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 2023  ottobre 25 Mercoledì calendario

Intervista aRocco Papaleo

«Vado cercando una cosa che faccia tremare le mie sicurezze, che metta in discussione la mia impalcatura attoriale. E non c’è niente di meglio dell’opera più politica di Gogol» inizia a dire Rocco Papaleo, protagonista della commedia L’ispettore generale,scritta dall’autore russo nel 1836, spettacolo che con adattamento e regia di Leo Muscato, debutta domani al Teatro Comunale di Bolzano, con repliche dal 31 al Quirino di Roma e poi una lunga tournée, produzione degli Stabili di Bolzano, di Torino e del Veneto.
Papaleo, che tipo di sfida affronta, con questo testo?
«Io e tutta la compagnia ci misuriamo con la più traumatica delle satire. Dal mio punto di vista l’ironia estrema russa ha subìto un’ingiustificata censura, per questioni tragicamente belliche: è un Paese che comprensibilmente gode ora di poca telegenia, ma non dimentichiamo l’originalità e la profondità del loro autosarcasmo, la loro idea tragica delle istituzioni, e quanto, non oggi, sia stata anche grande la loro capacità di opporsi allo status quo della politica».
Il linguaggio dei potenti provinciali del paesino descritto nel 1836 da Gogol arriva bene, oggi?
«Apparentemente sono parole di una letteratura che ha più agio su un foglio piuttosto che essere pronunciata da un attore che deve convincere il pubblico di stare a dire cose vere, ma qui c’è un adattamento di Leo Muscato che ha concentrato tre ore e mezza riducendole a un’ora e 50, valorizzando in modo agile il racconto di quel periodo, e allora esce fuori un testo senza tempo, che parla pure di oggi, del mondo che viviamo».
Il suo personaggio, il podestà attorniato dai notabili nel panicoper i temuti controlli dell’ispettore generale, come è leggibile?
«Eccola la difficoltà di cui accennavo all’inizio. Come dargli una patina di credibilità? Eppure mi attira perché è un miserabile dal punto di vista etico, con scarsa fiducia per l’umanità. L’autore descrive l’uomo mettendo l’accento sulla sua tempra discutibile, e io la penso come Gogol, condanno quella politica, ed è una riflessione anche sulla società attuale. Con un pericolo. Che non si capisca come l’odierno assenteismo dalle urne, il no-voto, si basi su un altro grosso errore: lo sfiduciare “qualunque” politica, mentre l’unico modo per cambiare le cose, è esprimere un voto di responsabilità. Esempi corretti ne abbiamo avuti».
Un esempio corretto?
«La Puglia a livello regionale è stata governata da Nichi Vendola dal 2005 al 2015, due mandati che hanno messo al primo posto la cultura, innescando nel Sud una vera rivoluzione, uno scatto vincente in avanti. Esempi in negativo sono altri, sono i presenzialismi nei talk show.
Raccomanderei di non far scegliereuna minoranza, è necessaria più consapevolezza di aver scelto, nel bene o nel male».
Lei, cinema a parte, è sempre più spesso un attore di teatro.
«È la terza volta che lavoro in uno spettacolo col marchio dello Stabile di Bolzano, dopo una rielaborazione di Paravidino dell’ Opera da tre soldi,e un mio lavoro di teatro/canzone.
Ho trovato una dimensione, una casa: strano per un lucano».
Qui ora è in scena con 12 colleghi, tra cui Daniele Marmi, Marta Dalla Via, Marco Gobetti, Gennaro Di Biase, Michele Cipriani.
Che figure gogoliane impersonate?
«Tutti siamo vittime e carnefici, e nel finale aperto, quando è annunciato il vero revisore, c’è un margine per l’immaginazione, l’arte deve alimentare discussioni. Per me, senza retorica, al posto di guida dovrebbe starci la poesia, una compagnia corale talentuosa come questa con me specchietto per le allodole. La regia stessa vuole il connotato d’una coralità musicale, come fosse un’orchestra, tutte le parti sono pilastri. Muscato dirige anche opere, ha visioni larghe di messinscena, e ci dirige nei sottotesti, nelle tensioni d’unafarsa sotterranea drammatica che aleggia nel terrore dei personaggi in bilico tra questioni di vita e di morte».
E c’è ancora qualche incognita in questo suo lavoro sul palco?
«La mia attività live è divisa in sfaccettature, anche in conduzioni di show. Mi considero una specie di anarchico non bombarolo. Con una qualche strategia, mi cerco ostacoli, e il testo di Gogol è il primo di quasi 200 anni fa: necessita di un tipo di recitazione, con una sorta di mia cinematograficità ricondotta a teatro, con un costume addosso alle mie battute. Esperienza diretta col pubblico io ne ho, in sale da 1 a 3000 posti. E il mio cinema contiene molta teatralità. Non ho mai fatto film estremi dove comandi l’immagine e basta. Il teatro, lo ripeto, è un mio luogo deputato».
Poi di fatto lei ha montato insieme arte e vita anche per il grande schermo, con “Basilicata coast to coast”, “Una piccola impresa meridionale”, “Onda su onda”, “Scordato”. Ora?
«Io non vedo mai bene i contorni dell’esistenza perché sono molto miope. È la fantasia che in questo caso fa il suo lavoro, dove tutte le cose alimentano la creatività. E naturalmente il mio è un realismo romanzato, non vedendoci bene.
Probabilmente dopo l’attuale tournée, farò film come attore, ne ho 2-3 in cantiere. Però poi ambisco a un altro mio film, l’idea ce l’ho, si basa su una storia compiuta, mi piacerebbe occuparmi della morte. Dopo l’ultimo mio set dovrei avere carte da giocare, credo. La morte è da tempo un tema che mi tenta. C’è una radice, forse condivisa da molti: è in una lettera di Mozart al padre, dove ringrazia la morte per essere stata la sua linea-guida nella vita».