronte al problema, che si può riassumere con un “contrordine: il sexy vende, quindi si torna a fare quello che si faceva prima”. «Anche il sexy può essere inclusivo», ha spiegato il manager Greg Unis agli azionisti. Ovvio, tutti possono essere sexy: è su questo che hanno costruito la loro fortuna Fenty di Rihanna e Skims di Kim Kardashian, le collezioni oggi più influenti da un punto di vista estetico. Tutta la loro offerta va dalla xxs alla xxl, e i loro modelli sono persone di tutte le taglie, razze, fattezze, generi, orientamento sessuale. Nessuno oggi sostiene che sensualità e inclusività si escludano; è stato il marchio a separare i due mondi pur di prendere le distanze dalle accuse ricevute e ripulire la propria immagine. Ora, capito l’errore, resta da vedere se riuscirà a porvi rimedio. «Non credo che la dirigenza attuale sia in grado di rivolgersi ai più giovani», conferma Sherman. «In più, è molto, molto difficile ribaltare le sorti di un brand tanto vasto quando è sulla via del declino. Temo che il destino del marchio sarà quello di continuare a ridursi».