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 2023  settembre 22 Venerdì calendario

Biografia di Julio Iglesias

Julio Iglesias, nato a Madrid (Spagna) il 23 settembre 1943 (80 anni). Cantante. Ha venduto in tutto il mondo 350 milioni di dischi. In Italia, valorizzato dai tesi del paroliere Gianni Belfiore, ha ottenuto grandi successi negli anni Settanta con Se mi lasci non vale e Pensami. «Sono l’artista latino più celebre della storia, posso cantare tutti i giorni dalla Finlandia alla Cina. Essere modesto alla mia età sarebbe da imbecille»
Vita Primo figlio del medico Julio Iglesias Puga e di Maria del Rosario de la Cueva y Perignat. Un fratello, Carlos. «All’inizio fu il calcio. Il primo grande amore di Julio Iglesias non è infatti la musica, ma il pallone. Cresciuto con il mito del Real Madrid di Alfredo Di Stefano e Ferenc Puskas, il giovane Julio comincia da sùbito a sgambettare sui campi della capitale iberica con discreto successo, tanto che gli osservatori dei Blancos mettono immediatamente gli occhi sul talento che nel frattempo ha capito di avere i numeri per fare il portiere. Al momento di farsi le ossa nel Castilla, la squadra B del Real, Iglesias rimane però vittima di un serissimo incidente d’auto che rischia di compromettere le sue possibilità anche solo di stare in piedi. A quel punto il calcio diventa comprensibilmente un problema secondario. La sua carriera da portiere finisce così. La notte dello scontro in auto nel giorno del ventesimo compleanno, i medici stimano come “minime” le possibilità per Julio di tornare a camminare ma, tra convalescenza e riabilitazione, dopo un anno e mezzo riesce a riprendere la vita normale, nonostante i guantoni restino appesi al chiodo. È proprio durante questo periodo che l’insonnia tormenta Julio Iglesias e il suo bisogno di distrarsi lo porta a scrivere canzoni, dapprima abbozzate e in seguito più elaborate, prevalentemente dal tono malinconico vista la delicata situazione. Ha inizio quindi così la sua carriera da autore, che in un secondo momento si abbina alla chitarra» (Matteo Nava) • «Zoppica, eredità dell’incidente automobilistico che a diciannove anni lo lasciò paralizzato per tre anni, troncando una promettente carriera di calciatore (era portiere del Real Madrid) e lanciandone una d’altro tipo, grazie alla solitudine, alla malinconia e alla chitarra regalatagli da un infermiere. “Vuole la verità? La verità è che non ho una bella voce. Non l’ho mai avuta. Non serve, per avere successo in questo mestiere”. E allora cosa serve? Qual è il segreto? Alza le spalle. “Determinazione? Volontà di ferro? Fortuna? E tutte quelle altre banalità che si dicono in questi casi? Sì, certo, un po’ ci vogliono. Ma il segreto, perlomeno il mio, se un segreto esiste, è un altro. L’onestà. L’umiltà. La disponibilità a studiare, a imparare, a fare sempre le cose come si deve. Dal primo giorno, quando ero nessuno, ad oggi che sono qualcuno”. Venne a Londra per la prima volta nel 1969, figlio di un ginecologo, fresco di laurea in legge, per perfezionare l’inglese. Cominciò a suonare in qualche pub, tornò in patria, vide il festival di Sanremo in tivù, partecipò al più importante concorso canoro di Spagna, a sorpresa lo vinse, e il resto è storia nota. Com’era Londra? “Era la swinging London. Minigonne, capelloni, figli dei fiori, il rock”. Ecco, appunto, il rock: erano gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, lui