8 settembre 2023
Tags : Luka Modrić
Biografia di Luka Modrić
Luka Modrić, nato a Zara (Croazia, all’epoca facente parte della Jugoslavia) il 9 settembre 1985 (38 anni). Calciatore, di ruolo centrocampista. Giocatore del Real Madrid (dal 2012, e vicecapitano dal 2021; già Tottenham, Dinamo Zagabria) e della Nazionale croata (dal 2006, e capitano dal 2016). Vincitore, tra l’altro, con le sue squadre, di 3 campionati croati (2005-2008), 3 campionati spagnoli (2016/2017, 2019/2020, 2021/2022), 5 Champions League (2013/2014, 2015-2018, 2021/2022), 4 Supercoppe Uefa (2014, 2016, 2017, 2022) e 5 Coppe del mondo per club (2014, 2016-2018, 2022); a livello individuale, di un Pallone d’oro (2018). «Non è necessario essere un ragazzo robusto per giocare a calcio» • «Luka Modrić è nato pastore nel 1985 in quella Krajina croata, allora Jugoslavia, che si preparava al conflitto. La sua prima immagine conosciuta è in un video-reportage sulle aree rurali del documentarista Pavle Balenović che lo ritrae a 5 anni mentre conduce un gruppo di capre sotto gli occhi di un branco di lupi, tra le pietraie dei monti Velebit. Tiene in mano un minuscolo bastone, è avvolto in un cappotto violaceo di due taglie più grande, i capelli di quel giallo che gli stadi del mondo impareranno a conoscere. Lassù d’inverno si affonda nella neve, d’estate si cuoce sulle pietre, non c’è vegetazione, la bora impedisce che cresca. Luka abita in un villaggio di quindici case che porta il nome della sua famiglia, Modrići, nell’entroterra di Zara, dove, scherzano i conoscenti, “possono sopravvivere solo loro e il luppolo”. Il padre Stipe è cantoniere, si occupa della manutenzione della strada che congiunge la Dalmazia all’impervia regione della Lika. Mamma Radojka è operaia e sindacalista in un’industria tessile. Quando nel 1991 le truppe serbe avanzano in quella terra desolata per aprirsi lo sbocco al mare, Stipe è già diventato “branitelj” (difensore): si è arruolato nell’esercito croato. Gli aggressori trovano nonno Luka, stesso nome del nipote, con un fucile in mano e subito lo dichiarano nemico in armi. Dirà il futuro campione: “In realtà stava solo cacciando. Era l’unico uomo rimasto e doveva provvedere al nostro sostentamento”. Da lontano assiste all’esecuzione sommaria del patriarca, poi al rogo della sua casa. Ai cinque membri della famiglia Modrić (ci sono anche due figlie) non resta che la fuga, tra dirupi, gole, boschi, verso Zara. La città non è un luogo sicuro, i serbi la bombardano dalle alture, ma almeno si è tra amici. Trovano rifugio, come altri profughi, nell’hotel Kolovare. Luka ha portato con sé solo un pallone, con cui si esercita nei corridoi, nella hall, nel parcheggio antistante l’albergo. Per i vetri è un flagello “peggiore delle granate serbe”, nel ricordo dei camerieri» (Gigi Riva). «Era un ragazzo intelligente che si adattava a qualsiasi sport. Gli piaceva il basket e ci giocava con uno o due amici, compreso il futuro portiere della Nazionale croata Danijel Subašić. Inoltre, Modrić era un ottimo portiere di pallamano. Tuttavia, la prima volta in cui il suo professore di educazione fisica lo ha visto con un pallone da calcio tra i piedi è rimasto attonito. Ha provato a sfidarlo, facendolo giocare contro ragazzi più grandi, mettendolo in porta, o altre cose del genere. Ma Modrić è sempre riuscito ad avere la meglio su tutto. I ragazzini non riuscivano sempre a utilizzare la palestra della scuola, e anzi non c’erano nemmeno garanzie che potessero andare a scuola tutti i giorni. Zara era ancora una zona di guerra, dove le bombe cadevano con devastante regolarità. Luka e i suoi compagni di squadra erano costretti a ripararsi sotto i loro banchi quando sentivano le sirene antiaeree, a volte nascondendosi così a lungo che l’unica cosa da fare era ridere. Lo stesso avveniva al campo di calcio locale, dove Luka si stava facendo notare sempre più. Spesso gli allarmi iniziavano a suonare durante gli allenamenti e le squadre dovevano mettersi al riparo. Quando tutto era finito, i giocatori tornavano ad allenarsi» (Peter Staunton). Un giorno Modrić era stato segnalato dal personale dell’albergo «al direttore tecnico dell’Nk Zadar Josip Bajlo: “Vieni a vedere come palleggia un profugo