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 2023  settembre 09 Sabato calendario

Biografia di Luigi Ciotti (Pio Luigi C.)

Luigi Ciotti (Pio Luigi C.), nato a Pieve di Cadore (Belluno) il 10 settembre 1945 (78 anni). Prete. Attivista. Fondatore del Gruppo Abele, comunità di recupero per tossicodipendenti. Della Lila, Lega per la lotta all’Aids. Quindi di Libera, coordinamento di 1600 associazioni anti-mafia (tra cui Legambiente, Agesci, Arci, Azione Cattolica) • Temperamento ribelle. Linguaggio poco diplomatico • «Quando prende la parola non fa sconti a nessuno» (Claudio Sabelli Fioretti) • «Stretta di mano poco pretesca» (Vittorio Zincone) • «Uno di quei sacerdoti che non mollano mai. Che dà del tu a tutti. Che trovi in strada e non in sacrestia» (dal mensile di Emergency) • Sempre dalla parte di drogati, testimoni minacciati dalla mafia, prostitute, barboni, giocatori d’azzardo andati in rovina • Per decenni protagonista di cortei, comizi, articoli, convegni, presentazioni di libri, appelli, comparsate televisive ((è andato anche da Maria De Filippi), obiezioni di coscienza, scioperi della fame. Agenda fittissima. Mille scomuniche lanciate contro i mafiosi, i sì-Tav, i «nemici della Costituzione», i «guerrafondai», il ponte sullo stretto di Messina. E, naturalmente, Silvio Berlusconi • Tra i fondatori del Gruppo Davide e Gionata, per accogliere i credenti omosessuali. Favorevole alle unioni civili. Favorevole al preservativo come strumento per contenere l’HIV. Trova scandaloso che la Chiesa non abbia concesso il funerale a Piergiorgio Welby, colpevole di aver chiesto l’eutanasia. Vicino alle ragioni dei no-global. Contrario agli F-35. Grande amico di Gian Carlo Caselli, ha costituito Libera come parte civile nel processo sulla trattativa Stato-mafia • Totò Riina, parlando di lui, disse: «Ciotti, Ciotti… putissimo pure ammazzarlo!» • Oggi abita in un caseggiato anonimo, alla periferia di Torino, quattro agenti in borghese lo scortano giorno e notte • I suoi ammiratori stravedono per lui. I suoi critici lo accusano di essere un prete rosso, un prete scomodo, un comunista con la tonaca. I giornali di centrodestra si legge che è pappa e ciccia con le coop rosse, con la buona borghesia di sinistra, con la finanza progressista. Matteo Salvini ha detto: «Se espatria, fa un favore a tutti» • Lui non si fa intimidire. Spiega: «Ho solo due guide: il Vangelo e la Costituzione». E aggiunge: «Chiunque faccia bene la sua parte diventa scomodo. Il Vangelo è un pugno nello stomaco. Un prete, se vuole incarnare la parola di Dio, non può essere comodo».
Titoli di testa Non ama parlare di sé. «Io non sono io, io sono noi. Essere gruppo è la chiave per vincere anche le battaglie più difficili» (Francesco La Licata, Sta 8/6/2018).
