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 2023  ottobre 27 Venerdì calendario

Biorgrafia di Pietrangelo Buttafuoco


Matteo Sacchi per il Giornale
Svolta, per altro attesa, almeno tra gli addetti ai lavori, alla Fondazione La Biennale di Venezia. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha infatti proposto Pietrangelo Buttafuoco come nuovo presidente della prestigiosa istituzione. La volontà di nomina è stata notificata ai due rami del Parlamento. Quindi le commissioni Cultura di Camera e Senato sono chiamate a esprimere il proprio parere entro il 14 novembre. Come hanno sottolineato dal Mibact: «La proposta di nomina di Buttafuoco rappresenta solo l’inizio di un percorso».
Se avverrà senza intoppi porterà a una transizione comunque «morbida» e senza strappi. Come precisato da fonti del Mibact, l’attuale presidente, Roberto Cicutto, resterà in carica fino al termine del mandato, marzo 2024. Questo dovrebbe garantire la necessaria continuità istituzionale e un graduale e ordinato passaggio di consegne. Cicutto era stato chiamato al vertice della Biennale nel gennaio 2020 dall’allora ministro Dario Franceschini.
Ma chi è Pietrangelo Buttafuoco?
Classe 1963, nato a Catania e siciliano sino alle midolla, nipote dell’ex parlamentare del Msi Antonino Buttafuoco (1923-2005) ha spaziato dal giornalismo, portato avanti con taglio culturale (soprattutto sul Foglio), ai romanzi, sino all’attività di manager culturale con un occhio particolare al teatro. Un intellettuale a tutto campo, insomma. Non molti se ne ricorderanno ma, giovanissimo, prima di essere giornalista e scrittore, si mise a fare il libraio a Leonforte. Raccontava una volta al Giornale: «Nei primi anni ’80 io avevo l’unica libreria della provincia di Enna... si chiamava Libreria del mastro. Già era difficile, poi per le mie posizioni politiche mi avevano costruito un muro attorno, una cortina, nessuno nel mondo dei libri voleva avere a che fare con me. Elvira Sellerio mi riempiva di libri in conto vendita, senza che dovessi anticiparle nulla. Me la sono cavata grazie a lei e a Sandro Attanasio di Einaudi». Non è aneddotica, serve a capire l’uomo, sempre attento alle idee e poco ai compromessi. Per nulla incline a rendersi digeribile che si tratti di fede religiosa, fece discutere quando iniziò a presentarsi come Giafar al-Siqilli, o di qualsiasi dibattito come quando nel pamphlet Cabaret Voltaire fece pelo e contropelo ai Lumi ma soprattutto ai loro brutti epigoni.
Si potrebbe dire quindi di lui che è un intellettuale a tutto tondo. Solo che Buttafuoco di fronte a un intellettuale, non è che metta mano alla pistola, però... Ecco privilegia altre definizioni. Di se stesso ha detto che preferisce la parola «artista», intesa come «la capacità artigianale tale da poter consentire la costruzione di un progetto e la sua realizzazione». E questo inteso in senso ampio, Buttafuoco è stato dal 2007 al 2012 presidente del Teatro Stabile di Catania e presidente del Teatro Stabile d’Abruzzo (è ancora in carica). Così come è stato apprezzato conduttore televisivo.
Sia come sia, rimasto prudentemente in posizione defilata durante il primo anno del governo Meloni (di cui ha grande stima personale), ora si avvia verso l’istituzione culturale più importante del Paese. Su quello che farà, prudentemente, non parla. Escluso lo si possa considerare timoroso dei giudizi: ha però mantenuto quel tratto siculo di parlare se c’è qualcosa da dire.