arrivato da noi”. Bajlo commenterà più tardi: “Era così gracile che sembrava un miracolo stesse in piedi, eppure nessuno riusciva a prenderlo, a buttarlo giù. Sembrava avere gli occhi anche nella nuca”. Coincidenza vuole che il padre Stipe trovi un lavoro come meccanico dell’esercito proprio vicino allo stadio: gli è comodo portare il figlio al campo. Soldi, non ce ne sono, e gli fabbrica artigianalmente parastinchi di legno per proteggere le fragili gambe. Il primo allenatore Davorin Matošević: “Luka arrivò da noi nel 1992. Era debole, emaciato, sembrava non crescere mai. Era completamente a digiuno di calcio ma aveva un incredibile tocco di palla, morbido, precisissimo”. L’anno dopo finisce sotto le cure di Miodrag Paunović, ex atleta di discreta carriera, che ancora oggi va fiero del suo vaticinio: “Gli pronosticai un futuro nel Real Madrid o nel Barcellona. Non mi sono sbagliato. Già da fanciullo aveva una incredibile determinazione al servizio di un innegabile talento. Non ha mai saltato un allenamento”. […] Il vero mentore, però, si chiama Tomislav Bašić (a lui Modrić dedicherà la prima delle […] Champions vinte), responsabile del settore giovanile, che lo instrada verso il team di riferimento della costa est adriatica, l’Hajduk Spalato. “Ma – chiosa Zdravko Reić, il cantore più apprezzato dello sport croato – i grandi esperti dell’Hajduk lo bocciarono solo guardandolo perché è piccolo e sembra fragile. Siccome anche il padre non è granché alto, decisero che la genetica non era stata generosa con la famiglia”. È il retaggio di un pregiudizio corrente se la dorsale che segue le Alpi Dinariche è feconda di uomini grandi e grossi che eccellono negli sport. Un “nano” (diventerà “solo” 1,74, poco per gli standard del luogo) non è contemplato come eroe degli stadi» (Riva). Per compensare la scarsa altezza, tuttavia, «quando si scontravano con squadre più forti e ancora più forti, Luka giocava nel ruolo di difensore centrale per assicurarsi che la sua squadra potesse recuperare il pallone. Sul terreno era così rapido da poter vincere senza problemi qualsiasi tipo di sfida. Il suo insegnante di educazione fisica dice che poteva prodursi in un tackle su un terreno in cemento senza farsi un graffio sulle sue gambe. Il suo baricentro basso gli consentiva di girarsi più velocemente dei suoi coetanei più alti. Il suo gioco era abbastanza simile a quello di oggi» (Staunton). «Bašić non si arrende. Preclusa la via di Spalato, volge lo sguardo verso la capitale, Zagabria: la Dinamo. Spalleggiato da quello Zdravko Mamić padre-padrone del calcio croato, finito sotto inchiesta per essersi messo in tasca soldi dei club nella compravendita dei giocatori (condannato a 6 anni e mezzo, è latitante a Medjugorje in Erzegovina). Ancora minorenne, Luka prende la via della capitale, Mamić lo sostiene nei primi anni pagando per lui l’appartamento, l’automobile, la casa dei genitori. In cambio di un contratto per cui Luka gli devolverà il 20% dei suoi guadagni fino alla fine della carriera (testimone al processo, il fuoriclasse prima confermerà l’esistenza di quella clausola-capestro, salvo ritrattare tra lo sconcerto dei fan). Nemmeno a Zagabria però riconoscono le sue potenzialità. Lo mandano in prestito allo Zrinjski Mostar, altra palestra del percorso di formazione. La squadra si salva all’ultima giornata: “Rimane uno dei più grandi successi della mia carriera. Giocare nel campionato della Bosnia-Erzegovina è difficile, se si supera la prova si può andare dovunque. Sputi, insulti, nessuna tutela. E calci, tanti calci, ma se mi lamentavo con l’arbitro mi sentivo rispondere: ‘Taci, feccia di un croato’”. Dopo un altro prestito all’Inter Zaprešić, eccolo, ventenne, alla Dinamo» (Riva). «Al primo contratto aiutò la famiglia a comprare un appartamento a Zara, dopo anni passati in rifugi di fortuna» (Giacomo Talignani). «La Dinamo l’ha recuperato per vincere una striscia di scudetti e quindi venderlo per 21 milioni di euro al Tottenham. Esattamente il doppio l’ha poi pagato il Real Madrid, per il miglior affare prezzo/qualità di Florentino Pérez» (Luca Valdiserri). «Si è imposto poco per volta, con lo stesso ritmo dolce ma implacabile con cui gioca: la Dinamo, il Tottenham, il