Vita Famiglia povera, venuta giù dalle Dolomiti bellunesi. «Ricordo il mulino di mio nonno. Ha funzionato fino al ‘49. Poi la ditta incaricata di costruire la diga del lago di Cadore lo espropriò per poche lire. Venne sommerso dalle acque, ma quei soldi servivano a chi non poteva mangiare. Avevo quattro anni» • I Ciotti finiro per emigrare a Torino • Il padre è muratore, poi capomastro, lavora alla costruzione del nuovo Politecnico. «Per un po’ abbiamo vissuto in una baracca vicino al cantiere». Stanno tutti assieme. Il papà, sempre fuori per lavoro. La mamma umile ma intelligente, che legge libri alla luce al lume di candela. Le due sorelle e il piccolo Luigi. «In quella baracca però ho alcuni dei ricordi belli della mia infanzia. Eri coccolato dagli operai. Alla mia cresima ho avuto come padrino l’uomo che manovrava la gru. Poi venne la sera drammatica, un tornado buttò giù i 42 metri della Mole Antonelliana, fece saltare tutti i tetti della Grandi Motori, e ci portò via gran parte della baracca. Volò via un pezzo di tetto, e il gabinetto lì vicino, che era fatto di assi. Ricordo la mia mamma che ci teneva stretti, un po’ disperata». «Dovevo andare a scuola nella zona ricca della città. E avvenne un fatto che mi ha segnato molto. Questa scuola, la Michele Coppino, aveva un regolamento: tutti con il grembiule. Mia madre andò dalla maestra a dire che non era in grado di comprare il grembiule e il fiocco per me, perché aveva dovuto comprarlo alle mie sorelle, e non c’erano soldi. Quindi disse: per un mese manderò mio figlio a scuola senza grembiule. Sai, tu puoi essere povero ma dignitoso, la dignità di andare a dire: guardi, non ce la faccio. Quindi io mi son trovato a essere diverso, dentro una scuola dove tutti avevano questo benedetto grembiule e questo fiocco interminabile. E tutti che ti chiedevano “Come mai tu non hai il grembiule?”. Ti senti diverso, ti senti etichettato, ti senti giudicato. Al punto che quando qualcuno mi chiedeva dove abitavo, io non dicevo che abitavo dietro quello steccato, ma in un palazzo» • «Dopo venti giorni di prima elementare, e io che già mi sentivo diverso e in difficoltà, la maestra è arrivata a scuola nervosa, magari aveva litigato col marito. In fondo alla classe i miei compagni ridevano e scherzavano, lei non se l’è presa con loro, ma con me, che ero il più vulnerabile, il più visibile, mi aveva anche messo al primo banco. E io devo averle detto: ma che cosa vuoi, non c’entro niente. Lei chissà cosa ha capito, le è scappata un’espressione: “ma cosa vuoi tu, montanaro?” Detto quasi con disprezzo. Per me è stata una ferita. I miei compagni tutti a ridere, io mi sentivo ancora più umiliato. Allora io ho tirato fuori il calamaio dal banco, e gliel’ho tirato. Colpita in pieno. Espulso subito dalla scuola, dopo venti giorni. Portato a casa da un bidello. Non l’ho mai più incontrato, ma mi ricordo quella mano che mi portava a casa, e io piangevo perché sapevo di avere sbagliato e sapevo che mi aspettava una punizione, e mia madre me la diede sonora. Anche se anni dopo mia madre mi disse: “Luigi, io lo sapevo che tu avevi difeso la nostra dignità, però non si fa a questo modo”. Il vero problema? Quando i miei compagni uscirono di scuola alle 12.30, io già espulso, con qualcosa di nuovo da raccontare ai genitori o alla cameriera. “Lo sai mamma cosa è successo oggi a scuola?” “Dimmi, cicci”. “Un nostro compagno ha tirato il calamaio alla maestra”. “Ah, povera maestra. E come si chiama quel compagno?” “Ciotti”. “Guai se ti vedo con quel compagno”. Sono diventato il compagno cattivo. Meno male che frequentavo la parrocchia» • «Mi hanno insegnato una fede fatta non di retorica ma di concretezza. Ispirata alla giustizia» • Altro momento che gli segna la vita: 17 anni. Luigi studia per prendere il diploma da radiotecnico, è