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 2023  ottobre 26 Giovedì calendario

Montale contro gli ecomostri

Quando si tratta dei grandi poeti, le sorprese, come gli esami, non finiscono mai. Prendiamo Eugenio Montale, che nel 1969 consegnò a Maria Corti, per il nascente Fondo manoscritti dell’Università di Pavia, alcuni taccuini, a cui poi si sarebbero aggiunte ulteriori carte (molte sono visibili fino al 29 ottobre nella mostra Scartafacce allestita nelle sale del Broletto di Pavia). Sfogliando un fascicolo con testi composti tra il 1972 e il 1980, in vista dell’edizione del commento agli Altri versi (prevista presso Agorà&Co), Ida Duretto, docente di Letteratura italiana all’Università di Kyoto, ha scovato una perla inedita. Ne scrive nel nuovo, imminente, numero dei «Quaderni montaliani». È una lirica datata 8 marzo 1975 e vergata sul retro di un foglio che conserva le prime tre strofe di Verso Bisanzio, traduzione di Sailing to Byzantium di W.B. Yeats. Dattiloscritto con correzioni a mano, il testo presenta quattro redazioni provvisorie, ovvero altrettanti tentativi frammentari preliminari, che precedono la composizione definitiva, intitolata I grattacieli. Dall’incipit della prima stesura («Elena vorrebbe che mi opponessi/ con tutte le mie forze all’imminente/ scomparsa della splendida costiera…») si intuisce il pretesto: Elena Croce – la figlia del filosofo, scrittrice, ambientalista e fondatrice, nel 1955, dell’associazione Italia Nostra – aveva chiesto al poeta un intervento di denuncia sul discusso complesso alberghiero Fuenti eretto nel 1972 sulla Costiera amalfitana.
Dal 1968 oggetto di ripetute quanto vane valutazioni statali e ministeriali sulla legittimità della costruzione in quel paradiso naturalistico, l’«ecomostro» (il neologismo fu inaugurato per l’occasione) verrà demolito nel 1999. Con I grattacieli siamo perciò di fronte a un impensabile Montale ecologista. Tema singolare nella sua produzione così come unico è il paesaggio, cioè quello marittimo campano e non il suo ligure. Su quell’obbrobrio a picco sul mare, «tra Amalfi e Vietri», chiamato anche Amalfitana Hotel, si erano già levati pubblici clamori di indignazione, a cominciare dalle nette denunce di Cesare Brandi e di Antonio Cederna. Un articolo di quest’ultimo, apparso sul «Corriere» del 24 novembre 1972, descriveva lo sfacelo del «prodigioso ambiente naturale grottescamente sfigurato dalla metodica avanzata di una repellente crosta edilizia».
Duretto ci informa che una lettera di Montale, datata 27 gennaio 1975 e conservata nell’Archivio di Elena Croce, allude a una prossima visita della scrittrice: la quale, probabilmente in accordo con la sorella Alda, altra «pasionaria» dell’ambientalismo, vorrebbe coinvolgere il senatore a vita in un progetto forse finalizzato alla firma di una proposta di legge «che riguarda i “beni culturali” (!!)». Il poeta non esitò a dirsi disponibile, e anzi contro l’Hotel Fuenti si era già schierato insieme con diversi intellettuali, come Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Indro Montanelli, Mario Soldati, Franco Zeffirelli. Erano quelle, peraltro, le settimane in cui nasceva il ministero dei Beni culturali e ambientali, istituito da Giovanni Spadolini.
La poesia trasfigura in chiave dantesca il feroce contesto speculativo degli anni del boom: la «splendida costiera», «un reputato Eden», diventa paesaggio infernale, fermato nell’immagine della necropoli di Arles, gli Alyscamps, ovvero lo stesso luogo («ove Rodano stagna») che nel IX dell’Inferno viene accostato alla città di Dite. Lo stesso funereo campo semantico troviamo nell’articolo citato di Cederna, in cui si parla di «ripugnante, cimiteriale veste architettonica». Oltre a ricordare gli avelli, i sepolcri entro cui bruciano gli eretici, Montale ricorre a un’altra celeberrima immagine infernale, questa volta estratta dal X canto, dove Farinata degli Uberti emerge «da la cintola insù». Se nelle redazioni preliminari a «sorgere» sono i grattacieli, insieme con il poeta (almeno negli auspici della richiedente che «vorrebbe io sorgessi…»), nel testo finale il parallelismo evapora e il verbo viene riferito solo all’«intellighenzia», che appunto «sorge dalla cintola insù» con i suoi «alti piati» (altra voce dantesca che indica le lamentazioni). Tuttavia, secondo il poeta gli appelli dei contestatori saranno «sprecati», e il presentimento pessimistico introduce alla forte chiusa, risolta con uno dei felici calembours cari al poeta anziano: «grattare il cielo/ è ciò che resta a chi non creda più/ che un cielo esista». Opportunamente Duretto segnala, nell’ultimo Montale, analoghe manifestazioni di ostilità verso la «teologia dell’economia» (il «dio con barba e capelli/ che fu detronizzato dai soci del Rotary Club»).
Come suggerito da Alberto Casadei, il foglio inedito presenta quattro prove preliminari, cassate con due tratti a penna e seguite dalla definitiva, su cui si concentrano le correzioni del poeta. Duretto fa notare come nel passaggio dalla prima stesura all’ultima si vada oscurando fino a scomparire l’occasione originaria e dunque il nome stesso di Elena, presente ancora, con la sua sollecitazione, nella seconda «prova» («e la cara Elena/ vorrebbe io sorgessi»). Si dilegua anche il riferimento a Demostene, così come scompare la prima persona a vantaggio della schiera indistinta dell’«intellighenzia» fallimentare: e mentre l’io viene a cadere, paradossalmente si passa da un tono prosastico a un incremento di preziosismi e a un livello stilistico più lirico e musicale.
Duretto accosta I grattacieli a una poesia che presenta un incipit analogo a quello della prima redazione del nostro inedito, dove un’altra donna invita il poeta a scendere sul terreno della battaglia civile. Si tratta di una prima stesura de L’eroismo, che iniziava così: «Clizia avrebbe voluto che m’ingaggiassi». Questo testo, del febbraio 1975 e poi confluito, rivisto, nel Quaderno di quattro anni, si ritrova vergato nel retro dell’altra pagina dattiloscritta di Verso Bisanzio, dunque a poca distanza da I grattacieli. Il remoto invito della musa Clizia (l’americana Irma Brandeis conosciuta e amata negli anni Trenta) non era di tenore ecologico ma politico: buttarsi nella lotta «tra i guerriglieri di Spagna», cioè nella guerra civile del 1936-39. Nel testo si immagina una morte eroica a Guadalajara o almeno un arresto tale da dare al poeta dignità di combattente coraggioso e di superstite illustre. «Ma nulla di ciò avvenne…», postilla Montale. Non è escluso, osserva la curatrice, che i due componimenti potessero costituire una serie sul tema dell’impossibilità di prendere parte alla vita civile. Il solo modo per rimediare, sia pure parzialmente, all’incapacità di scendere attivamente in battaglia è confessare in poesia l’eroismo mancato e la resa preventiva.