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 2023  ottobre 24 Martedì calendario

Da Tom Hanks, Nascita di un capolavoro del cinema, Bompiani: incipit

Poco più di cinque anni fa una certa Al Mac-Teer, nome che non faceva presagire nulla di buono, mi ha lasciato un messaggio in segreteria da un numero con il prefisso della California. Questa donna dai modi spicci chiedeva di essere richiamata per parlare di un piccolo memoir di cui ero l’autore. Era intitolato Giù dalle scale per il Paradiso e raccontava di quando facevo il barista in un localino seminterrato di musica dal vivo negli anni ’80. Ai tempi ero anche una specie di giornalista freelance che copriva Pittsburgh, Pennsylvania, e dintorni. Scrivevo pure recensioni di film. Oggi insegno scrittura creativa, letteratura e cinema al College di Belle Arti Mount Chisholm sulle colline del Montana, non lontano da Bozeman, dove si arriva passando per una strada brulla e magnifica. È raro che mi lascino messaggi in segreteria da Los Angeles, California. "Il mio capo ha letto il suo memoir," ha esordito la signorina Mac-Teer. "Dice che lei scrive quello che lui pensa." "Il suo capo è un genio," ho detto io, poi le ho chiesto: "Chi è il suo capo?"
IL REGISTA
Quando ha detto che lavorava per Bill Johnson, e che io l’avevo richiamata mentre lei stava andando in macchina da casa a Santa Monica all’ufficio nel palazzo della Capitol Records a Hollywood proprio per una riunione con lui, ho urlato: "Lei lavora per Bi-Bi-Bi-Bill johnson? Il regista? Voglio le prove."
Qualche giorno dopo eccomi al telefono con Bi-Bi-Bi-Bill Johnson in persona, a parlare del suo lavoro, cioè di una delle materie che insegno. Quando gli ho detto che avevo visto tutta la sua filmografia mi ha accusato di volerlo confondere. Quando gli ho elencato una sfilza di scene clou dei suoi film mi ha detto di chiudere la bocca. Basta così. Stava "cucinando" una sceneggiatura sul panorama musicale tra gli anni ’60 e ’70: l’epoca in cui le band si erano evolute basta outfit coordinati e canzoni di tre minuti adatte alla radio, avanti con le jam session per gli lp e la Jimi Hendrix Experience. Le storie raccolte nel mio libro erano piene di dettagli molto personali. E anche se l’epoca che avevo descritto io era di vent’anni successiva a quella che lui stava "cucinando", dato che il nostro club ospitava gruppi jazz poco noti e cover band dei Depeche Mode, quello che succede nei locali dove si suona dal vivo è senza tempo, universale. Le risse, le droghe, l’amore serio, il sesso senza pensieri, l’amore senza pensieri, il sesso serio, le risate e le urla, chi entra e chi resta fuori: in pratica, a Bill interessava tutta quella liturgia di comportamenti umani, ovvi o impliciti. Così mi ha offerto dei soldi per il libro: i diritti non esclusivi. Voleva dire che se si fosse mai presentata l’occasione avrei potuto vendere i diritti esclusivi ad altri.
MISSIVE
Come no. Comunque ho guadagnato più soldi vendendogli i diritti che vendendo copie del libro. Poi Bill se n’è andato a girare Razzi in tasca, ma non ha smesso di tenersi in contatto con telefonate e lettere scritte a macchina, parecchie: missive sugli argomenti più disparati, i suoi Temi Del Momento. L’Inevitabilità della Guerra. Il jazz è come la matematica? Quali topping si abbinano meglio ai gusti del frozen yogurt? Gli rispondevo con la penna stilografica la macchina da scrivere, ma dai! perché in quanto a piccole fissazioni non sono secondo a nessuno. Ho ricevuto una lettera di una pagina in cui c’era scritto soltanto: Quali sono i film che odi, quelli che ti fanno uscire dalla sala? Perché? Gli ho risposto subito. Non c’è un solo film che posso dire di odiare. I film sono troppo difficili da fare per darti il diritto di odiare, anche quando sono pallosi. Se un film non è bello sto seduto in poltrona ad aspettare i titoli di coda. A un certo punto finirà. Uscire prima è un peccato mortale.
Credo che al servizio postale statunitense siano serviti due giorni per recapitare la lettera, e dev’essercene voluto un altro per farla arrivare sotto gli occhi di Bill, perché tre giorni dopo ecco una telefonata di Al Mac-Teer. Il suo capo pretendeva che mi fiondassi lì, letteralmente, per guardarlo fare un film. Le vacanze di fine semestre si avvicinavano, io non ero mai stato ad Atlanta e un regista mi invitava ad assistere alla realizzazione di un film. Anche se insegno cinema non ero mai stato su un set. Così ho preso un volo fino a Salt Lake City e poi la coincidenza. "Tu hai detto una cosa che penso da sempre," se n’è uscito Bill quando sono arrivato sul set di Razzi in tasca, nel nulla della sterminata periferia di Atlanta.
L’ESPERIENZA
"Ovvio che certi film non funzionano. Certi film non riescono nel loro intento. Ma chi dice di aver odiato un film riduce un’esperienza umana di condivisione premeditata a un volo notturno da Los Angeles dove non chiudi occhio. Ore di ritardo in partenza, turbolenze che spaventano persino gli assistenti di volo, il tizio dall’altra parte del corridoio che vomita, impossibile servire la cena e alcolici niente, finiti, e sei seduto di fianco a due gemellini con le coliche e atterri troppo tardi per la riunione che avevi in agenda. Questo si può odiare. Invece odiare un film non ha proprio senso.