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 2023  settembre 02 Sabato calendario

Biografia di Brunello Cucinelli

Brunello Cucinelli, nato a Castel Rigone (Passignano sul Trasimeno, Perugia) il 3 settembre 1953 (70 anni). Imprenditore. Stilista. Filantropo. Fondatore, presidente e amministratore delegato dell’omonima azienda, specializzata nella produzione di maglieria pregiata in cachemire. Secondo l’ultima classifica ufficiale della rivista Forbes (aggiornata al 4 aprile 2023), detentore, con la sua famiglia, di un patrimonio netto di 3,2 miliardi di dollari, che ne fa la 905a persona più ricca del mondo e la 23a più ricca d’Italia. «Il signore del cashmere di massimo lusso, che, instancabile nel leggere oltre ai bilanci anche i filosofi, è diventato un industriale, e un uomo, che sorride sempre e ha una spiegazione soave per tutto» (Natalia Aspesi). «Ho ispirato la mia vita alla bellezza. Perché dove c’è bellezza c’è più umanità» (a Luca Fraioli) • «I miei erano contadini mezzadri. Fino al 1967 siamo vissuti in una casa, a Castel Rigone dove sono nato, senza luce né acqua. La mattina andavo a scuola a piedi. In casa si era in 13 fra nonni, zii e cugini e la vita era faticosa, ma bella perché rispettosa della natura e dei suoi ritmi» (a Mariangela Mianiti). «Io ho imparato cosa sia la bellezza tirando il carro dei buoi. In una famiglia contadina, com’era la mia, ognuno aveva il proprio ruolo e ogni compito veniva assegnato in funzione dell’età. La nonna si dedicava alla cucina, il nonno curava il pollame, mia madre badava a noi figli, mentre il babbo, un tipo robusto, era addetto ad arare la terra con l’aratro e io, bambino, dovevo fare in modo che i buoi andassero ben diritti. Lui mi ripeteva che i solchi dovevano essere bene allineati perché erano più belli, associandosi all’armonia del creato» (a Emilia Costantini). «“Ero il più bravo della famiglia a fare solchi dritti perché a differenza di tutti non seguivo la coppia di vacche, ma la trainavo dal davanti. Ho continuato con lo stesso metodo”. Ha sofferto la povertà? “No, nella nostra grande famiglia […] non c’era bisogno di molto. Vivevamo della nostra parte di raccolto, perché la metà andava al padrone, e seguivamo il ritmo delle stagioni”» (Stefania Rossini). «Con me conservo anche il ricordo della decima, ovvero quella piccola parte di raccolto che i contadini donavano alla parrocchia per i più bisognosi. Ecco, quel segno mi è rimasto come un imperativo morale a donare, a restituire» (a Simone Marchetti). «Negli anni Sessanta ci trasferimmo alla periferia di Perugia perché il babbo aveva trovato un lavoro in fabbrica: il suo sogno era fare l’operaio e avere un salario mensile. Dalla sera alla mattina ci trovammo in casa un televisore, il bagno e persino l’acqua calda, anche se la pace della campagna era svanita. E l’entusiasmo di mio padre per la nuova occupazione venne ben presto smorzato». «Lavorava duro e bene, scoprì però che la sua dignità poteva essere calpestata da un rimprovero volgare. Se dai del coglione a un contadino che non ha studiato, lo uccidi». «“Vedere quest’uomo con gli occhi lucidi, le mani screpolate, fu un profondo dolore. Allora mi sono detto: non so cosa farò nella vita, ma cercherò un riscatto da tale umiliazione. Nella mia azienda ho adottato dei princìpi nel rispetto della dignità umana”. […] Qual è stato il suo percorso scolastico? “Dopo geometra, dove raggiunsi il diploma con il 6 politico – era il ’68-’69, il periodo della contestazione giovanile –, mi iscrissi a Ingegneria, che ho frequentato per soli tre anni”» (Costantini). «Ero il terzo