già nell’Azione cattolica. «Ero rimasto colpito da un uomo. Un disperato. Lo vedevo tutti i giorni, seduto sulla stessa panchina. Io passavo col tram, lui sempre lì a leggere libri, li sottolineava con una matita rossa e blu» • «Ero giovane, con gli entusiasmi e le fantasie di quell’età. Un giorno sono sceso dal tram, sono andato lì e gli ho detto: vuole che vada a prenderle un caffé? E lui niente. Torno alla carica: vuole un té? Lui zitto. Penso, sarà sordo, ma mi accorgo che non lo è. Ho scoperto che era un medico, amato e stimato dalla gente, ed era successa una vicenda drammatica nella sua vita, che l’aveva portato su quella panchina. Era andato ubriaco in sala operatoria, e aveva provocato la morte di una donna, la moglie di un amico. Poi era uscito di testa, stava male. Però studiava ed era curioso. Dalla panchina lui vedeva dei ragazzi al bar di fronte, che entravano e uscivano». «“Bevono”, mi disse, “e prendono anche delle pasticche”. All’epoca le amfetamine te le vendevano in farmacia, per aumentare la concentrazione. Ma Mario aveva visto “lo sballo”». Piano piano, tra Luigi e il dottore nasce un rapporto. Un giorno gli dice: «Vedi, dovresti fare qualcosa per quei ragazzi». «Era un uomo disperato e sofferente, morirà pochi mesi dopo. E io mi sono detto: questo incontro non è stato un incontro qualsiasi. Mi ha indicato una strada» • Nacque così il Gruppo Abele. Da una domanda tra le più difficili: «Sono forse io il custode di mio fratello?» E la risposta è «sì» • «Abbiamo cominciato ad andare sui treni, dove dormivano i disperati senza casa: i treni arrivavano caldi. Ho pensato: caspita io incontro questa gente fuori, facciamo delle cose insieme, non li lascio soli. A volte la mattina eravamo così stanchi che il treno partiva, e ci trovavamo a Chivasso. Passavano i controllori, te la davi a gambe» • «Poi presero ad arrivare i tossicodipendenti. Non volevano tornare a casa. Mi dicevano: “Spacciano sotto casa mia, se torno lì ci ricasco”. Il punto è che lo Stato non poteva riconoscere quel disagio senza ammettere anche che la cosiddetta società del benessere era piena di storture e di ingiustizie» • «Capimmo che l’assistenza non bastava. Bisognava prendere posizione, l’impegno sociale doveva avere una coscienza politica» • Quando è diventato sacerdote? «Nel 1972. Il vescovo di Torino, Michele Pellegrino, che si faceva chiamare “padre”, dopo avermi conosciuto, ha seguito e incoraggiato la mia attività con le prostitute e i tossicodipendenti. Quando mi ha ordinato sacerdote ha detto: “La tua parrocchia sarà la strada”. Non mi ha mandato a insegnare i dettami della Chiesa, ma a riconoscere il volto di Dio in chi fa più fatica» (Zincone) • I suoi ragazzi ad un certo punto presero a morire. Quanti ne ha seppelliti? «Anche due o tre alla settimana, per overdose o per Aids. Faticavo pure a trovare una lettura del Vangelo che non fosse uguale a quella proclamata pochi giorni prima». Una volta in cui le è mancato il coraggio? «Un ragazzo mi chiese i soldi per una dose. Decisi di essere rigoroso e glieli negai. Lui si tolse la vita. Lasciò un biglietto nel quale diceva che aveva capito il mio no, ma non cambiò nulla in me. Mentre lo accompagnavo al cimitero continuavo a chiedermi se quella ostinazione alla rettitudine non fosse stata dannosa, se mi era mancato il coraggio di guardare oltre e di immaginare che cosa sarebbe potuto succedere. A volte la giustizia è questo: visione» (Scorranese) • «Per aprire il centro antidroga ci siamo autodenunciati. La legge stabiliva che tu dovevi denunciare, e le strade erano due: o il carcere o l’ospedale psichiatrico. Noi abbiamo aperto in via Giuseppe Verdi a Torino, giorno e notte, dove arrivava un sacco di gente anche per essere accudita, per mangiare e per dormire. Davamo un primo aiuto in una città