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 2023  ottobre 26 Giovedì calendario

Intervista a Diego Della Palma

Per capire da dove proviene Diego Dalla Palma, «il profeta del make-up italiano» (New York Times), basta dire che 40 anni fa fotografai una bottiglia di grappa con una vipera al posto della ruta, in vendita a 150.000 lire, «prodotta a Enego dal farmacista», garantì il droghiere. «La faceva anche mio cugino Vittorio, morto di rabbia a 40 anni per il morso di una volpe che allevava in cantina», conferma il truccatore, costumista, scenografo. Cresciuto in quel paese sui monti, privo di confini fra uomini e bestie, non poteva che intitolare Bellezza imperfetta. Fra vacche e stelle la pièce teatrale che sarà al Parioli di Roma dall’11 novembre e al Manzoni di Milano dal 5 dicembre. Quando nacque, a Enego su 4.500 abitanti solo due donne usavano il rossetto: «Una era mia madre Agnese».
E l’altra?
«La sua migliore amica. Il giorno in cui fu eletto papa Giovanni XXIII, il marito geloso la decapitò con l’accetta ed esibì la testa alla finestra. Mia mamma lo fece uscire di casa avvolto in una coperta. Da quel giorno il mal di vita la ghermì, non fu più lei».

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L’assassino che fine fece?
«Morto pure lui. Con la scure s’era mozzato un polso».
Bellezza e mucche, strana relazione. Me la spiega?
«Da Malga Lambara scendevo a scuola con il camion del latte. La mamma mi diceva: “Te devi ’ndar via, no star qua fra le vache, come mì”. Non eravamo d’accordo su nulla. Il nostro è stato un violento nubifragio d’amore. Nel 1968 mi mise in mano 25.000 lire: “Ghemo solo questi, te i dago, ma no tornar indrìo!”. Si è sempre sentita una madre in prestito, non mi ha mai accarezzato. Assomigliava a Silvana Mangano. La bellezza non si può separare dal dolore. Come scrisse Paul Valéry, definire il bello è facile: è ciò che fa disperare».
Era lo stesso rapporto che legava Pier Paolo Pasolini alla madre Susanna Colussi?
«U-gua-le! Non ebbi il coraggio di dirlo al regista. Pasolini le fece interpretare la Madonna sotto la croce nel Vangelo secondo Matteo, io la truccavo per portarla al ristorante. Finito il make-up, le dicevo: te me par ’na vecia putana. E lei: “Eh no, vecia no!”. Tutte le donne mi hanno sempre chiesto una sola cosa: farle apparire giovani».
Ora si affidano al bisturi.
«Odio la chirurgia estetica. Guardi le facce di Madonna, Mickey Rourke, Linda Evangelista, Sylvester Stallone. E Faye Dunaway? Non esce più di casa, le hanno stravolto l’articolazione labiale».
Come scoprì il maquillage?
«Incontrando la morte. A 6 anni fui colpito da meningite linfocitaria. Una sorta di privilegio. In coma non vidi alcun tunnel, ma solo una luce lillà, fortissima, che mi dava un senso di trasparenza e di ristoro. Mia madre restò accanto a me in ospedale per molti giorni, solo con un’immagine di sant’Antonio stretta al petto. “Al risveglio eri contrariato”, mi raccontò».
Le mancava l’adorato lillà?
«Sì, il colore. I miei non potevano regalarmi i pastelli. Disegnavo a matita sulla carta usata nella malga per avvolgere il burro. Con i cocci dei mattoni rossi dipingevo bocche sui muri della porcilaia».
Ritorna mai a Enego?
«Manco da tanto tempo. Ho sofferto troppo. Mi deridevano: «Femminuccia». A distanza di anni, temevano che li contagiassi con il meningococco. Ah, l’ignoranza!».
A che età se ne andò?
«A 18 anni. Il viatico di mio padre Ottavio fu: “Ricòrdate sempre che sémo gente povera, no povera gente”».
Destinazione?
«Milano. Non sapevo dove lavarmi, dove dormire. Finii nel pensionato Belloni, viale Fulvio Testi, fra barboni ubriachi che scoreggiavano. Fame vera. Un giorno mi prostituii per un panino. La mia università è stata la povertà».
Primo lavoro?
«Costumista e scenografo. Un Natale mi presentai per la terza volta alla Rai in corso Sempione. Maud Strudthoff mi batté una mano sulla spalla: “De Palma, torna a casa”. Manco rammentava il cognome. L’ascensore era rotto, vagai nei corridoi. Lei mi rivide, s’impietosì: “Vabbè, ti provo in Un’ora per voi, condotto da Corrado e Mascia Cantoni per i nostri emigrati in Svizzera. Solo tre puntate”. Divennero 30. Da Guido Stagnaro a Enzo Trapani, per 10 anni lavorai con tutti i registi».
Ma resta più noto per l’arte di combinare fard e rimmel.
«Succede se ti occupi del viso di Ornella Vanoni, Mariangela Melato, Patty Pravo. Mi rapiva Amália Rodrigues, aveva negli occhi stregoneria e santità. Ero incantato da Lea Massari e Maria Tanase, la Édith Piaf dei Balcani, due amori di Indro Montanelli».
Nessuna rifiutava il trucco?
«Irene Papas. Anche Paola Borboni: teneva di più all’acconciatura e alle collane».
Ritocchini sugli uomini?
«Silvio Berlusconi. Si fece sfumare la base del naso. “Ce l’ho troppo prominente, come mio padre”, si doleva».
Non le chiese il fondotinta?
«È la telecamera il fondotinta, anzi il cerone. Tira fuori il peggio della nostra vanità».
Adesso lei è una griffe nel settore cosmetico.
«Nel 1978 aprii il Make up studio in zona Brera. Con la stufetta elettrica colavo barattoli di rossetto verde, blu, nero e ne facevo stick. Ma la più abile fu mia madre. Venne a trovarmi. In dialetto veneto conquistò una cliente, che se ne andò felice: le aveva venduto per 34.000 lire un rossetto da 12.000».
Chi esce di casa imbellettato vuole stupire o sedurre?
«Difendersi».
Lei lo fa?
«Un po’ di crema basica in tv, per mascherare il rossore da alpino, tipico dei veneti. Ma non fermo i segni del tempo. Cerco soltanto strategie per evitare la noia».
Si è definito pansessuale.
«Sono nato in una casa priva di infissi. Non ho porte, non ho confini. Di due grandi amori, Anna e Mario, preferisco ricordare Anna. Studiava alla Scala per diventare soprano. Mi ha donato equilibrio. Il sesso era il primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera. Oggi osservo sgomento il mio corpo plissé e mi astengo».
Da quindicenne subì abusi.
«Quasi tutti i giorni, per due anni, al collegio Cavanis di Venezia. Dormivo nell’ala degli sfigati che non potevano pagare la retta. Padre Ugo, 120 chili, era suadente: “Dammi del tu”. Dapprima fu una violenza mentale, sulle note della Sinfonia n. 103 di Haydn. Conservo ancora tre pile di vinili che mi regalò».
Poi scoprì di essere omosessuale.
«C’era già l’inclinazione, in percentuali che non capivo, a seconda delle occasioni. Anni fa la mia segretaria mi passò al telefono un asmatico. Era padre Ugo: “Stavolta benedicimi tu, sto morendo. Mi vuoi bene, Diego?”».
In che modo reagì?
«Non conosco il rancore. Ci pensai un minuto. Risposi: sì, le voglio bene. Che mi cambiava, a perdonarlo? “Grazie, figliolo”, fu il suo congedo».
Dica qualcosa ai brutti.
«Non toglietevi una “t”».