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 2023  ottobre 24 Martedì calendario

Intervista a Sara Doris


La vicepresidente di Banca Mediolanum: «Aiutava le persone anche nelle piccole cose, a una donna comprò la lavatrice». L’infanzia: «Invidiavo la mia vicina di banco perché lei poteva dire che suo papà faceva il macellaio: consulente finanziario era un mestiere assurdo»
Sara Doris con il padre Ennio, scomparso nel 2021
Ascolta l’articolo8 miniNEWEnnio Doris era il suo papà. Certo, era anche il visionario che ideò Programma Italia, la prima rete globale di consulenza finanziaria, e il temerario che convinse Silvio Berlusconi a fondarla con lui nel 1982, felice azzardo dal quale nacque Banca Mediolanum (112,65 miliardi di euro di masse gestite nel primo semestre di quest’anno, quasi diecimila collaboratori a livello europeo). Ma per Sara Doris, la secondogenita di 53 anni arrivata dopo Massimo, amministratore delegato succeduto al padre, Ennio Doris era soprattutto quell’uomo che d’inverno, in montagna, le toglieva gli scarponi gelati e le sfregava i piedi con le mani per riscaldarli. Oppure quello che l’aspettava sorridente in cima allo skilift per aiutarla a vincere la paura. O quello che a 10 anni l’aveva portata al concerto dei Pooh a Treviso, prendendo sul serio le sue passioni. Tutto questo Sara Doris ha provato a raccontarlo in un memoir, in libreria per Piemme dal 31 ottobre. Un titolo semplice, come l’amore che riassume: Ennio, mio padre.
Se qualcuno le chiedesse chi era suo padre?
«Risponderei: era un uomo che tracciava sentieri per aprire strade non per sé, ma per facilitare gli altri. Aveva grande consapevolezza delle sue capacità, ma le considerava un dono da mettere a disposizione».
E da bambina cosa rispondeva?
«Per me era difficile, e invidiavo molto la mia vicina di banco che poteva dire il macellaio, qualcosa che tutti conoscevano. Fare il consulente finanziario, a quei tempi, era una cosa assurda. Se gli chiedevo: “Papà, cinquemila lire sono tante?”. La sua risposta era: “Dipende. Sono tante se devi comprare un gelato, poche per una casa”».
Quando è mancato, il 24 novembre 2021, il cardinale Ruini lo definì «un banchiere speciale». Quale commento le fece più piacere?
«Non è tanto un commento, quanto scoprire che ovunque, a qualunque livello, ha lasciato un segno. Era disponibile con tutti. Un tale di Tombolo, negli anni 80-90, lo chiamava insistentemente. Chiesi a mio padre perché gli desse retta e lui: è figlio di amici dei miei genitori».
Ennio Doris con sua moglie Lina, e in primo piano i figli Massimo e Sara
Tombolo è il paese dove lui è nato e dove lei è cresciuta fino ai 12 anni, quando vi siete trasferiti a Milano.
«Anche dopo, però, tornavamo dai nonni ogni finesettimana. Io e Massimo dormivamo da loro, in questa stanza freddissima con il letto riscaldato dalla “mònega”. Nello stesso letto con noi dormiva nostra cugina Iva, mentre sua sorella Sandra si infilava in un lettino con le sbarre».
Come andò con i Pooh?
«La passione me l’aveva trasmessa Cristiana, figlia di amici. Così un giorno lui venne a casa a Tombolo, mi fece chiamare mia cugina e ci chiese se eravamo libere il sabato sera, sventolando tre biglietti. Può immaginare la gioia. Quando arrivammo a Treviso ricordo perfettamente com’era vestito: con i pantaloni eleganti pied de poule azzurro e beige. Stese il suo fazzoletto di cotone sul prato, si accomodò e mi fece appoggiare la schiena alle sue gambe. Nessuna delle mie amiche era mai stata a un concerto».
Ma almeno i Pooh piacevano anche a lui?
«A lui piaceva Uomini soli, che scrissero dopo. Il suo passaggio preferito era quello dell’uomo che deve scrivere il romanzo che ha dentro».
Come aveva fatto lui, sognando la Citroën Pallas di un datore di lavoro.
«Che poi comprò, color cognac, interni abbinati. Ne teneva un modellino in ufficio. Io dopo gli regalai un quadro con l’auto che percorreva strade in mezzo ai grattacieli».
E un regalo che le fece?
«Non era tanto da ricorrenze. Ma c’è un orologio che mi ha regalato nel 1997, il giorno del mio compleanno. La sera prima eravamo arrivati a Parigi, il mattino dopo avremmo dovuto fare la presentazione con gli analisti. Da lì andammo a Monaco per pranzo e la sera a Glasgow. Fuori dall’hotel c’era una gioielleria e mi incoraggiò a scegliere qualunque cosa. Presi questo orologio con il cinturino rosso che conservo con cura».
Eravate più che benestanti. Nel 1981 suo padre guadagnava 100 milioni di lire al mese. Ebbe mai paura di un sequestro di persona?
«No. Però nel 1988 iniziammo ad avere tutti le guardie del corpo, dopo che in Sardegna i ladri erano entrati in casa e avevano rubato i gioielli. Papà disse che già da un po’ stava pensando alla nostra sicurezza e che eravamo stati fortunati».