E quindi non resta che registrare le parole degli altri. Immediato l’entusiasmo verso la nomina del presidente del Veneto, Luca Zaia: «Ringrazio il ministro Gennaro Sangiuliano per la nomina e la grande attenzione rivolta alla Fondazione e a tutti i temi che riguardano Venezia. La presidenza è una carica importante nel guidare e sostenere la Biennale, soprattutto per il ruolo lungimirante di promozione dell’arte e della cultura in ambiti ancora non percorsi, fedele al mandato storico di un ente come questo». Soddisfazione espressa anche da Federico Mollicone, presidente della Commissione cultura della Camera: «Faccio i complimenti a Buttafuoco per la sua nomina alla Biennale. Da intellettuale eclettico quale è, quindi con la capacità umanistica di occuparsi di qualsiasi tema, siamo sicuri che poi avrà la possibilità e la capacità di affiancarsi a personaggi ed expertise specializzate, perché la Biennale non è solo il cinema, ma anche teatro, danza, architettura. Quindi ci voleva una visione di insieme e lui sicuramente la ha». Addirittura entusiasta il Sottosegretario Vittorio Sgarbi: «Finalmente una Biennale nuova, come chiede la sua stessa vocazione. E finalmente alla sua direzione un poeta, che si è misurato con i tempi difficili dando risposte mai prevedibili. Anche la sua conversione all’islam è una garanzia di originalità nel rapporto tra la storia dell’Occidente e il suo declino che prevede dialoghi per affinità, restituzioni di valori condivisi, non conflitti. Evviva Buttafuoco!».
Quasi scontata e di prammatica, invece, la levata di scudi a sinistra. «Oggi la destra ha fatto un ulteriore passo in avanti nella concezione dello Stato come cosa di proprietà... Ricordo al governo e alla sua maggioranza che c’è un presidente in carica fino al 2024 che sta ben lavorando. È davvero preoccupante l’assalto della destra alle istituzioni culturali del Paese». A dirlo Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura alla Camera.
Di certo il ruolo di Buttafuoco è il primo veramente di peso ad andare a un intellettuale di destra: il presidente della Biennale di Venezia, infatti, non è solo il referente che lavorerà a stretto contatto con il direttore della Mostra del Cinema, ma si occuperà anche di architettura, arte, musica, teatro e danza. La prima vera prova per Buttafuoco sarà trovare l’equilibrio con l’attuale direttore della Mostra del Cinema, Alberto Barbera, il cui mandato scade tra un anno.

Francesco Rigatelli per La Stampa
Uno scavalcamontagne in Laguna. Così si sentirà lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, 60 anni, catanese, quando si accomoderà su una delle poltrone più alte della Cultura italiana. Sarà infatti lui a succedere a Roberto Cicutto il 2 marzo 2024 alla presidenza della Biennale di Venezia. Lo ha rivelato ieri il senatore Raffaele Speranzon (Fdi): «È stato infranto un altro tetto di cristallo. La Biennale è stata considerata per anni dalla sinistra un feudo in cui collocare amici e accoliti».
Non è stato sempre così se come ricorda lo storico Luciano Canfora «in principio ci fu il gerarca Alessandro Pavolini, che era un intellettuale notevole. È lo spoils system bellezza. Se mai la novità dirompente è la variante religiosa di Buttafuoco, soprattutto in un momento in cui i governi occidentali parlano dell’Islam con disappunto».
Lo scavalcamontagne, come ama definirsi, una moglie insegnante conosciuta a scuola e due figli, è molto spirituale, ama riti e processione con cui condisce romanzi e opere teatrali, tanto che a forza di studi e viaggi è diventato islamico. Niente di male se non fosse che Giorgia Meloni nel 2015 gli si oppose per questo quando la Lega lo propose come candidato alla Regione Sicilia: «Non credo sia una buona idea scegliere una personalità che ha deciso di convertirsi all’Islam. Ognuno è libero di professare la religione che vuole, ma penso che in questi anni l’Italia e l’Europa debbano rivendicare le proprie origini greche, romane e cristiane davanti a chi vorrebbe spazzarle via. Non vorremmo dare un segnale di resa ai fanatici che rimpiangono il passato dominio arabo e musulmano sulla Sicilia».