figlio, il signorino, quello che non lavorava. Sognavo di diventare ingegnere, scienziato, sacerdote. E andavo al bar Gigino». «“La mia vera università è stato il bar del quartiere con gli amici. Ci trascorrevamo tutta la notte. Un po’ giocavamo a carte e un po’ discutevamo di politica, di economia, di donne… ma eravamo solo uomini e l’unica donna che si univa a noi era Lella, la nostra amica prostituta, che ci raccontava le pene del suo mestiere antico. La difendevo da certi ragazzi che la punzecchiavano con battutacce… provavo compassione per lei e ho tentato di convincerla a cambiare vita”. Ci è riuscito? “Purtroppo no. Ma in quel gruppo di amici sciamannati c’erano studenti del liceo classico che studiavano filosofia, materia che non conoscevo, e la cosa mi scocciava parecchio, perché non ero in grado di partecipare ai loro discorsi, per esempio su Kant. Comprai un libro sul grande filosofo tedesco e una sua frase mi cambiò la vita: ‘Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre come nobile fine e mai semplicemente come mezzo’. Poi ho continuato a studiare Socrate, Platone, e un’altra folgorazione l’ho ricevuta dal libro di Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano, un imperatore illuminato”. […] In che modo è approdato all’alta moda? “Perché a Perugia conobbi una ragazza, Federica, che cominciai a corteggiare ed è tuttora mia moglie: aveva un negozietto di abbigliamento, in particolare maglioni, e da lì parte la mia passione per il cachemire colorato, essendo affascinato da Benetton. Volevo creare un prodotto italiano di qualità per gente danarosa… […] Però, all’epoca, non avevo i soldi nemmeno per comprare il primo materiale necessario su cui lavorare. Per fortuna, un signore che conosceva la mia famiglia mi prestò 20 chili di cachemire, dicendomi ‘Tranquillo, me li pagherai quando potrai’… tra noi contava la parola data. Quando poi raccontai al babbo il mio progetto, rispose: ‘Cocco mio, non c’ho capito niente…’. Poi aggiunse un modo di dire tipico delle nostre parti: ‘Che vuoi diventare, il più ricco del cimitero? Ricordati che i debiti lavorano pure la domenica!’”» (Costantini). «Cominciai a produrre poche decine di pezzi e a venderli in Trentino-Alto Adige perché lì c’erano gli unici che pagavano a trenta giorni. Sono ancora miei clienti». «Dal signor Albert Franz di Bolzano arriva il primo ordine di 53 pullover, e da lì “la minuscola fabbrica volge la prua verso il mare aperto”» (Francesca Nunberg). «Berlino 1978, camera 814. Quella volta, la prima in Germania alla Fiera del tessile, Brunello ci era arrivato con poche lire, qualche cachemire colorato, due amici del paesello e tre fratelli milanesi amici degli amici, molto chic. Camera 814, neanche l’ombra di un compratore curioso. E ora che si fa? Giro di sguardi e ideona: chiudono la porta. E, a turno, uno degli chicchissimi esce entusiasta: “Che bel cachemire, che collezione fantastica, signor Cucinelli”. È la svolta. A fine giornata i sei ragazzi vestiti bene hanno venduto 11.800 pullover! Marketing all’italiana, roba d’altri tempi. Mentre lo racconta, […] gli scappa ancora da ridere» (Serena Gentile). «“Ricordo ancora che la prima volta che andai a comprare il cachemire per i maglioni avevo il fucile nel fiorino e la cartuccera in bella mostra”. E che ci doveva fare? “Non potevo correre il rischio che il venditore non mi desse il cachemire buono…”. E glielo diede, ovviamente. “Sì, ma la gente non si accorse che il cachemire era buono. Continuava a chiedermi se era di prima qualità. Lo era, ma non lo capiva. Allora il secondo anno alzai il prezzo del 35 per