che negava l’esistenza del problema, che diceva fosse poca cosa. In due anni arrivarono quattromila persone. La città cominciò a prendere coscienza, noi cominciammo a fare la battaglia politica per avere una legge diversa, che sfocerà nello sciopero della fame del ’75 in piazza Solferino, che porterà il Parlamento italiano a far la legge con cui nascono i Sert» • «La mia vità è stata stata una serie di tappe. A Torino è nato il coordinamento delle comunità di accoglienza. Poi quando scoppia il problema Aids nasce la Lila, la lega per la lotta all’Aids, e io sono stato il primo presidente. Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, mi sono chiesto: noi continuiamo a dare una mano ai ragazzi vittime delle dipendenze, alle ragazze sfruttate dalla prostituzione, ma chi guadagna dietro a questi? E ti dici: continuiamo a stare sulla strada, a lavorare all’accoglienza, però il problema della mafia attraversa tutto il nostro Paese. E quindi nasce Libera, per mettere insieme tante esperienze, per creare un fermento sociale». «Sin dagli anni Settanta la droga è la fonte di maggiore introito delle mafie. Non puoi combatterla senza combatterla anche come mercato criminale». «Ricordo il funerale di un mafioso che aveva tentato di uscire per amore dei suoi figli ed era stato assassinato. In chiesa arrivava il rumore dei colpi di lupara a ricordare che dalla mafia non si esce. Il prete, don Italo Calabrò, diceva alle mamme, alle sorelle: “Io so che cosa pensate oggi, che è impossibile uscire dalla mafia. Almeno fate in modo che i vostri figli non debbano entrarci”»
Politica Per le Politiche del 2013, l’ex pm antimafia Antonio Ingroia cercò di coinvolgerlo in Rivoluzione civile. Lui rifiutò: «Libera deve restare libera. Nessuno ci può tirare per la giacca. Al massimo, se la politica lo chiede, possiamo dare un suggerimento, come è successo con Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo per il cda della Rai».
Politica/2 Tra i politici rispetta «Romano Prodi che è anche un amico», e ancora Bruno Tabacci e Livia Turco, «due persone oneste» (Zincone).
Politica/3 Nel marzo 2013 aderì all’appello “Facciamolo!” per «un governo di alto profilo» e di cambiamento; con lui anche Michele Serra, Roberto Benigni, Oscar Farinetti, don Andrea Gallo, Lorenzo Jovanotti, Carlo Petrini, Roberto Saviano, Salvatore Settis e Barbara Spinelli.
Avvocato Fece amicizia con l’avvocato Agnelli, arrivarono a darsi del tu. «Io do del tu a tutti e voglio che tutti mi diano del tu. Siamo entrati in contatto quando ho cominciato a stare vicino alla fragilità del figlio Edoardo che trovava ristoro dal rapporto con me. Quando avvenne la tragica fine del ragazzo, l’Avvocato si rinchiuse in sé stesso. Non uscì di casa per un mese. Lo rividi in seguito e mi ringraziò. Poi mi fu detto che il Gruppo Abele avrebbe ricevuto una donazione. Pensavo mi sarebbe stato donato un bus. E invece, con gran stupore di tutti, arrivò una fabbrica dismessa, un grande spazio che abbiamo messo a posto. La famiglia ha voluto che una targa ricordasse la volontà dell’Avvocato. Oggi la struttura ospita una grande biblioteca e una pizzeria biologica che è fra le più frequentate di Torino» (La Licata)
Tifo Uno dei regali più bizzarri che abbia mai ricevuto: mucche incinte, dono della Juventus. «Erano pure bianche e nere!». Ma perché le mucche? «Sapevo che Boniperti aveva chiesto in premio alla sua società, per ogni goal segnato, una mucca gravida. Da uomo lungimirante e intelligente non voleva investire in attività finanziarie, ma nell’agricoltura. Allora contattai la squadra tramite Gian Paolo Ormezzano e proposi un patto: ci avrebbero donato una mucca per ogni scudetto vinto. Bene, la Juve vinse sette dei dieci campionati successivi. Ero felice anche perché io sono tifoso juventino» (Scorranese).