Oggi la musica è cambiata e Buttafuoco, nipote del parlamentare missino Antonino, componente lui stesso di Fronte della gioventù, Msi e An fino al 2003, giornalista al Secolo d’Italia, al Giornale, al Foglio, a Panorama e con un passaggio a la Repubblica molto amato da Scalfari, è visto dalla destra come trasversale e spendibile. Per Vittorio Sgarbi «la sua conversione è garanzia di originalità nel rapporto tra la storia dell’Occidente e il suo declino, che prevede dialoghi e non conflitti».
In effetti è così per questo studioso di Heidegger abituato a vivere sul crinale, amico di Luciano Violante e di Beatrice Venezi, di Francesco Merlo e di Giuliano Ferrara, che gli commissionò le irriverenti rubriche Agenda Mieli e Biagino. Ricorda Vittorio Feltri: «Sono stato tra i primi a farlo scrivere, è un po’ matto, ma le qualità non gli mancano. Non lo vedo male in questa nuova avventura, anche se gli uomini si giudicano dalle loro opere». E gioiscono per lui gli altri due componente del triumvirato dell’intellighenzia di destra. Marcello Veneziani: «Sono contento che un intellettuale di qualità vada a presiedere la Biennale». E Giordano Bruno Guerri: «È bravissimo, intelligente, colto, ha dato prova di gestioni culturali, insomma un’ottima scelta. Mi auguro che non venendo dal mondo classico dei presidenti di istituzioni possa provocare un cambiamento».
Silenzioso ancora il mondo del cinema, con l’eccezione di Francesco Rutelli, presidente dell’Anica: «Dovrà prendere un po’ di accento veneziano per andare in Laguna, ma da intellettuale mai banale sicuramente promuoverà la ricchezza e il pluralismo». E Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya: «Baratta e Cicutto sono stati ottimi, Buttafuoco è sicuramente al loro livello e penso che farà bene, magari con un taglio e un punto di vista nuovi, che possono arricchire. Spero tenga la Biennale a un piano alto, incluso il Festival del cinema ripresosi in questi anni».
Gli auguri di buon lavoro arrivano anche da Giovanna Melandri: «Buttafuoco è un uomo intelligente, le istituzioni culturali sono fragili e potenti assieme. Hanno bisogno di molto lavoro, visione, apertura e cura nella gestione. Spero possa essere il presidente di tutti, come Cicutto e Baratta». Piero Fassino (Pd) biasima invece l’annuncio anzitempo di Speranzon (Fdi): «Rivela la concezione padronale e lottizzatoria con cui la destra considera le istituzioni culturali. La Biennale non può essere ridotta a uno scalpo»

Concetto Vecchio per Rep«Pietrangelo Buttafuoco l’ho cresciuto io, e le assicuro che il suo pensiero è rimasto lo stesso di quando saliva sulla mia 500 per andare ai comizi del Movimento sociale: un uomo di destra, senza dubbio», dice al telefono da Enna, Rino Ardica, ex deputato missino. E con la designazione alla Biennale (che organizza anche la mostra del cinema di Venezia) il governo ha scelto il più trasversale e illustre dei suoi intellettuali ma anche il meno incline alle abiure. E c’è in questa apparente contraddizione la difficoltà a raccontare il personaggio, «uno che non ha mai rinnegato nulla, non si è mai definito antifascista, un fervente missino», specifica da Siracusa il suo grande amico Fabio Granata, assessore che combatte il ponte sullo Stretto. «Mi hanno detto che lei è fascista», lo accolse gelido Norberto Bobbio nel novembre del 1999. «Professore, confusione per confusione, io non sono fascista. Sono altro», gli rispose Buttafuoco. E anche questo è vero.I siciliani si distinguono in uomini che parlano con i loro silenzi, e i facondi. Teatrale, iperbolico, lavico, Buttafuoco, sessant’anni, appartiene alla seconda scuola. Il suo modello culturale è sempre stato Carmelo Bene, quello umano lo zio Nino Buttafuoco, che fu il primo europarlamentare del Msi e deliziava gli elettori con comizi omerici. Soprattutto sognava per quel nipote ricco di talento la carriera politica. «Si candidò con me alle regionali del 1991», ricorda Ardica. Cominciò come militante del Fronte della Gioventù, la sezione del Msi era frequentata da un camerata, un certo Giannazzo, che pretendeva di parlare in piazza, ma non era cosa sua,gli dicevano, lui però insisteva, e allora Buttafuoco e i suoi amici un giorno lo caricarono sulla 500 con l’altoparlante sul tetto e lo portarono in campagna dove Giannazzo poté finalmente dare libero sfogo al suo impulso oratorio.