era un cantante melodico, non si sentiva sorpassato, fuori moda? “Dicono che a Elvis Presley, quando arrivarono i Beatles, venne la depressione. Ma Elvis è sopravvissuto, è diventato un classico, immortale”. A proposito di immortali, Iglesias cantò con Frank Sinatra, ne divenne discepolo e amico. “Il Sinatra che ho conosciuto io, il Sinatra della fase finale, era un uomo buono, fragile, vulnerabile. Aveva comunque l’intonazione di voce più bella che abbia mai sentito. I più grandi, per me, restano lui, Nat King Cole ed Elvis”. Fece un duetto con Bono, il grande Frank. “Sì, ma quando glielo proposero, non sapeva neanche chi fossero, Bono e gli U2. Ma è normale, Frank veniva da un altro mondo, un’altra epoca”. E a lui, Bono piace? “Sì, è un bravo cantante, ha grande personalità”. E Madonna? “La sua musica non m’interessa, ma ha talento da vendere, è capace di sopravvivere a tutto, è una dura, l’ammiro”. E del cantante Enrique Iglesias, di suo figlio, cosa dice? “Mio figlio ha l’istinto del campione. Sa correre rischi e vincere. Non ha bisogno di me”. Anche el señor Julio ha corso rischi e ha vinto. “Ho avuto il mio periodo di declino. Poi sono risalito. Io amo la musica melodica, credo che, quella buona, non passerà mai. La gente si stanca forse di ascoltare Mina? Non mi pare proprio. Non è questione di essere moderni o all’antica, è questione di essere bravi cantanti o non bravi cantanti”. [...] La canzone italiana che preferisce cantare? “Caruso. L’ho cantata anche con Lucio Dalla. Mi commuovo ogni volta. Ma c’è un altro italiano con cui mi piacerebbe cantare. Zucchero. Ci siamo incrociati di recente, in Svizzera. Chissà. Prima o poi...”» (Enrico Franceschini) • Entrato nel Guinness dei primati come il cantante che ha venduto il maggior numero di dischi nel maggior numero di lingue • Ultimo album pubblicato, nel 2017, Mexico & Amigos, il suo primo fatto interamente da duetti. «Ha ancora voglia di fare cose nuove? “Certo. Per sopravvivere devo respirare aria nuova. È stato bellissimo fare duetti. In carriera ho cantato con Sinatra, Stevie Wonder e Sting, ma ero io che interpretavo loro pezzi. Ora è il contrario”. Si metta nei panni dei colleghi: può creare imbarazzo duettare con una leggenda vivente. “Ma sono io che dovrei essere in imbarazzo. Lo sa come canta bene Joaquin Sabina? Crede che Placido Domingo sia il primo che passa? Non direi”. C’è anche Eros Ramazzotti, lo conosceva? “Sì, è un grande artista” Perché il Messico? “Le canzoni messicane tra gli Anni 50 e 60 sono il massimo esempio di musica latina. So che a voi italiani dicono poco, ma è sbagliato avere solo un’idea folkloristica di quello che sono stati i mariachi”. Vedendo un suo nuovo album, il pubblico si può chiedere: Julio Iglesias canta ancora bene? “Mille volte meglio”. Dice sul serio? “Sì. Prima ero un cantante mediocre. Ora sono più interessante”. Come mediocre? Mezzo mondo compra i suoi dischi da 50 anni. “Lo so, ma ho la prova di quello che dico: ora nei miei concerti canto Caruso di Lucio Dalla. Se ci avessi provato a trent’anni, nemmeno da ubriaco ci sarei riuscito. Ora viene molto bene, anzi Caruso è la cosa che mi fa sentire finalmente un cantante”» (a Francesco Olivo) • Non ha mai ballato in vita sua. “Se lo avessi fatto, oggi non starei in piedi. E invece sono stato fermo ed ecco che faccio concerti bellissimi. Per la sciatica mi tocca prendere un po’ di cortisone, ma la vera medicina è il palco».
