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 2023  ottobre 28 Sabato calendario

Intervista a Paola Perego

A casa di Paola Perego non ci si abbracciava tanto. «Papà faceva il falegname, mamma era casalinga. Non erano persone abituate a manifestare i sentimenti attraverso gesti fisici». Sembra un dettaglio, ma è di quelli capaci di spiegare molte cose.
Festeggia 40 anni di carriera: la critica che più l’accompagnata è di essere un po’ fredda.
«All’inizio ero veramente un blocco di ghiaccio. Per anni mi hanno detto che ero algida, distaccata, che in tv facevo bene il mio compitino. In realtà ero sotto psicofarmaci. E, all’epoca, non è che potessi dire: scusate, siccome ho preso il Tavor non riesco a manifestare le mie emozioni».
Ha dichiarato di aver sofferto di attacchi di panico da quando era adolescente e ora di esserne, finalmente, uscita.
«È stato come tornare a respirare, una liberazione. Ci sono arrivata grazie a tanti anni di cure farmacologiche e psicoterapia. Ma, di certo, se fossi una persona fredda non ne avrei sofferto. Dentro avevo un mondo di emozioni che non ero in grado di tirare fuori. Gli attacchi di panico all’epoca erano semplicemente “l’esaurimento nervoso”. Andavi dai medici e ti dicevano che non avevi niente, abbattendoti ancora di più: la mia autostima era annientata».
Anni?
«Ne avevo 16. Finivo al pronto soccorso convinta che stessi morendo perché non respiravo. I farmaci mi hanno consentito di avere una vita, ma era ovattata: ricordo le situazioni del mio passato ma non le emozioni che provavo. Senza contare tutte le giustificazioni che mi sono dovuta inventare nel tempo. Per esempio, ho avuto un attacco di panico in macchina, una volta, e non ho più guidato per quattro anni. Ma non potevo dirlo, così mi inventavo motivazioni fantasiose. Ero la regina delle scuse».
Nel mentre, iniziava anche la sua carriera da modella.
«Solo perché avevo bisogno di lavorare. Da bambina non c’erano giochi, facevo le formine con la segatura avanzata da papà. Una volta fece delle racchette da tennis a me e mia sorella... ma pesavano troppo. Crescendo, ho iniziato a studiare e lavorare: facevo la barista, poi la babysitter finché mi proposero di fare la modella. Per me era assurdo».
Non lo dica: si vedeva brutta.
«Ah sì, assolutamente. In casa quella bella era mia sorella, di due anni più grande di me. Inoltre, io non ho mai avuto la velleità di fare spettacolo, anche perché non pensavo che avrei mai potuto farlo. Non mi passava per la testa».
Non era di quelle bambine che guardavano la tv sognando di entrarci?
«No, no. Il mio pensiero era trovare il posto fisso, avere uno stipendio, aiutare a casa. Mai nella vita avrei pensato di fare questo lavoro ed è andata anche un po’ a fortuna, ammetto. L’esordio fu ad Antenna 3 Lombardia con Ric e Gian, in diretta. Io ero lì come valletta muta. Ma all’improvviso Ric mi disse durante una telepromozione di un ferro da stiro: parla tu. E anziché leggere “l’eruzione di vapore”, mi scappò “l’erezione”. La mia prima gaffe».
Ha portato bene, si direbbe.
«La verità è che non so come ci sono arrivata a 40 anni di carriera. Ovviamente mi sono preparata, mi sono applicata, ho passato ore a guardare quelli bravi per imparare, rubare il mestiere. Però, onestamente, non avendo avuto mai il sacro fuoco dell’arte, trovarmi ancora qui è un miracolo».
A chi deve dire grazie?
«Il primo a credere in me è stato Marco Columbro. Mi chiamarono per fare la sigla di un suo programma, Autostop e alla fine di quella giornata mi chiese di condurre con lui. Aveva una pazienza infinita, leggeva tutti i miei copioni, mi faceva sentire come pronunciare le cose. È stato il mio primo grande maestro e gli sarò grata per tutta la vita. Forse non ha avuto la carriera che meritava, perché Marco è veramente un professionista straordinario. È un mondo che può essere cinico».
Lei ha avuto la carriera che si meritava?
«Per quello che ho saputo dare ho ricevuto il giusto. Vero è che, con la consapevolezza di oggi, forse avrei potuto dare di più, ma ho fatto quello che potevo. Sono stata la prima a fare l’infotainment da non giornalista, prima donna a condurre un quiz, ho condotto progetti innovativi. Oggi, senza più l’ansia di piacere a tutti, sono finalmente convinta di essere molto brava a presentare. È la cosa che so fare meglio rispetto a tutte quelle che ho provato».
Tipo?
«La schiuma del cappuccino: quando lavoravo come barista non sono mai riuscita a farla. Seriamente, oggi mi ritengo molto brava soprattutto nelle interviste, perché mi appassiono alla vita degli altri».
Sa che una, in particolare, è fissa nell’immaginario collettivo, vero?