Real (complimenti a chi nel 2012 lo giudicò l’acquisto peggiore della Liga), le Champions e una maturità piena, completa raggiunta una volta compiuti i trent’anni» (Emanuele Gamba). Al campionato mondiale del 2018 «è l’impresa con la maglia della Croazia a proiettarlo nella gloria: in estate è il faro del gruppo che a sorpresa batte Argentina, Russia e Inghilterra, ma si ferma solo davanti alla talentuosa Francia. A trentatré anni, Modrić corona la carriera con il premio più bello. E per la prima volta nella storia un calciatore croato è sul tetto del mondo» (Gioele Anni). Il 3 dicembre 2018, infatti, Modrić «si aggiudica il Pallone d’oro, il premio assegnato ogni anno da France Football al miglior giocatore della stagione, e rompe il decennale duopolio della coppia Messi-Ronaldo» (Nicola Bambini). Alcune settimane prima, inoltre, il 24 settembre, Modrić aveva vinto il premio assegnato dalla Fifa al miglior calciatore dell’anno, e «con gran dispetto infantile CR7 non si era presentato alla cerimonia. Lui per prima cosa si congratulò con Cristiano e con Salah: è questione di conoscere le misure del mondo, e del mondo del calcio. Fece anche piangere di commozione Boban, ricordando che era stato il capitano della Croazia che per la prima volta nella storia si era presentata, da nazione libera, a un mondiale, Francia 1998, ed era arrivata terza. “È stato la mia più grande ispirazione, e quella squadra ci ha fatto credere di poter raggiungere grandi risultati in Russia. La speranza è di essere ora noi di ispirazione per la prossima generazione”» (Maurizio Crippa). Modrić si distinse poi anche nel campionato mondiale successivo, disputato in Qatar nell’autunno 2022, in cui condusse la sua squadra fino alla semifinale con l’Argentina (risultata vittoriosa per 3-0) e al terzo posto finale. «Nessuno più di lui, ad oggi, incarna meglio il tanto vituperato concetto di “bandiera”. A 37 anni Luka Modrić ha messo davanti la maglia del Real Madrid ai 120 milioni annui che offriva l’Al Hilal, rinnovando il contratto in scadenza per un’altra stagione, fino al 2024. La sua intenzione è chiara: chiudere la carriera nel club che per più di 10 anni l’ha reso uno dei centrocampisti più forti del mondo» (Francesco Albanesi) • Per le dichiarazioni da lui rilasciate nel 2017 nell’ambito del processo a Zdravko Mamić, Modrić è attualmente accusato di falsa testimonianza dalla Procura di Osijek, e in caso di condanna rischia fino a cinque anni di reclusione in carcere. «Sono faccende che stridono con questo elfo minimo e biondo, timido (“L’unico posto in cui non lo sono è il campo”), all’apparenza insignificante: chi lo conosce è convinto che lo abbiano preso in mezzo» (Gamba) • Nel 2020 ha pubblicato presso Sperling & Kupfer l’autobiografia A modo mio, a cura di Robert Matteoni, in cui racconta, tra l’altro, «la sua passione giovanile per il Milan (“club nel quale giocò la nostra leggenda Boban”), l’ammirazione smisurata per Ronaldo il Fenomeno (“Avevo un parastinchi con la sua immagine e una volta mi salvò da un infortunio serio”) e il grande rispetto nei confronti di Francesco Totti, giocatore al quale lo stesso Modrić dedica una foto nella galleria al centro della biografia: “Qui sono insieme a uno dei miei miti”, si legge nella didascalia. Nella carriera di Modrić grande risalto viene dato alla sfida molto accesa di Champions League contro la Juventus dell’aprile 2018, quella delle polemiche furiose per il rigore assegnato ai padroni di casa a tempo scaduto per un fallo di Benatia su Lucas Vázquez: “Quando c’è di mezzo il Real Madrid, le proteste sono sempre amplificate. La verità è che quel penalty era sacrosanto, e mi diede un grande dispiacere vedere Buffon reagire in un modo così scomposto”, ha scritto il centrocampista delle merengues» (Simone Zizzari) • «Alla Dinamo trova anche l’amore. Lei è Vanja Bosnić, figlia del ragioniere del club. Diventerà il suo procuratore e gli darà tre figli, Ivano, Ema e Sofia. Per quando la carriera sarà finita, Luka si è già costruito il buen retiro a Zara, una villetta da 180 metri quadri. Gli hanno chiesto perché così piccola: “Siamo solo in cinque. Se fosse più grande, alcune stanze resterebbero vuote”» (Riva) • «Modrić ha una forma fisica