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 2023  ottobre 25 Mercoledì calendario

Chi ha fatto fallire la pace in Medio Oriente?

E pensare che nel 2000 ci erano quasi riusciti. Dopo centinaia di risoluzioni Onu, decenni di violenze, milioni di rifugiati le carte per chiudere il conflitto israelo-palestinese sono sul tavolo di Camp David, ultimo anno della presidenza Clinton. Ancora una volta però è «tutto o niente» e finisce in nulla. Due Stati e un miraggio: Israele-Palestina una mappa di confini scritti sulla sabbia.
1947: l’inizio
La spartizione proposta nel 1947 dalle Nazioni Unite con la risoluzione 181 dell’Assemblea generale vede subito due entità: 56% del territorio agli ebrei, il resto agli arabi e in mezzo Gerusalemme amministrata dall’Onu. Le comunità arabe respingono il piano e scoppia la guerra civile che è solo un preludio del primo vero conflitto.

Nel 1948 termina il mandato britannico che si era insediato nel 1920 sui resti dell’Impero Ottomano e aveva lasciato affluire i primi sionisti di ritorno alla biblica terra promessa. Il 14 maggio dello stesso anno nasce lo Stato di Israele, ma in contemporanea calano gli eserciti di Egitto, Giordania, Libano, Siria, Iraq. Per il popolo ebraico guidato da David Ben Gurion inizia l’assedio, per il popolo palestinese l’esodo: 700 mila in fuga, la nakba, catastrofe. Dopo un anno di combattimenti, nel 1949 Israele può estendere i confini a Galilea orientale, Negev e Gerusalemme Ovest. Buona parte delle terre destinate ai palestinesi invece sono occupate dagli alleati arabi: ad Amman la Cisgiordania, al Cairo la Striscia di Gaza.
Il mondo arabo non accetta Israele e i palestinesi restano intrappolati tra il nuovo Stato che deve affermare il proprio diritto a esistere e le lotte per l’egemonia che muovono le potenze regionali. Si combatte per la terra. La risoluzione Onu 194 prevede ritorno dei palestinesi sparsi nei campi profughi del Medio Oriente, restituzione dei beni, risarcimenti a chi non rientra: per Israele non un diritto, ma un punto politico.
Nascono l’Olp e gli insediamenti
Nel 1956 la crisi di Suez innescata dall’attacco di israeliani, francesi e britannici all’Egitto del generale Nasser rafforza lo spirito panarabo e aumenta l’isolamento dello Stato ebraico. 1959, in Kuwait nasce il Fatah che con Yasser Arafat assume la guida della resistenza palestinese. La tensione tra egiziani e israeliani cresce fino alla guerra dei Sei Giorni. È il 1967, tre anni prima a Gerusalemme è nata l’Olp-Organizzazione per la Liberazione della Palestina: non riconosce Israele, promuove la lotta armata per il diritto all’autodeterminazione e al ritorno, è pronta ad azioni terroristiche. Israele, accerchiata, attacca e sbaraglia gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria appoggiati da Iraq, Libano, Arabia Saudita. Strappa all’Egitto Gaza e Sinai, alla Siria le alture del Golan, alla Giordania Cisgiordania e la parte araba della città santa, Gerusalemme Est, annessa. Superato il confine stabilito nella guerra del 1948, il territorio israeliano alla fine è quattro volte più grande. Comincia la costruzione degli insediamenti.

La risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza stabilisce il principio «terra in cambio di pace»: sovranità, integrità e indipendenza per tutti, ritiro israeliano dai territori occupati. Quali? Alcuni, secondo la versione inglese del testo; tutti, secondo la versione francese. Israele rifiuta. La questione neanche si pone per l’Olp, che disconosce pure le conquiste del ’48. La Lega araba nel vertice di Khartoum del 1967 risponde con i «tre no»: nessun riconoscimento, nessun negoziato, nessun trattato di pace. Nel 1970 a Nasser succede Anwar Sadat.
La strada al Trattato di pace
1973, guerra di Yom Kippur: egiziani e siriani colgono Israele di sorpresa ma dopo l’iniziale sbandamento la controffensiva ribalta gli equilibri. L’Onu ottiene il cessate il fuoco, la risoluzione 338 decide negoziati per una pace giusta e duratura. La mediazione del segretario di Stato Usa Henry Kissinger e la Conferenza di Ginevra inaugurano «la diplomazia dei piccoli passi» però nulla si muove. Anni di azioni terroristiche, prese di ostaggi, ancora guerra (Libano 1982). Con passaggi cruciali. 1978, Camp David, Maryland, residenza del presidente americano Jimmy Carter: dopo 12 giorni di trattative segrete gli accordi tra Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin aprono la strada al Trattato di pace del 1979, con il quale Israele si ritira dal Sinai smantellando tutti i 18 insediamenti e l’Egitto diventa il primo Stato arabo a riconoscere Israele (nel 1994 segue la Giordania). La Lega araba non gradisce ed espelle Il Cairo. Nel 1981 Sadat è assassinato da un terrorista della jihad islamica.