cento. Smisero di chiedermi se era buono. È un concetto semplice”» (Marco Mensurati). Pochi anni dopo trasferì residenza e attività a Solomeo (Corciano, Perugia), «il borgo medioevale cui ha ridato vita. Ci è andato ad abitare nel 1982, poco dopo il matrimonio con Federica Benda, che gli ha dato due figlie, Camilla e Carolina. Il restauro è iniziato nel 1985 e per 25 anni ha assorbito molte delle sue energie, equamente divise tra lavoro, famiglia, studio e cura dell’umanità» (Daniela Fedi). «Il successo del business […] diventa mecenatismo. Brunello restaura Solomeo, vi apre un teatro, una scuola di mestieri dimenticati (ma indispensabili) e quindi si dedica alle periferie. […] Brunello acquista e demolisce vecchi capannoni per restituire terra e verde: il parco privato, dove oggi sorge una sorta di tempio alla dignità umana, una cantina e altri vigneti, funziona come un parco pubblico, ovviamente aperto a tutti, a due passi da casa» (Marchetti). «100 ettari di campagna restituiti al loro splendore rinascimentale, tra vigneti, uliveti e opere d’arte» (Fraioli). Nel frattempo, «i viaggi e il successo internazionale. Germania, America, Russia, Cina. Il passaggio dalla maglieria al total look di abbigliamento uomo-donna più borse, scarpe e accessori. Fino ad arrivare al Cucinelli di oggi, di un’eleganza avvolgente, inarrivabile per i più» (Nunberg). Quotata in Borsa dal 2012 con grande successo, oggi «la Brunello Cucinelli spa ha circa duemila dipendenti e cinquemila collaboratori, quasi tutte micro-aziende familiari e piccoli laboratori sparsi nella regione» (Fabiana Giacomotti). «Cucinelli prima dell’Ipo – fatta per allungare la vita dell’azienda – aveva già pensato a un piano di successione per il futuro: una lungimiranza rara nel mondo della moda, dove l’imprenditore stilista fa fatica a delegare. “Ho istituito un trust familiare con delle regole semplici e chiare – spiega Cucinelli – per la serenità delle mie figlie e della mia famiglia, e per quella dell’azienda. Nel trust c’è tutto scritto su come procedere nel caso in cui dovessi mancare, per assicurare la pace e la continuità senza traumi per tutti”» (Sara Bennewitz). Tra gli ultimi progetti filantropici di Cucinelli la fondazione della «Biblioteca universale di Solomeo», ispirata all’antica Biblioteca di Alessandria, «una sorta di tempio laico della cultura ove sia possibile dialogare con i più grandi spiriti della storia, a partire dai classici, amabili compagni della più profonda crescita morale e culturale dell’essere umano» • Dal 2022 è anche viticoltore. «Abbiamo chiamato il nostro primo vino Castello di Solomeo perché è un rosso nato grazie alla vigna del borgo umbro che da anni curiamo come un progetto di lunghissimo periodo». Prezzo: 400 euro a bottiglia. «I soldi guadagnati con il mio vino andranno tutti impiegati nella costruzione di biblioteche in giro per il mondo. Chiunque comprerà una bottiglia, lo farà sapendo che avrà contribuito alla diffusione del sapere in posti sfortunati. E io gli regalerò una bottiglia del mio olio» • Nel 2018 ha pubblicato presso Feltrinelli l’autobiografia Il sogno di Solomeo. La mia vita e l’idea del capitalismo umanistico, a cura dell’architetto Massimo De Vico Fallani, antico sodale di Cucinelli, che l’ha definito «il mio ispiratore, il mio Aristotele, paesaggista, filosofo, che mi sveglia alle 5 del mattino per leggermi una poesia e che […] lavora con me aiutandomi a realizzare il mio sogno, quello di rendere più umano il lavoro» • Tra le varie onorificenze ricevute, i titoli di Cavaliere del lavoro (2010) e di Cavaliere di gran croce (2017) e lauree