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 2023  ottobre 27 Venerdì calendario

I nomi dei bambini palestinesi scritti sulle gambe

DI SAMI AL-AJRAMIDEIR AL BALAH – Negli ospedali si vedono arrivare bambini con i nomi scritti sulle gambe o sulle braccia dai loro genitori: affinché possano essere riconosciuti e non finiscano seppelliti semplicemente con un numero sul lenzuolo. Muoiono o vengono feriti mediamente 400 minori ogni giorno. «Pensano che siano i bambini il nemico? Sono forse loro i responsabili delle uccisioni e dei rapimenti?», è una frase che si sente ripetere davanti ai corpicini nelle camere mortuarie.Il 40 per cento delle vittime dei bombardamenti su Gaza sono minori. Lo afferma l’Unicef, non il ministero della Salute di Gaza, controllato dal governo di Hamas. Ilnumero dei piccoli morti è agghiacciante: 2360 piccole vittime.I bimbi che sopravvivono sono intontiti dalla paura, scioccati dalla perdita dei familiari e dalla devastazione di tutto ciò che conoscono. Così, proprio per salvarli, nelle ultime ore, si sta assistendo a un fenomeno nuovo qui nell’aria meridionale della Striscia di Gaza, dove Israele continua a bombardare pesantemente pure le zone a Sud del Wadi Gaza nonostante le avesse indicate come sicure. Intere famiglie abbandonano villaggi e rifugi e, come già accade a Nord, vanno ad affollare le aree degli ospedali.Nella sola giornata di ieri sono state centinaia le persone rifugiatesi nei pressi dell’ospedale al-Aqsa di Deir al Balah: occupando in poche ore tutto lo spazio disponibile con materassi accatastati e tende fatte di tappeti e di stracci. «Forse bombarderanno pure qui», dice Abu Ali Issa, arrivato da Bureij, un piccolo campo profughi vicino: «Ma almeno l’ospedale sarà l’ultimo posto che prenderanno di mira».E si osserva anche un altro cambiamento: contrariamente a quanto le famiglie hanno fatto finora, riunirsi tutte insieme in un unico luogo, secondo tradizione nei momenti di crisi, cominciano a dividersi in rifugi diversi, sperando che così sopravviva almeno qualcuno. I bombardamenti hanno infatti già troppe volte cancellato interi nuclei, uccidendo fino a 30, 40 membri di un solo clan. Così mentre gli adulti continuano ad arrangiarsi dove e come possono, anziani e bambini – questi accompagnati da un solo adulto – vengono smistati nei pressi degli ospedali nell’area centrale di Gaza. O nelle scuole che l’Unrwa, ha qui in meridione: con buona pace del fatto che pure le risorse dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi sono agli sgoccioli. E a Nord lo hanno detto chiaro ai profughi ospitati nei loro rifugi: «Non siamo più in grado di garantirvi la protezione delle Nazioni Unite».A dilaniare questi bambini ci sono poi le ferite dello spirito. Stringe il cuore ascoltare quelli che ripetono continuamente il nome di mamme, papà, fratelli o sorella appena morti. O piangono disperati, implorando di essere riportati in una casa quasi certamente distrutta. Mentre i più grandi usano la parola morte come fosse normale alla loro età, anche parlando dì sé stessi: «Se non muoio vorrei...». Qui all’al Aqsa Hospital c’è Salma, bambina di nove anni, costretta a crescere in fretta: è sola a prendersi cura dei fratelli di 5 e 2 anni. La mamma e la sorella sono all’interno dell’ospedale, ancora vive ma gravemente ferite, mentre i tre piccoli sopravvissuti dormono all’esterno con altri bambini. Il resto della famiglia, è morta sotto le bombe.C’è poco per aiutare i più traumatizzati a superare il terrore che ormai li rende apatici e inappetenti e gli fa bagnare il giaciglio di notte anche se non sono più piccoli. Le Ong che si occupavano di minori sono allo sbando, non più operative. Ma assistiamo sempre più spesso alle azioni straordinarie di volontari giovanissimi, spesso adolescenti, poco più grandi dei ragazzini di cui si prendono cura. Alcuni sono sportivi che improvvisano per loro giochi di squadra.Oppure studentesse sempre pronte a raccontar favole o a farli cantare. Capaci di trasformare un filo per la biancheria in una corda da saltare. Cartoni da imballaggio in un mini villaggio. E a riciclare ogni foglio per farli disegnare. I piccoli si stringono a ogni possibile oggetto con cui giocare, sapendo di poterlo brutalmente perdere domani.Intanto, nei campi e nei rifugi le madri cercano di conservare ancora un po’ di decoro strofinando il viso, le mani, i denti dei piccini quotidianamente, spesso solo con uno straccio un po’ umido perché l’acqua è carente. E provano a fargli anche un po’ di scuola, tracciando lettere dell’alfabeto per terra. «I miei figli dormono al freddo e in luoghi sudici, sono tutti malati» dice Jannat mentre i suoi tre maschietti si rotolano sui materassi della tenda piazzata in gran fretta nel campo profughi di Kahn Younis. «Dove sono i diritti umani dei miei figli?» (testo raccolto da Anna Lombardi)