«La politica non era cosa sua», dice ora Ardica di Buttafuoco. E così Pietrangelo preferì aprire una libreria a Leonforte, piena di libri bellissimi che nessuno comprava. Povera è la Sicilia interna, e spopolato dall’emigrazione il suo paese, Agira, i Buttafuoco però erano borghesi e presto Pietrangelo riparò a Catania, la città di Brancati e di Pippo Fava. Da studente di filosofia andò in Germania a Friburgo, sulle orme di Juenger, in un viaggio autogestito dalle studentesse della facoltà di lingue (non c’era ancora l’Erasmus), recitò Carmelo Bene e cantò Dove sta Zazà, alle ragazze apparve «galante, istrionico, coltissimo». E ancora adesso recita la stessa parte quando lo chiamano agli stati generalidella cultura di Fratelli d’Italia: è l’unico che suscita ovazioni sincere, le signore sempre si spellano le mani, i mariti annuiscono. E il ministro Sangiuliano, che ora l’ha scelto per l’alta carica, da ragazzo militava pure lui nel medesimo Fronte della Gioventù.Ma non è vero, come ha sostenuto ieri il vicecapogruppo vicario meloniano Raffaele Speranzon, che la destra «ha infranto un altro tetto di cristallo». Buttafuoco dirige teatri, pubblica i suoi libri con Mondadori, ha condotto 8emezzo, fatto parte del cda dell’università di Enna, collabora alla Fondazione Leonardo Civiltà delle Macchine gestita da Luciano Violante. E per un breve periodo, dopo ilSecolo – nella redazione di via della Mercede con Italo Bocchino -Foglio, (dove firmò un pezzo memorabile sui funerali del padre) e Panorama, ha pure scritto per le pagine culturali diRepubblica.A un certo punto si è convertito all’Islam. E anche questa è una contraddizione, la conferma di uno spirito trasgressivo. Agli amici perplessi spiegò la sua scelta così: «I musulmani portano quei valori che saldano l’uomo alla vita, alla famiglia, all’onore». L’abbraccio di Maometto gli costò il mancato sostegno alla candidatura a governatore della Regione Sicilia di Giorgia Meloni otto anni fa. Aveva appena pubblicato il suo libro più venduto, Buttanissima Sicilia,un pamphlet al vetriolo contro i mali dell’autonomia siciliana e il governo Crocetta, che sembrò aprirgli la strada della gloria politica. In quel momento era ritenuto più vicino a Matteo Salvini. «È l’unico che abbia saputo realizzare un’incubatrice dove preparare il futuro della destra», spiegò alTempo.Oggi i rapporti con la premier sono di nuovi ottimi.Eretico senza tradire le sue origini, ha amato i missini di sinistra come Beppe Niccolai, il Craxi «che a Sigonella umiliò l’America», e quando il comunista Mirello Crisafulli finì sotto inchiesta lo difese con un’appassionata paginata di giornale, che Mirello, dopo l’archiviazione, fece incorniciare alla parete dell’ufficio. Ora la sua nomina dovrà passare dalle Commissioni Cultura di Camera e Senato, quindi arriverà il decreto di nomina. Il mandato dell’attuale presidente, Roberto Cicutto, indicato da Dario Franceschini, scade il 2 marzo 2024. La destra si prende anche la Biennale. «Ma con il più libero dei nostri», giura Granata.«Oggi è impossibile immaginare Hemingway che racconta Dresda», così Buttafuoco denunciava un anno fa il conformismo di sinistra. Ora tocca a lui. Lo zio Nino da lassù sarà finalmente contento.Ha militato nel Fronte della gioventù e non si è mai dichiarato antifascista. Un profilo divisivo, istrionico, fuori dagli schemi
Baccaro per Corriereroma Tace per ora Pietrangelo Buttafuoco, il giornalista e scrittore designato ieri dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, alla presidenza della Fondazione La Biennale di Venezia per il prossimo quadriennio. Un annuncio preceduto da una soffiata del vicecapogruppo vicario dei senatori di FdI, Raffaele Speranzon, presenza costante in tutti i tg per il partito meloniano. È stato lui a anticipare la decisione (voci ne erano già circolate), servendo l’indiscrezione con toni trionfalistici: «È stato infranto un altro tetto di cristallo – ha osservato —. La Fondazione La Biennale è stata considerata dalla sinistra un feudo in cui collocare amici e accoliti. Buttafuoco, finalmente, afferma un cambio di passo che il governo Meloni vuole imprimere in ogni sede culturale e sociale della nazione: solo personalità scelte per lo spessore, la competenza e l’autorevolezza».