«Andreotti – sorride —. Che spavento, io ero convinta che fosse morto. Non avevo mai visto un morto in vita mia. In più, visto il mio imprinting, non lo toccavo, non riuscivo. Gli dicevo solo: “presidente, presidente”, terrorizzata. Poi guardavo gli autori ed erano tutti nel panico, così ho lanciato la pubblicità. Lui dietro le quinte si è ripreso, ha chiamato il suo medico: era stato un ictus transitorio, una paralisi di cui non si era accorto. Decidemmo di farlo rientrare in studio per far vedere, appunto, che stava bene, solo che lui decise di sedersi sul mio sgabello, pronto per il blocco successivo. Ma io sono alta un metro e 76 senza tacchi, quindi lui aveva dovuto arrampicarsi: io lo tenevo da dietro per paura che cadesse, non arrivava a terra con i piedi. Quindi il retroscena è che ho avuto altri cinque minuti di panico. Il giorno dopo c’era un articolo anche su Le Monde».
Un programma che l’ha sorpresa?
«La Talpa. Abbiamo fatto il 60% di share su Italia 1, un record assoluto. La gente mi chiede in continuazione di rifarlo, ma non dipende da me. Però credo sarebbe bello. Certo, vederlo presentato da un’altra persona sarebbe uno shock, ma capisco che potrebbe succedere, specie se non andasse sulla Rai».
Dove lei ora conduce «Citofonare Rai2» ed è impegnata come ballerina a «Ballando con le stelle».
«Ballando è un regalo che mi faccio, per celebrare quel “qui e ora” che mi sono anche tatuata sul braccio. Oggi vivo nel presente. E mi posso permettere di giocare con questa trasmissione: ci metto tutto il mio impegno, ma non devo dimostrare di essere una ballerina. So di essere un pezzo di legno... Posso solo migliorare».
Suo marito Lucio Presta, grande agente televisivo, un tempo era ballerino, non le può dare qualche ripetizione?
«Niente, non c’è possibilità. Quando ha smesso di ballare ha appeso le scarpe al chiodo: non ha voluto farlo nemmeno al nostro matrimonio».
Un matrimonio ingombrante per chi fa un lavoro come il suo, no?
«Ormai sono passati 26 anni, ma all’inizio questa cosa faceva male. Dopo tutta la gavetta che avevo fatto, sentirmi dire: lavori perché c’è lui, ferisce. Oltretutto non ha mai fatto nulla per favorirmi, quindi fa doppiamente rabbia».
Avrebbe mai scommesso che dopo 26 anni sareste stati ancora assieme?
«No, ma io sostanzialmente non ho mai creduto tanto al per tutta la vita. Avevo fallito il mio primo matrimonio, a vent’anni, quando ci credevo. E quindi no, non avrei mai pensato che fosse per tutta la vita... ma poi eravamo così diversi all’inizio. Nel tempo è accaduto un meccanismo veramente strano: ci siamo rinnovati, siamo cresciuti assieme. Poi non è sempre facile, si litiga, ci sono le crisi, è normale. Ma oggi abbiamo raggiunto veramente un bell’equilibrio, che mi rende felice. E se gli altri parlano, ormai me ne frego».
Come è stato diventare mamma quando ancora soffriva di attacchi di panico?
«È stata dura. Intanto, è stata difficile la gravidanza senza farmaci, specie la prima perché ero ancora nel pieno. E ho avuto un attacco durante il parto che mi ha terrorizzata. Ma poi ti scatta il senso di protezione e in qualche maniera te la cavi. Con i miei figli ho imparato il contatto fisico, che non conoscevo. Mi sono separata che erano piccolissimi e anche se è stato un periodo tosto, oggi mi dico brava: i miei ragazzi sono due persone davvero per bene».
Ha raccontato di aver subito delle molestie, in questi 40 anni di lavoro.
«Al mio primo ingaggio da modella, a 16 anni, accompagnata da mia mamma, entro per provare i vestiti e il responsabile mi dice: andiamo a letto? È stata la prima di una serie piuttosto lunga di molestie da cui ho imparato a difendermi in fretta. Anni dopo un dirigente televisivo importante mi ha attaccata al muro: gli ho dato una ginocchiata e sbattuto la porta in faccia. Ho anche perso dei contratti per questo, ma ne vado fiera».
Mai pensato di denunciare?
«A volte mi frulla l’idea di fare un libro con nomi e cognomi. Se si fosse concretizzato qualcosa di ancora più grave avrei denunciato: alla fine me la sono sempre cavata al massimo con uno spintone o una ginocchiata. Per cui non l’ho fatto».
Sogni per il futuro?
«Vorrei tornare a occuparmi di violenza contro le donne con un programma. È un argomento che sento molto vicino. Per il resto mi immagino autrice. Ho scritto Citofonare e la cosa mi diverte tantissimo, tanto che lo vedo come il mio futuro».
Vuole vincere «Ballando»?
«No, no, non mi interessa vincere, non sono per niente competitiva. Anche se gioco a burraco con mio marito a me interessa fare una bella partita. Lui se perde non gioca più con me per due mesi».
Non è che è lui quello rigido della coppia?
«Sii, rigidissimo, abitudinario, fa sempre le stesse cose, negli stessi posti, con le stesse persone. Io invece no. Sono l’esatto opposto». Ancora una volta.