Due popoli, due Stati
1987, a Gaza, dal campo profughi di Jabalya, parte la prima Intifada: i palestinesi lanciano pietre contro i militari, alzano barricate, organizzano scioperi e boicottaggi. Nasce Hamas. L’anno dopo da Algeri Arafat proclama l’indipendenza dello Stato di Palestina sui territori di Gaza e Cisgiordania con Gerusalemme Est capitale. L’Intifada continua fino al 1993, l’anno degli accordi di Oslo. Con la stretta di mano tra Arafat e il premier israeliano Yitzhak Rabin si apre alla speranza di due popoli, due Stati. È la prima volta che israeliani e palestinesi si riconoscono come legittimi interlocutori, l’Olp chiude con il terrorismo e vede nascere l’Autorità nazionale palestinese (Anp), organo di autogoverno temporaneo e limitato con sede a Ramallah, nella Cisgiordania divisa in tre aree amministrative. Viene però rinviata la discussione sui punti nevralgici: confini, insediamenti e rifugiati, Gerusalemme.

Nel 1994 Israele lascia Gerico e Tulkarem in Cisgiordania, la maggior parte di Gaza, e nel 1997 l’80% di Hebron. Il «processo di Oslo» non decolla. Accelerano gli insediamenti, crescono Hamas e gli altri gruppi fondamentalisti. I limiti alla libertà di movimento precludono ai palestinesi l’autosufficienza economica. Nel 1995, dopo il secondo round di Oslo che estende ancora i territori governati dall’Anp, il Nobel per la pace Rabin è ucciso da un estremista della destra israeliana contraria agli accordi.
L’occasione persa
Luglio 2000, Camp David: con Bill Clinton ci sono Arafat e il premier israeliano Ehud Barak, l’idea è chiudere una volta per tutte. Barak apre al rientro parziale dei profughi, offre fino al 91% della Cisgiordania e per la prima volta mette in discussione il controllo israeliano, non la sovranità, su Gerusalemme Est. Il compromesso sulla capitale e vincoli come l’impossibilità di costituire un esercito impediscono ad Arafat, stretto tra la frustrazione dei palestinesi e l’avanzata dei fondamentalisti, di accettare. Il vertice è un fallimento.

A dicembre Clinton ci riprova e richiama entrambi i leader: in via informale Barak arriva al 97% della Cisgiordania, Arafat resta fermo. Nel frattempo da Gerusalemme è partita la seconda Intifada, innescata dalla provocatoria passeggiata del leader dell’opposizione israeliana di destra Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee. L’anno dopo Sharon è primo ministro, e con lui comincia la costruzione del muro in Cisgiordania.
Muro contro muro
2002: Ramallah, Gerico e Tulkarem rioccupate dall’esercito israeliano. 2002-2003, la Road Map del quartetto Usa-Ue-Russia-Onu presentata da George W. Bush non supera neanche il livello uno. Nel 2005 Israele si ritira dalla Striscia di Gaza, via i 21 insediamenti. 2006: nuova guerra con il Libano; alle elezioni palestinesi vince Hamas che l’anno dopo prende con le armi il controllo totale della Striscia, mentre l’esangue Fatah di Abu Mazen si tiene a galla in Cisgiordania. Da Gaza e su Gaza partiranno altri sette attacchi e contrattacchi.

A partire dal 2020 prende il via l’ultimo tentativo di normalizzare i rapporti tra Israele e mondo arabo con gli accordi di Abramo promossi dalla presidenza Trump: intese bilaterali concluse con Emirati, Bahrein, Marocco e Sudan, giunte alla fase negoziale con l’Arabia Saudita. La questione palestinese è scomparsa. Per l’Onu gli insediamenti restano illegali, perché ostacolando la continuità territoriale rendono impossibile la soluzione dei due Stati. Tra Cisgiordania e Gerusalemme Est oggi ce ne sono 279, compresi 147 avamposti non autorizzati dal governo israeliano, per un totale di circa 700 mila coloni insediati fra 3 milioni di palestinesi sotto occupazione militare.
7 ottobre 2023, assalto di Hamas. Terra promessa e tradita: dal fanatismo politico, dal mondo arabo che ha sempre usato la questione palestinese per giocare altre partite su altri tavoli, dal terrorismo.