Parole che, secondo Piero Fassino, già segretario dei Ds e ministro, oggi deputato pd eletto a Venezia, rivelano «la concezione padronale e lottizzatoria con cui la destra considera le istituzioni culturali. La Biennale non può essere ridotta a uno scalpo. Ne va del prestigio suo e dell’Italia».
Tutti d’accordo invece sull’anti-convenzionalità di Buttafuoco: «Un intellettuale mai banale che sicuramente promuoverà la ricchezza e il pluralismo di quella che è una delle maggiori istituzioni culturali al mondo e tra le più antiche» commenta il presidente dell’Anica, già sindaco di Roma, ministro e candidato premier dell’Ulivo, Francesco Rutelli.
Per il sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, la nomina è «una straordinaria notizia, non solo per la qualità dell’uomo ma per l’originalità del suo pensiero». E «anche la sua conversione all’Islam è una garanzia di originalità nel rapporto tra la storia dell’Occidente e il suo declino che prevede dialoghi per affinità, restituzioni di valori condivisi, non conflitti». Soddisfatto il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, che di Buttafuoco dice di aver «sempre apprezzato l’estro, la creatività, la grande cultura e la genialità».
Ieri Sangiuliano ha inviato la proposta di nomina alla Camera e al Senato: saranno le commissioni Cultura dei due rami del Parlamento ad esprimere il proprio parere consultivo, non vincolante, entro il prossimo 14 novembre. Ricevuto il parere, il ministro potrà firmare la nomina e contestualmente nominerà l’altro membro di diritto del ministero nel consiglio di amministrazione dell’ente. Il cda è composto da quattro membri: gli altri due sono di diritto il sindaco di Venezia (Luigi Brugnaro), con la carica di vicepresidente, e il presidente della Regione Veneto (Luca Zaia).
Brugnaro ieri ha porto il benvenuto al nuovo presidente, assumendo l’impegno a confrontarsi con lui «su come sviluppare ulteriormente le attività della Fondazione». Il presidente del Veneto, Zaia, ha sottolineato che la Biennale è «una macchina imbattibile nell’anticipare tutte le novità e innovazioni nel campo culturale internazionale».
Buttafuoco prenderà il posto di Roberto Cicutto, chiamato a dirigere La Biennale nel gennaio 2020 dall’allora ministro del Pd Dario Franceschini. Con una nota, fonti ministeriali ieri hanno precisato che l’attuale presidente resterà in carica fino al termine del mandato (2 marzo 2024) «al fine di garantire la necessaria continuità istituzionale e un graduale e ordinato passaggio di consegne».
Una precisazione che suona non banale, visto che proprio due giorni fa è fallito il blitz con cui Sangiuliano, nel maggio scorso, aveva sollevato anzitempo dalla direzione del Teatro San Carlo di Napoli l’allora direttore Stephàne Lissner per far posto all’ex amministratore delegato Rai, Carlo Fuortes. Una sostituzione, operata in corsa, per decreto, ora bocciata dal tribunale di Napoli.