La beneficenza era nel suo Dna, da quando studente pendolare divideva a metà con l’amico Nino i tre panini preparati da mamma Agnese.
«Tante cose le abbiamo scoperte dopo che è morto. Anche piccole, che però aiutavano davvero. Mi colpì una donna alla quale aveva regalato una lavatrice».
E come la prese quando decise di risarcire di tasca propria i clienti che avevano perso i soldi nel crollo della Lehman Brothers? Trascinò nell’impresa anche Berlusconi.
«Fu un momento importante, ma allo stesso tempo non mi sorprese, era coerente con i suoi valori».
Però quei soldi erano anche vostri.
«Io e mio fratello non ci saremmo mai permessi di contestare una sua scelta. Una volta nonno Alberto, intermediatore al mercato del bestiame, lavoro che sarebbe toccato pure a mio padre se non si fosse ammalato da bambino, cedette un affare al compare, suo testimone di nozze. Mio padre gli chiese: “Ma non hai pensato a me e alla mamma?”. Quei soldi avrebbero fatto comodo in casa. E mio nonno lo gelò: “Ennio, ricordati bene che io a mio padre non ho mai chiesto nulla. Tu non hai diritti da vantare verso i tuoi genitori, hai dei doveri”».
Che rapporto aveva con Berlusconi?
«Si conobbero nel 1981. Papà era a Portofino con la mamma e lo riconobbe. Lo fermò e gli chiese se poteva stringergli la mano: gli disse che insieme avrebbero potuto fare grandi cose».
Lei come lo vedeva?
«Ne ho sempre avuto grande stima, papà ne parlava con entusiasmo. D’estate in Sardegna ci invitava nella sua villa e quando ricambiavamo l’invito portava sempre qualcuno per suonare, tanta allegria».
Erano anche molto diversi: penso alla vita privata.
«Ognuno nella vita è come desidera essere. Entrambi avevano grandi talenti e il desiderio di esprimerli a beneficio della comunità. Mai uno screzio tra di loro: due uomini leali, sinceri, generosi».
Berlusconi al funerale era molto commosso.
«Una cosa mi ha toccato il cuore: due giorni dopo ha chiamato personalmente mia mamma, poi Massimo e infine me dicendoci di contare su di lui per qualunque cosa. Si è comportato come uno zio».
Cos’ha preso dai suoi genitori?
«Da mio padre la sensibilità, mi commuovo facilmente. Da mia madre Lina, la capacità di fare. Mi è tornata utile con 5 figli».
Riguarda i suoi filmati?
«Sì, quando ho nostalgia di vado su YouTube, anche solo ascoltare la voce me lo fa sentire vicino. Io lo sento davvero vicino».

Mi faccia un esempio.
«Con la Fondazione Ennio Doris abbiamo adottato la Guglia di Giovanna d’Arco del Duomo. Due settimane fa abbiamo fatto un piccolo evento alla Veneranda Fabbrica e dalle finestre si vedeva la parte della Rinascente con tutte le vetrine addobbate di giallo con le copertine di Tex Willer: papà lo leggeva fin da bambino, non aveva mai smesso».
Se potesse rivederlo?
«Starei abbracciata a lui tutto il tempo».