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 2023  ottobre 27 Venerdì calendario

Intervista alla moglio di Barghouti

«Abu Mazen non pensa solo di restare al potere a Ramallah, ma di recuperarlo anche a Gaza. Si illude. Chiunque creda di insediarsi a Gaza entrandoci a bordo di un tank israeliano, è un uomo morto», dice Fadwa Ibrahim, compagna di vita e battaglia di Marwan Barghouti, il leader della Seconda Intifada e dell’ala movimentista di Fatah in carcere dal 2002 e, probabilmente, per sempre: non solo perché è stato condannato a svariati ergastoli, ma perché nei sondaggi, batte Fatah e Hamas insieme. Motivo per cui nessuno ha molta voglia di liberarlo. Non solo Israele.
Il 16 ottobre Abu Mazen ha rotto il silenzio dicendo: “Hamas non rappresenta i palestinesi”.
«Direi che ormai è lui a non rappresentare più i palestinesi».
Resta il presidente eletto.
«Eletto, sì. Ma 18 anni fa. E la reazione a quella sua dichiarazione è stata una chiamata all’insubordinazione. Non di Hamas, ma della sua stessa Fatah. La sera dell’esplosione all’ospedale al-Ahli di Gaza, a Ramallah migliaia di palestinesi si sono riversati in strada per assaltare la Muqata. Ai cortei, ai funerali, sui muri, lo slogan è quello della Primavera Araba: Giù il regime. E l’obiettivo non è solo Israele».
La caduta della Muqata è solo questione di tempo?
«L’Anp mira a ripristinare la normalità. Ma quale? Se il termine di confronto è Gaza, certo, questa è la Svezia: ma dal 7 ottobre la Cisgiordania ha avuto più di centomorti. Dall’inizio del 2023 erano stati 172, uccisi in parte dall’esercito e in parte dai coloni. Che sono fuori controllo e a cui Itamar Ben-Gvir, il ministro alla Sicurezza, sta distribuendo ancora più armi. Fatah è a un bivio. O combatte, o sparisce».
Cosa dice Marwan Barghouti?
«Dal 7 ottobre ogni comunicazione con i detenuti è sospesa. Ma sulle questioni di fondo la sua opinione è nota a tutti. In questi mesi è sempre stato con l’Intifada».
Questa Intifada, però, è largamente indipendente da Fatah e Hamas. Tanto che è stata ribattezzata l’Intifada di Tik Tok. L’età media è 21 anni, un’altra generazione: anche rispetto a Barghouti.
«Assolutamente. E per questo quando Marwan sarà presidente perché si candiderà, e dal carcere o da fuori, non importa, vincerà. Il suo sarà un governo di trentenni. A ognuno il suo momento».
Come finirà questa guerra?
«Israele non ha, né ha mai avuto, una strategia per Gaza. Né militare, né politica. Altrimenti non saremmo a questo punto. E soprattutto ora è corso a bombardare senza riflettere su come venirne fuori. Si fermerà per l’ennesima volta a una vittoria simbolica, tipo l’assassinio di Yahya Sinwar (lo stratega del 7 ottobre, ndr ), che gli consenta di dichiarare Hamas decapitata. E il problema resterà lì. Uguale a prima».
Il problema del governo di Gaza.
«E per questo ora Abu Mazen critica tanto Hamas. Per proporsi al mondo come l’ultimo baluardo contro gli islamisti. Un po’ come al-Sisi in Egitto o Assad in Siria. Perché noi, invece – e per noi intendo tutti – siamo uniti. E tutti con Hamas. Ma Abu Mazen al solito, invece di soccorrere i palestinesi, soccorre Israele».
In che senso siete con Hamas? Avete idee diverse su mille cose.
«Hamas non è solo un movimento politico e militare: è un’idea. Siamo tutti con Hamas come sinonimo di resistenza. Di azione. Perché la storia dei movimenti di liberazione insegna che senza lotta armata, i negoziati non arrivano da nessuna parte».
L’obiettivo sono i negoziati?
«Non siamo terroristi. Nessuno, qui, combatte tanto per combattere».
E pensa che dopo il 7 ottobre, la comunità internazionale accetterà Hamas al governo?
«E lei pensa che i palestinesi accetteranno un’occupazione infinita?»
Una figura di primo piano di Fatah, Uri Davis, ha riproposto l’idea di una confederazione. Due stati distinti, ma uniti.
«Le strade possibili sono molte. L’unica impossibile è continuare come adesso».
 
 
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