honoris causa in Filosofia ed Etica nei rapporti umani (Università di Perugia, 2010), in Filosofia (Università di Messina, 2018) e in Management, Scienze bancarie e delle materie prime (Università di Roma «La Sapienza», 2022) • «Due anni fa [dichiarazione del 2013 – ndr] ho messo un punto e ho sentenziato: l’anima è immortale. Ci ho pensato per 30 o 40 anni, poi un giorno mi sono detto: “Domenica decidi”. Così è stato, al ritorno da una delle mie passeggiate nel bosco, quando mi ubriaco di bei pensieri» (ad Alessandro Ferrucci) • «Questo Papa ha indicato la strada: […] custodire il Creato, non sprecare il cibo, rispettare la persona, ha detto. Se ognuno di noi mettesse in pratica il 10% di questi insegnamenti, saremmo migliori» • «Io sono cresciuto con mio nonno, un socialista illuminato, che non aveva studiato niente. Sono diventato un democratico illuminato. Affascinato da Obama prima per il suo modo di porsi che per i contenuti. Sono un sano europeista, credo nell’euro e nella nostra Unione. Più che altro io voglio rispettare le leggi che il mio governo mi dà e collaborare, qualunque esso sia, perché, questo, me lo ha insegnato Platone» (a Maria Corbi). «Io amo la politica, e la amo così tanto che non la faccio. Il mio ruolo è un altro. È fare buona impresa, occuparmi della nostra Italia, ma in modo diverso. […] Cosa c’è di più politico che pensare all’umanità?» (a Carmelo Caruso) • «Dobbiamo avere cura per le nostre terre, per il patrimonio artistico e, non meno importante, per le nostre filiere produttive, la nostra tradizione artigianale, radicata in decine di distretti, che siamo riusciti a preservare anche durante la pandemia. Tutti devono fare la loro parte, in primis noi imprenditori, per proteggere le risorse umane, culturali e produttive dell’Italia» • Odia viaggiare. «Io farei come Kant: non mi muoverei mai da casa» (a Paola Pollo) • Appassionato di calcio («Squadra preferita? Sono indeciso tra la Juve e l’Inter»), è stato fondatore (nel 1998) e presidente del Castel Rigone, giunto fino alla Lega Pro Seconda Divisione (stagione 2013/2014), poi retrocesso e sciolto. «“Da noi, a Castel Rigone erano vietati sputi, simulazioni, esultanze esasperate. […] Serve rispetto, educazione. In vita mia ho esonerato più allenatori che manager, e solo per motivi disciplinari”. I suoi del Castel Rigone in trasferta pulivano gli spogliatoi dopo la doccia. Giocavano al sabato perché alla domenica si sta in famiglia. E hanno ricevuto più premi alle sconfitte che per le vittorie. […] “Pagare un calciatore più di un operaio mi avrebbe imbarazzato”» (Gentile) • «Seguace della regola di san Benedetto perfino nella vita quotidiana (si alza alle quattro, in estate consuma l’ultimo pasto alla “ora nona”, cioè nel primo pomeriggio, fa molta attività fisica)» (Giacomotti) • «Per quanto riguarda lo spreco, da tempo noi ci occupiamo di recuperare e riutilizzare i nostri prodotti perché continuino a esistere: abbiamo rammendatrici e tecnici che se ne occupano. Il mio armadio contiene tutta la mia vita, non ho eliminato nulla e per esempio se guardo una camicia del 1979 mi ricordo dei miei 17 anni e dei figli dei fiori» • «Brunello Cucinelli parla per citazioni. Chi non lo conosce potrebbe scambiarlo per un guru, per un imbonitore, a volte persino per un prete durante l’omelia della domenica. […] L’opera da sogno, cantata a mezza voce da Cucinelli, resta uno dei fari più illuminanti a cui non solo l’Italia ma l’imprenditoria di tutto il mondo può guardare. E poco importa se Brunello si nasconde dietro gli aforismi: i vezzi di un mecenate si perdonano