Corriere della Sera, 24 ottobre 2023
Telecronisti, tre cause perse
«Ho sempre avuto un debole per le cause perse, quando sono proprio perse» (cit.). Prima causa persa: nelle telecronache si parla troppo. Lo so, l’ho già scritto mille volte, una in più non servirà a nulla. Domenica pomeriggio mi è capitato di seguire su RaiSport una partita di pallavolo (volley) tra Valsa Group Modena e Allianz Milano, telecronaca di Maurizio Colantoni e Andrea Lucchetta.
La pallavolo è quello sport che si pratica in quasi tutte le scuole, i principi elementari del gioco sono conosciuti. Ebbene, i due non sono mai stati zitti un solo istante, spiegando persino l’inspiegabile. Lucchetta, poi, deborda con estrema facilità, non sa contenersi, vorrebbe essere sempre lui il protagonista della partita. Come si dice, fa il fenomeno. Siamo nel 2023, è televisione, non radio: ci sono le immagini che spesso parlano da sole. I telecronisti, nessuno sport escluso, non considerano il valore delle pause, del silenzio.
Seconda causa persa: perché i giornalisti e le giornaliste (l’ho scritto!) non sono capaci di fare una domanda che duri meno di un minuto? La situazione diventa particolarmente imbarazzante quando si collegano con gli inviati in zone di guerre. Quelle e quelli (l’ho scritto!) sono lì, in situazioni non facili, il collegamento è precario, da un momento all’altro può scoppiare una bomba e dallo studio fanno domande chilometriche (di solito quando non sanno cosa chiedere) quando basterebbe un semplice: «Raccontaci come stanno le cose». Fateci caso: non riescono a fare domande secche e precise.
Terza causa persa, ma proprio persa. La vogliamo smettere con l’intervista imboscata? Sei per strada, ti si avvicina una troupe che spesso millanta una trasmissione (a me è successo con una troupe di Mediaset a Trento, durante il Festival dello Sport) e ti fa una domanda del piffero e poi usa come vuole le tue parole di diniego. L’errore è di rispondere educatamente, bisognerebbe mandarli a quel paese. Poi, mi raccomando, facciamo i corsi di deontologia professionale o gli accertamenti sul codice etico aziendale, o come si chiama quella roba lì. (Mi immagino di essere come Rhett Butler, che imbarazzo!).