la Repubblica, 27 ottobre 2023
Emilio Lussu, l’antifascista indomito
Nel marzo del 1938, in un commosso editoriale su Giustizia e Libertà, Emilio Lussu ricorda un giovane amico ucciso in Spagna dai franchisti: «ti occuperai sempre di lui», gli aveva intimato il padre, «perché è un ragazzo disordinato». Lussu annota, amaro e orgoglioso: «disordinato! E chi di noi è ordinato? Abbiamo tutti noi un carattere di uomini d’ordine? Per fare la vita che facciamo, non siamo tutti noi mezzo matti, spinti ad agire contro gli interessi elementari della vita secondo natura? Rovina-famiglie, diceva spesso Carlo Rosselli… Ed io mi schermivo col padre…». Non si può immaginare un autoritratto più consapevole. Per Lussu, esule, già affermato scrittore (rileggere oggi Un anno sull’altipiano è un’emozione e una sorpresa), capo di Giustizia e Libertà, non può esistere agire politico disgiunto dall’azione. Come nell’insegnamento mazziniano, ma con qualcosa in più: la sarda “balentìa”.
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Non si possono comprendere il tessuto umano, la forza etica, le scelte esistenziali di uno come Lussu se si amputa il racconto di quella vibrante, e per il profano a tratti inafferrabile, anima sarda. È il faro narrativo dal quale non si distacca mai Giuseppe Fiori, sardo anche lui, in questa storica biografia riproposta a quasi quarant’anni dalla prima edizione.
I Rosso-mori, di cui Lussu viene definito cavaliere, sono i sardisti (bandiera con i Quattro Mori), che volgono lo sguardo, e l’orizzonte, a sinistra. Lussu è fra i fondatori del Partito Sardo d’Azione, poi del Partito d’Azione, e sempre con una costante, insopprimibile attenzione alla sinistra. Anche se del Manifesto di Marx e Engels, più che l’interpretazione della Storia, apprezzava il titanico sforzo narrativo. E in questo ci sono fedeltà e continuità del combattente verso il ragazzo che diventava uomo sparando al suo primo cinghiale, che imparava da padri e maestri d’altura a cavalcare come e meglio di Buffalo Bill. E fedeltà all’ufficiale che prima ama la guerra e poi se ne disamora, ma visto che si deve combatterla, va fatta secondo le regole, e nel modo migliore, dove il migliore può e deve dimostrarsi “balente”, persino spericolato.
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Al punto da meritarsi quattro medaglie al valore. E continuità con il sardista che perde presto ogni illusione sul Fascismo e quando le squadracce si armano per pestarlo, o, peggio, abbatte, lui, tiratore scelto e freddo quant’altri mai, il malcapitato che si era illuso di affrontare un debole bolscevico e si trova di fronte un guerriero d’acciaio. Ma è, attenzione, ben spiega Fiori, un sardismo che non si fa mai “folklore”, macchietta, tratteggio di commedia: Lussu è alto e prestante e non parla poco, come si dice dei sardi, è tenace e determinato, sì, ma gli si riconoscono indubbie doti di mediatore, l’abilità nel mettere su un sorriso che sorprende e disarma, e che gli consentirà, almeno per un bel po’, di tenere unite le anime liberale e socialista degli azionisti. È un sardismo che non diventa mai separatismo, e che Lussu pratica da intellettuale cosmopolita.
Sposerà Joyce Salvadori, aristocratica toscana, figura di rilievo della Resistenza e notevole scrittrice. Il suo grande amico è Carlo Rosselli, assassinato insieme a Nello dai “cagoulards”, i fascisti francesi, nel ’37. I Rosselli incarnano l’élite dell’emigrazione antifascista. Il rapporto fra Lussu e Carlo è emblematico: «egli proveniva da quel mondo che si usa chiamare di intellettuali (…) la mia formazione, ambientale ed atavica, era di altra natura. I miei avi, probabilmente per parecchi millenni, debbono essere stati tutti montanari, pastori di greggi, cacciatori e predoni».
E che cosa poteva unire persone così diverse per temperamento, origini, studi ed esperienza di vita, se non il comune cemento dello “stare con il popolo”? È questo sentimento istintivo, pre-politico, che rende la figura di Lussu assai prossima a quella del suo quasi coetaneo Pertini: tutti e due decorati sul campo di battaglia, con un fratello morto giovane, in rotta con i familiari che hanno l’incauto pensiero di invocare la clemenza del duce per ragioni di salute, protagonisti di spettacolari evasioni, indomiti antifascisti, insofferenti dell’antifascismo parolaio. Ma, soprattutto, tutti e due in possesso di una bussola inossidabile che ne orienterà, nei lunghi decenni di buona e di cattiva sorte, le scelte di fondo: la bussola che ti dice dove si trova il popolo, dove stanno gli operai e i contadini, e ti obbliga a ritrovarti, sempre e per sempre, in mezzo a loro. Il valore aggiunto di questa biografia è nella penna di Giuseppe Fiori. “Disordinato” il protagonista, felicemente “disordinata” la struttura narrativa, intessuta di rapide accelerazioni e momenti di riflessione più politica. Mai prevedibile, a volte incalzante come un western. Da riproporre a chi ha dimenticato e da illustrare a chi non sa, infine, questa figura di italiano, di sardo, di antifascista, di combattente indomito. Un balsamo, in tempi di stucchevole retorica patriottarda.