sempre. Sempre» (Marchetti) • «Brunello Cucinelli non ha solo “inventato” il cashmere colorato. Non ha solo trovato un nuovo modo di intendere lo stile italiano. Ha anche impostato – e promuove instancabilmente – una filosofia imprenditoriale. […] Non ha mai dimenticato le parole del padre: […] “Sii una persona per bene”» (Giulia Crivelli) • «Il re del cachemire» (The Wall Street Journal) • «Qual è il suo segreto? “Cercare di realizzare un profitto garbato, vale a dire fare impresa recando il minor danno possibile all’umanità”. Come si fa? “Restituendo dignità morale ed economica al lavoro. Non sono parole al vento, ma criteri precisi. Io divido i profitti in quattro parti: la prima resta all’impresa, la seconda va alla mia famiglia, la terza alle persone che lavorano con me, la quarta è destinata ad abbellire il mondo, sia aiutando chi è in difficoltà, sia edificando una chiesa o un teatro”. E la sua personale ambizione? […] “Io non mi sento proprietario di quanto ho costruito, ma un semplice custode. Ho soprattutto cercato di edificare qualcosa di speciale in un ambiente umano ed esteticamente alto”» (Rossini) • «Perché i suoi dipendenti la chiamano “il tedesco”? (Ride). “Perché agli esordi della mia carriera ho lavorato in Germania, l’unico Paese dove venivo pagato… Ma soprattutto perché mi piace il rigore e in azienda se qualcuno offende qualcun altro viene subito licenziato, indipendentemente dal suo ruolo. […] Sono […] molto ordinato e il disordine mi fa alterare. Dico ai miei impiegati che la loro scrivania, a fine giornata, deve essere lasciata in ordine, in quanto il giorno seguente potrebbe essere utilizzata da altri”» (Costantini). «Le regole sono benedettine, molto rigorose e valgono per tutti, me compreso. Per essere credibili bisogna essere veri e, come Giulio Cesare, “dormire nello stesso tipo di letto dei soldati”» (Rossini). «Si inizia tutti alle 8 del mattino e si finisce alle 12.30. Un’ora e mezza di pausa pranzo per stare con la propria famiglia e poi si ritorna al lavoro fino alle 17.30, quando si spengono letteralmente le luci. Non si possono mandare e-mail dalle 17.30 alle 8 del mattino dopo, salvo casi eccezionali per chi lavora con mercati esteri. Gli stipendi sono più alti delle aziende circostanti e la qualità del lavoro è tutelata come fosse una religione» (Marchetti). • «La parola “decrescita” non mi piace. Sono per una crescita garbata, che rispetti il Creato e i limiti fuori e dentro l’azienda. Un manager può guadagnare forse al massimo dieci volte quello che guadagna l’ultimo dipendente dell’azienda, ma perché spingere di più sulla divaricazione degli stipendi?» (Francesca Manacorda) • «I nostri prodotti non sono cari, ma costosi, perché costano, di materiale e bravura artigianale, e così possiamo pagare i nostri dipendenti più degli altri, e non produrre nulla fuori dall’Italia» • «Che effetto le fa essere tra gli italiani più ricchi e come si concilia il lusso con il suo francescanesimo? “I miei genitori mi hanno donato la povertà, pur non soffrendo la fame. Ora sono ricco, ma non è cambiato niente per me. Le possibilità economiche, che non hanno alterato il mio animo, di per sé stesse non danno la felicità, tuttavia mi hanno dato la possibilità di realizzare tante cose che non avrei potuto fare altrimenti”. […] Niente sogni nel cassetto? “Mi piacerebbe tanto conoscere il greco antico, per poter leggere certi testi in originale. Aggiungerei una cosa, posso dirla?”. Dica! “Vorrei trovare qualcuno che, mentre io mangio a volontà, ingrassasse al mio posto. Con la cucina umbra, la cosa più difficile è stare a dieta”» (Costantini).