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 2023  ottobre 25 Mercoledì calendario

I beni minori secondo Carandini


La sera baciavo la fronte di mio padre e lui mi accarezzava dicendo: «Sogni dorati fritti col burro…». L’invito a immaginare cose succulente ha segnato la mia vita, diventate poi visioni, ahimè, prive della infantile magia.
Si ha autorità nel criticare quando si sa fare: sul campo, in laboratorio, in biblioteca. Ho alle spalle sessant’anni di ricerche nell’archeologia, che ha come oggetto il Tutto materiale di una civiltà: da una traccia di centuriazione a una fogna, da un capitello a un ritratto, e ha come protagonista il gruppo di lavoro. Sul campo, da soli, si fa poco. In questa disciplina sono importanti, oltre i mezzi e il numero delle persone, il lavoro in comune, la capacità professionale, l’erudizione e l’immaginazione storica. È il capitale umano, non individualisticamente inteso, che poi è la scuola.
Il ministro della Cultura ha – con estivo decreto – riorganizzato il dicastero, contrapponendosi alle pretese superbe dei radical-chic… Lontano dalle persone che così si definiscono, seguo tutt’un’altra e più impervia strada: quella della critica costruttiva – come ho fatto di recente, sulla valorizzazione culturale e su Pompei – e così mi sono comportato con tutti i ministri del mio tempo. Esiste insomma una riflessione senza stiff upper lip — il «rigido labbro superiore» – moderatamente radicale – bell’ossimoro! – che invita a ragionare insieme. Altrimenti, ultima spes, i posteri…
Se il ministero è ormai della Cultura, essa va intesa negli aspetti umanistico e scientifico: il secondo aspetto è carente nell’amministrazione per storiche ragioni. Il ministro ha istituito nuovi «Dipartimenti», ancora senza titolo, salvo forse uno («Arti e Valorizzazione»). Ne approfitto per riflettere al riguardo, premettendo che la valorizzazione dovrebbe permeare tutte le articolazioni del ministero. A parte lo Spettacolo e gli Archivi e biblioteche — di cui poco so – due principali settori si parano davanti: il Paesaggio — a cui si è aggiunto l’Ambiente per integrazioni alla Costituzione – nominato per primo nel famoso articolo 9 – e il Patrimonio storico e artistico (non storico-artistico), nominato per secondo: da una costruzione a un torchio, da una pittura a una saliera.
Nel primo settore – quello del Paesaggio/Ambiente — dovrebbero operare non semplici architetti ma specialisti nella pianificazione del paesaggio (disciplina architettonica ma anche più latamente umanistica) e nel suo fondamento ambientale (disciplina scientifica), capaci di redigere un «Piano paesaggistico di regione», quindi anche di criticarlo e approvarlo. In uno Stato degno del nome, ove una regione non redigesse per decenni un piano paesaggistico, il ministero dovrebbe poterne surrogare la funzione. Il problema è la carenza di personale adeguato, soprattutto da quando deve tener conto anche della natura. Già a partire da questo settore deve essere attiva, oltre la tutela, anche la valorizzazione culturale, che aiuti le persone a vedere l’evoluzione e la storia di un territorio, cogliendone le millenarie o secolari invarianti, da tutelare.
Nel secondo settore – quello del Patrimonio — dovrebbero operare sia architetti e archeologi – inclini ai contesti e agli edifici – sia storici dell’arte, delle arti applicate e della cultura materiale, versati negli oggetti mobili. Anche in questo settore si può distinguere tra tutela e valorizzazione culturale purché s’intendano entrambe come gravitazioni d’interesse maggiori, di pari dignità e complementari (dopo aver privilegiato le direzioni di musei-monumenti-siti, andrebbe ridata forza alle povere soprintendenze).
Infatti la Tutela, oltre che salvare un monumento o un edificio dalle intemperie, deve rivelare il suo dinamismo interno, articolandolo in periodi, per il quale serve una preparazione «topografica» e «stratigrafica» nella quale non brilliamo.
È l’anatomia e lo sviluppo degli insediamenti che i musei delle città dovrebbero illustrare, esistenti solamente Oltralpe. D’altra parte l’Istituto centrale dell’Archeologia del ministero – acclamato agli esordi come pendant a quello del Restauro – non ha ancora fornito l’essenziale: i criteri da seguire nello scavo, nei grafici e nella edizione. Niente di peggio che soffocare le soprintendenze con una documentazione a casaccio, mancando le indicazioni di metodo. Lo scavo non è una praticaccia qualsiasi, da dare per scontata, ma alta chirurgia! Il restauro dei monumenti deve poi prevedere anche entrata, uscita, biglietteria, bookshop, percorsi e servizi – fondamentali le sale multimediali – onde riflettere il racconto del monumento nel tempo oggetto della valorizzazione culturale.
Scarsi sono in Italia i conoscitori delle arti applicate – a parte gli antiquari – la cui tutela è stata finora inadeguata, a causa dell’attenzione orientata soprattutto sui «capolavori» mobili, per cui le architetture sono state svuotate (come, a Roma, palazzo Sacchetti). Non è un caso che da noi siano rari i musei delle arti applicate – ah, l’invidiabile Victoria & Albert di Londra! – i quali presuppongono una cultura «tipologica», da noi arretrata. Ma un’architettura senza arredi è come una conchiglia la cui sostanza vitale è sfumata nell’eco. In palazzi e ville quasi mai s’intendono le funzioni delle stanze, ma viene sempre descritto il soggetto e l’autore dell’affresco sul soffitto: come se i visitatori fossero pipistrelli in pausa diurna… Luogo-architettura-arredi-arti-funzioni formano un’unità e le cose perdono di significato se sradicate dai loro dinamici sistemi. La nostra cultura estetica è soprattutto «collezionistica» – cioè antologica – per cui gli insiemi sono stati rimossi.
Vi è infine la valorizzazione economica, che pure è importante. Ma se limitiamo la valorizzazione culturale ai musei-monumenti-siti più famosi, la riduciamo a quanto è di massa e porta soldi, privilegiandolo rispetto a ciò che rende meno pur essendo significativo. Se la cultura è, non Mammona – cioè quantità – ma qualità scientifica – o delle regolarità della natura – e qualità storica e artistica – o della regolarità e della bizzarria umane – allora il ministero deve non privilegiare i prestigiosi fondali per selfie e gli adorati feticci, ma distogliere le orde dall’Ovvio per volgerle al Sorprendente: il tessuto dei centri medi e piccoli, dei loro agri e delle loro opere, così da giovare agli animi spersi dei visitatori, oltre il bisogno di agitarsi e apparire nel Clamoroso, troppo promosso. Nostro compito sarebbe spiegare al globo come è nata la civiltà occidentale…
Tutti oggi come, a suo tempo, l’itinerante Bernard Berenson (meno il commercio delle opere)? Dalla visione sono riscivolato nel sogno.