Amori «Cosa sognavo di fare da grande? l’amore» (a Lucia Castagna) • «Le donne… Io amo le donne, rispetto le donne, ho imparato molto dalle donne Ci sono uomini che hanno il flirt nel sangue. Basta guardarli negli occhi. Si vede dagli occhi, se un uomo ama le donne. qualcosa che si riconosce all’istante, appena uno entra da una porta. Una cosa naturale, vitale, salutare [...] Ho avuto una vita sfrenata, scatenata, selvaggia. Era bello. Stupendo. Ma la vita non si è fermata, è andata avanti, è bella anche adesso, sia pure in modo differente» (a Enrico Franceschini) • «L’amore è come il vino. Il primo sorso è favoloso, ma alla fine della bottiglia hai mal di testa» • Sostiene che per anni ha fatto l’amore prima di ogni concerto: «Ma adesso ho smesso» • Ha cinque figli da Miranda Rijnnsburger: Miguel Alejandro, Rodrigo, le due gemelle Cristina e Victoria e Guillermo. Dalla prima moglie Isabel Preysler ha avuto Chabeli, Julio jr ed Enrique, gli ultimi due cantanti come il padre • Ha sposato Miranda solo nel 2010, dopo vent’anni di vita insieme. Cerimonia nella chiesta della Virgin del Carmen di Marbella • «Mia moglie Miranda è una donna molto dolce ma anche estremamente determinata. È olandese, ha lo stesso spirito libero, a volte un po’ trasgressivo, della sua gente. Noi spagnoli invece siamo cattolici e conservatori, sono caratteristiche del nostro Dna» (a Daniel Jarach) • «Una biografia del cantante, a firma di Vaitiare Hirshon, lo ha messo a nudo, rilevandone il ruolo di vizioso tombeur de femme. Si legge, tra le pagine di Muneca de trapo, titolo del libro che sta per Bambole di pezza: “Lo conobbi quando avevo soltanto 17 anni, lui 38. Era il 1982. Già dal primo incontro, mi tentò con la marijuana. Vedrai che ti piacerà, disse. Poi mi offrì un tiro di coca e andammo a letto”, racconta Vaitiere. “La sua fissazione era l’amore a tre. Una volta mi disse che sarebbe arrivata una tedesca e avremmo potuto fare un’orgetta. Io non dicevo niente, ma mi sentivo sporca”. La liaison durò sei anni: “Dal letto alle prove, dalla coca ai concerti, dai tris agli applausi, era insaziabile”. Oggi colui che si definiva un pirata e non un signore, e forse non aveva torto, fa finta di niente: “La mia vita familiare è consolidata per sempre. Non ho interesse per nient’altro che non sia essere felice con Miranda e i miei figli”» (Lorenzo Iannacci) • Nel luglio 2019 un tribunale spagnolo ha stabilito che Julio Iglesias è il padre biologico di un uomo che oggi ha 48 anni. Il caso era stato portato in aula da Javier Sanchez Santos, figlio dell’ex ballerina portoghese Maria Edite, che sostiene di aver avuto una breve relazione con Iglesias nel 1975.
Politica «Ho votato a destra, a sinistra, sono stato agnostico. Forse, più di tutto, sono un liberal (lo dice in inglese, che non significa “liberale”, casomai “progressista”) ma in generale apprezzo la buona amministrazione. Aznar aveva amministrato bene la Spagna. Zapatero ha avuto buone idee» (a Enrico Franceschini) • «Lei ha cantato per tutti i potenti, leader democratici e dittatori. Ha mai fatto distinzioni? “Davanti alla musica i potenti sono persone normali, talvolta anche più deboli”. Quando se n’è accorto? “Una volta stavo a Punta Cana e ricevo una telefonata da Caracas. Il presidente cinese era in visita da Hugo Chávez e all’inizio della cena gli aveva chiesto: “Vorrei vedere Julio Iglesias”. Non concepiva come in un Paese dove si parla spagnolo io non ci fossi. Così ho preso un aereo e sono arrivato mentre erano al dolce. Abbiamo rimediato un pianoforte e una chitarra, quando ho intonato ’O sole mio Chávez e il presidente cinese si sono alzati e abbiamo cantato tutti e tre insieme. Sembravano due ragazzini”» (a Francesco Olivo).