invidiabile nonostante l’età. […] Il centrocampista si tiene in forma con un’alimentazione rigorosa, seguita anche a casa dal resto della famiglia. Ad aiutarlo e consigliarlo in tutto questo è stato Zidane, e la scelta sarebbe caduta, secondo i media spagnoli, sulla “paleodieta”, seguita anche da Marcos Llorente, priva di prodotti fabbricati. Non solo: Modrić si allenerebbe spesso anche a stomaco vuoto, per far sì che il corpo utilizzi il grasso come fonte di energia, riuscendo quindi a restare magro senza però perdere la massa muscolare. Modrić, poi, sarebbe poco avvezzo a vita mondana e a cene al ristorante, […] e anche questo contribuirebbe in modo determinante alla sua forma. E poi c’è il piede, straordinario, che allena sempre, a casa e al campo, come se fosse ancora il ragazzino che in Croazia inseguiva i propri sogni. Questo, forse, è il segreto più grande» (Chiara Zucchelli) • Colleziona automobili di grossa cilindrata, in particolare Audi e Bentley • «Fuori dal campo, non è mai stato un personaggio. Non ha tatuaggi» (Crippa). «Schivo, riservato, senza grilli per la testa: lo sguardo concentrato è lo stesso che aveva da ragazzino, così come le sue agili movenze ricordano i salti da roccia a roccia che faceva a 5 anni mentre sorvegliava le pecore al pascolo» (Bambini) • «Uno dei migliori centrocampisti internazionali» (Talignani). «Non è alto, non è pieno di muscoli e non corre come il vento, ma forse è proprio questo che spinge le persone “normali” a tifare per lui. […] Il problema degli avversari è che non si limita a correre. Passa, dirige, inventa, dà leadership, crea, segna. […] Non si può essere perfetti, ma lo “Hrvatski maestro”, come lo chiamano in patria, ci va vicino» (Valdiserri). «Al mondo ci sono molti campioni e un paio di fuoriclasse ma uno solo è qualcosa di più e di diverso da un virtuosista del pallone, è il sistema circolatorio della squadra, il suo tessuto connettivo: Luka Modrić detto Lukita è un minuscolo atleta dall’enorme importanza. All’apparenza non ha niente di speciale, se non quei colpi d’esterno che dirottano la palla da una parte all’altra del campo con millimetrica precisione e impareggiabile visione, ma è speciale perché non ha niente di normale. Quello che fa, lo potrebbero fare in molti; quello che è, non potrebbe esserlo nessuno. Modrić è un gigante alto come uno scricciolo e con l’aria dell’elfo. […] Per il ct Dalic è “il più grande giocatore croato d’ogni tempo” senza che questa sia una constatazione così originale, mentre è originale la sua grandezza: la sua dote più importante, la normalità che lo rende speciale, è la capacità di migliorare chi gli sta attorno. Lui non trascina, non chiede soldati al suo servizio, non risolve da sé: lui si fa centro della squadra e tramite sé fa circolare gioco ed emozioni come se fossero sangue e pensieri. I compagni lo cercano perché sanno che li cercherà, tutto lì. […] A vederlo giocare sembra soltanto un bambino che corre dietro al pallone» (Gamba). «Con i piedi potrebbe scrivere anche un vangelo: basta vedere come sa usare l’esterno destro, che è il colpo degli dèi. Il doppio passo e il colpo di tacco si possono imparare, o sono genio di natura, ma accarezzare il pallone con l’esterno destro significa partecipare a una geometria divina, alla superiore razionalità dell’universo. E del campo di calcio. È un colpo che spetta a pochi, era il colpo migliore di Cruijff. Non per niente quando era più giovane, alla Dinamo Zagabria, lo chiamavano il piccolo Cruijff. E non solo per quel fisico in apparenza gracile, per quella faccia cavallina, il naso aquilino e gli sfilacci chiari dei capelli disordinati, che li rendono fratelli alla lontana. Ma perché molto, di Cruijff, ricorda nel modo di scartare di lato, quei dribbling cesellati ma senza esibizione – una pura necessità delle leggi fisiche del calcio – e soprattutto quell’essere sempre in ogni parte del campo senza l’apparente sforzo del correre. Come teletrasportato dall’intelligenza costante del tutto. La teoria del tutto, il vangelo secondo Luka» (Crippa) • «Quando ho firmato per il Real Madrid, ho realizzato il mio sogno. Voglio rimanere qui quanto più a lungo possibile e, se possibile, concludere qui la mia carriera».