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 2023  ottobre 27 Venerdì calendario

Emma Dante ha fatto un flim dedicato a suo figlio

“Avevo bisogno di accendere la luce sulla storia di Arturo, e con il cinema ho potuto farlo, abbandonando il buio, il vuoto, del palcoscenico”, racconta Emma Dante. La regista ha trasformato Misericordia, il suo spettacolo di grande successo, in un film potente e commovente presentato alla Festa di Roma. Nella storia di Arturo, nato “difettato” dalle botte con cui il padre ha ucciso la madre e adottato da tre prostitute, ci sono la miseria, il degrado, la violenza. Ma anche la favola, la speranza, la danza e la bellezza di un paesaggio naturale “di cui pure i protagonisti non si rendono conto”.
La storia ha avuto una genesi profondamente personale.
“È nata molto tempo fa, quando io ho preso in adozione mio figlio Dimitri, che veniva dalla Russia e che ha avuto un inizio di vita molto travagliato. Quando siamo arrivati in Italia, lui ha fatto tutta una serie di esami, visite: era un bambino molto denutrito, abbandonato a se stesso. In una di queste giornate in cui stavamo in ospedale per farlo visitare visto nella corsia un ragazzo autistico, totalmente chiuso nel suo mondo, che girava attorno a se stesso come una specie di derviscio impazzito. Girava, si fermava e rideva. Quest’immagine mi ha toccato profondamente. La stessa sera sono andata a teatro a vedere uno spettacolo e c’era Simone Zambelli che danzava. È un ballerino il cui movimento ha a che fare non con la coreografia ma con la malattia. La sua danza ha a che fare col corpo che racconta di sé, più che la struttura coreografica. Gli ho parlato della storia di questo ragazzino ipercinetico che non si ferma e che ha anche questo ritardo psicomotorio. La storia è nata così”.
Il film è dedicato a suo figlio.
“Sì. Perché, quando lui è arrivato in Italia la prima canzone che gli ho fatto sentire, perché mi sembrava giusta per lui, era Avrai di Baglioni, che dà speranza. Lui è impazzito ed è diventata la nostra canzone. Quando Baglioni me l’ha concessa, ho capito che quello era il cortocircuito importante, che aveva a che fare con la mia vita personale, con me e mio figlio. Quindi per me è importante che ci sia quella canzone, perché lì c’è Dimitri”.
Ha visto il film?
“Il film è violento, ha visto solo qualche pezzo. Ma i piedi che camminano all’inizio sono i suoi”.
Il film è anche una favola, come quella di Pinocchio, oltre che un racconto della fragilità femminile.
“Sì, infatti c’è dentro la storia di questa disabilità, ma anche dell’adozione da parte delle prostitute-madri. Nel film – a differenza dal teatro – una di loro la trasformo in una amica di Arturo, una sorta di Lucignolo che lo porta nel paese dei balocchi. Mi interessava il rapporto di questa comunità con Arturo, è una cosa molto forte, soprattutto nel degrado. Si dice che laddove le persone hanno più bisogno ci si aiuta di più, tra disgraziati ci si aiuta di più. Il titolo, Misericordia, significa sentire la condivisione di quella disgrazia, che quella disgrazia mi riguarda, non la compatisco. Non penso poveri loro, povero Arturo. Chiunque in questo contesto si può prendere cura di qualcuno e per me la maternità ha a che vedere con questa condivisione di disgrazie”.

Scatta, nello spettatore, un grande senso di identificazione, coinvolgimento.
“Questo era importante per noi. Raccontare un mondo che riguardava lo spettatore, anche se in realtà è lontano da noi, tra le capanne in cui vivono, il senso del pericolo della montagna e dei suoi massi…”.
C’è una “discarica” umana incastonata in un paesaggio meraviglioso.
“Il cortocircuito interessante poteva essere che in questa disperazione ci fosse comunque la bellezza della natura che contiene e custodisce, alleva, fa crescere. Questa natura meravigliosa che in qualche maniera aiuta questa povera gente, anche se questa povera gente non è consapevole della bellezza. Anche questo è interessante, cioè noi vediamo la bellezza nel loro degrado”.

C’è la dignità di queste donne, la poesia di Arturo, l’indegnità di alcuni uomini.
“È un ambiente fatto di delinquenza e patriarcato. Non mi interessava una guerra tra maschi e femmine, ma il motivo per cui le donne decidono di allontanare Arturo è per salvarlo dal padre che lo vuole uccidere. E questo è legato non alla differenza di ruoli, ma alla natura. Queste donne naturalmente diventano madri di questo ragazzino, anche se non l’hanno partorito e questo padre lo vuole uccidere. Perché la vita è questa cosa qui. Non è una madre e un padre, chi ti dà al mondo o dà il suo seme, lo è chi si prende cura di te. E poi c’è questo mondo di puttane, di gente che ne approfitta, di uomini che non fanno resistenza rispetto al corpo di una ragazza che tutti useranno. La favola ha sempre un elemento di violenza, siamo noi ad averle edulcorate”.
Lo spettacolo ha una lunga storia. Ma nel frattempo si è rimesso al centro della politica una famiglia “tradizionale”
“Gli artisti devono raccontare la verità anche da un punto di vista emozionale. Un film non è un trattato. Va lasciata la libertà emotiva alle persone di fare una famiglia come cavolo vogliono. Le leggi vengono dopo, i legami di sangue possono diventare innaturali. Io sento molto più familiari persone con cui non ho legami di sangue che la mia stessa famiglia biologica, che non frequento”.
Lo spettacolo ha girato e gira il mondo. Quali le reazioni più forti?
“La gente si emoziona, esce dal teatro con un grande turbamento. Ma anche una felicità. È una tragedia ci sono parti favolistiche oniriche, gioiose. Questa disgrazia passa e porta a una speranza”.
Alla Festa tante attrici registe. Portano al cinema un punto di vista diverso?
“Le donne sono portate a raccontare l’universo femminile che è stato per così tanto tempo ignorato e dimenticato. Io ho in mente mia madre, le mie zie, mia nonna. Io ricordo tutto di loro perché erano in casa con me, le conosco meglio degli uomini che invece andavano fuori a cacciare. Così sono diventate le mie muse ispiratrici”.