Pergamena Cinque lauree honoris causa. In Scienze dell’educazione a Bologna (1998). In Giurisprudenza a Foggia (2006). In Scienze delle comunicazioni alla Statale di Milano (2014). In Psicologia dell’Intervento clinico e sociale a Parma (2018). In Sociologia e Management del Servizio sociale a Pisa (2019).
Penna Giornalista pubblicista dal 1988, ha scritto sulla Stampa, Avvenire, l’Unità, il manifesto, Sole-24 Ore, Mattino e Famiglia Cristiana • Ultimo libro: L’amore non basta (Giunti 2020).
Curiosità Ama Fabrizio De André • In tivù guarda quasi soltanto telegiornali • Film preferito: Quasi amici • Gli piace molto anche I cento passi, «ha fatto bene alla lotta alla mafia» • Dice che oggi la dipendenza più sottovalutata è quella da internet • Oggi a Torino non si sente più un immigrato, di recente gli hanno chiesto di diventare ambasciatore della cultura • «L’immigrazione non è reato perché la speranza non può essere reato. Non si può perseguire la ricerca di una vita migliore» • Contrario al proibizionismo in materia di stupefacenti. «Di ecstasy si muore. Di marijuana no. Hashish e marijuana vanno tolte dalla tabella delle droghe illegali e inserite in quella delle sostanze pericolose, come l’alcool e il fumo» • «Dato che oggi tutto è illegale, quando un ragazzino mi dice: “Ho comprato solo un po’ di fumo”, io gli rispondo: “Inutile che vai al corteo antimafia se poi continui a finanziare le stesse mafie”» • Preghiera preferita: il Padre Nostro • Non si meraviglierebbe se un vescovo dichiarasse di essere gay • Che dice di questa ondata di «perdonismo»? «Per la Chiesa il perdono deve essere sempre concesso, ma quando si dà l’assoluzione si chiede sempre la riparazione del danno. Chi sbaglia deve rispondere delle sue azioni» (Sabelli Fioretti) • Alla morte di don Tonino Bello, i fratelli Marcello e Trifone gli hanno voluto lasciare in eredità la sua stola. «Ogni volta che la indosso, con timore e tremore, sento che è davvero l’“ala di riserva” che a volte ci manca, l’ala che permette a ciascuno di noi di spiccare il volo» • Dorme pochissime ore a notte e non riesce a sognare • Camera da letto è semplicissima. Uno scaffale con pochi libri, tra cui una raccolta di scritti del cardinal Martini. Alle pareti, tante forografie. Una di Sandro Pertini, regalo di Carla Voltolina, moglie del presidente. Tante montagne, le Dolomiti, che se ci nasci poi ti restano dentro. «Ma soprattutto ci sono mamma Olga e papà Angelo. Giovani e in bianco e nero, anziani che sorridono incerti nelle foto a colori» • «Quando mamma e papà venivano a sapere delle minacce, ne soffrivano Quando morì la mamma scoprii che aveva conservato decine e decine di ritagli di giornale che parlavano di me. Non mi aveva mai detto nulla. Vede quel macinacaffè? Apparteneva a lei. Lo tengo qui, con me. Quando ho incontrato per la prima volta papa Francesco ho pensato a mamma Olga e a quanto sarebbe stata felice di sapermi lì, a Roma, quel giorno» • «Mi sono preso i miei rischi, ma le dico una cosa: gli unici mazzi di fiori che arrivarono al cimitero quando mio padre morì, a 99 anni, furono quelli degli uomini della scorta. Per me, sono stati una famiglia».
Titoli di coda Che cosa la rende felice oggi? «Quando per strada mi capita di incontrare uomini e donne ormai in là con gli anni, dei nonni che portano a spasso i nipotini, i quali mi fermano e mi dicono: “Ti ricordi? Io ero uno dei tuoi ragazzi, ce l’ho fatta, sono uscito dalle dipendenze e ho trovato l’amore”» (Scorranese).