23 settembre 2023
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Biografia di Claudio Martelli
Claudio Martelli, nato a Gessate (Milano) il 24 settembre 1943 (80 anni). Politico (già Nuovo Psi, Lega socialista, Socialisti democratici italiani, Partito socialista italiano, Partito repubblicano italiano). Giornalista. Accademico. Già vicepresidente del Consiglio (1989-1992) e ministro di Grazia e Giustizia (1991-1993). Ex deputato (1979-1994) ed europarlamentare (1984-1989; 1999-2004). «Non capita spesso di essere ministri della Giustizia e imputati» • «Ha alle spalle una famiglia piccolo-borghese, nella cornice di una Milano al limite della periferia attorno a piazzale Loreto, quasi a Lambrate (“Mio padre era impiegato. Mia madre maestra. Insegnava in provincia. Si è scannata di lavoro perché noi figli potessimo permetterci un di più di cultura”)» (Guido Vergani). Quelli del liceo, «li considero “i migliori anni della nostra vita”. Nostra: non solo mia, ma di un gruppo di amici. Frequentavamo il Carducci, un liceo milanese molto meno nobile del Parini e del Berchet. Al Carducci andavano i figli della periferia e dell’hinterland, in gran parte piccola borghesia. Gente che andava a scuola più per merito che per tradizione familiare. Fu in quel periodo che mi iscrissi alla Federazione giovanile repubblicana. Mi ero lasciato convincere da mio fratello maggiore, che a Milano ne era il segretario. La cosa più buffa era il motivo: i giovani repubblicani a Milano erano, in quel tempo, non più di diciassette. Mio fratello mi iscrisse per un problema di maggioranza: aveva bisogno di una tessera in più. […] Il mito politico di quegli anni era Kennedy. Come dire? Una forma del far politica che abbinasse coraggio e successo. […] L’uccisione di John Kennedy fu la prima tragedia collettiva che vissi anche personalmente». «Deludendo i miei genitori, che mi volevano medico, mi iscrissi a Filosofia nella Milano del boom economico. Mi sposai a vent’anni con una studentessa, e a ventuno ero già separato. Per mantenermi all’università scrissi documenti per uno studio legale, fui supplente alle scuole medie, lavai i vetri, scrissi e pubblicai su riviste e rivistine intorno al tema “riformismo ed estremismo”». All’università, «da militante repubblicano è stato il vindice di un’alleanza Pri-Psi per una giunta laica in contrapposizione all’asse Dc-Pci. “Si atteggiava a bel tenebroso, a incorruttibile Saint-Just”, ricorda chi lo conobbe in quegli anni. Il “bel tenebroso”, […] via via, modera il suo giacobinismo giovanile, si avvicina sempre di più ai “liberal” di stampo americano (lo è anche nelle camicie a colletto floscio) e, un giorno, salta nella barca del Psi. […] Craxi, lo aveva incontrato nel 1963, quando, per bisogno di uno stipendio, il ventenne Martelli aveva accettato di fare il funzionario, il burocrate del Partito repubblicano: responsabile nazionale della gioventù che si richiamava a Mazzini. L’“anima” di Martelli era allora totalmente intellettuale, da professorino. Craxi, che in quegli anni arrancava nel partito, si spazientì: “Sei zeppo di Cesare Pavese. Leggi Gian Burrasca”. A presentarli era stato Antonio Del Pennino, che, nel partito di La Malfa, era allora agli ultimi gradini. Per Martelli non fu una folgorazione. Ma forse attecchì l’invito a essere più pragmatico, meno dottorale» (Vergani). «Con altri universitari repubblicani e un folto gruppo di comunisti aderii, nel 1966, all’unificazione socialista rilanciata da Nenni. […] Mi legai alla minoranza autonomista e feci un lungo tirocinio come segretario della sezione Monforte…». «“L’attività politica”, ha raccontato, “era per me totalmente subordinata all’impegno universitario. Ero assistente di Dal Pra. Poi cominciai a provare una certa claustrofobia. Avevo conosciuto Craxi. Gli chiesi se riteneva avessi le doti per farcela. Senza molti giri di frase, mi rispose di sì. Allora mi ci sono buttato”. […] Quando sceglie la politica a tempo pieno, fa carriera d’un balzo: segretario cittadino dopo un solo anno di professionismo politico; nel ’74, capogruppo socialista al Consiglio comunale di Milano; nel ’76, responsabile nazionale del partito per la cultura e l’informazione; nel ’79 parlamentare; poi, vicesegretario, vicario di Craxi e […] “coordinatore unico”» (Vergani). Nel frattempo «Martelli comincia un suo percorso politico-personale tutto al di fuori delle logiche di partito. Fin dal 1981, quando diventa vicesegretario assieme a Valdo Spini, […] si mette in testa di trasformare il partito. […] Qualche mese dopo, alla conferenza programmatica di Rimini, offre al Psi uno slogan che spazza via tutte le teorie e le pratiche egualitariste ancora vigenti nel sindacalismo socialista: coniugare meriti e bisogni» (Barbara Palombelli). «Lo scopo di quella conferenza era di passare alla pars construens del nuovo corso socialista. […] Quella formula fortunata dell’alleanza riformatrice tra il merito e il bisogno, l’ho pensata […] in piena restaurazione liberista ed esprimeva la necessità di una mediazione positiva tra l’istanza socialista e quella liberale, che naturalmente confliggono» (a Carmine Fotia). «Poi comincia a studiare quella che chiamerà “autoriforma” del Psi. […] Approvata e ignorata. Il Partito socialista vuole restare com’è, snobba il professorino diventato vicesegretario. E lui snobba il Psi, cerca idee e amici sempre più lontano, sempre più fuori. […] Craxi è a Palazzo Chigi e Martelli fonda un giornale, Reporter, con Adriano Sofri e il suo gruppo. Con loro divide serate e vacanze. Va a cena con Marco Pannella e Giovanni Negri, per scrivere testi referendari e sognare una grande area riformista, una grande aggregazione, la casa comune della sinistra… Intanto, il “suo” partito governa l’Italia con la Dc di Ciriaco De Mita» (Palombelli). «Lei è stato per molti anni il delfino di Craxi. “Dal 1976, anno in cui Bettino diventò segretario, al 1983, quando arrivò alla presidenza del Consiglio, abbiamo vissuto sette anni a Roma in simbiosi mutualistica”. Tra di voi ci sono stati anche momenti di forte contrapposizione. “Decisamente. Nel 1986, quando mi impegnai per i referendum sulla giustizia e provai ad allineare il Psi su posizioni antinucleariste, Bettino mi mandò a dire, tramite Cornelio Brandini, che la mia testa era già tagliata e che se avessi fatto un passo in più sarebbe rotolata. Poi, nel 1987…”. Che cosa accadde? “Era caduto il governo Craxi e io ero andato a trattare il sostegno del Psi a un governo Andreotti. Andreotti nel suo studio di Montecitorio ci promise, tra le altre cose, una forte apertura al presidenzialismo. Tornai entusiasta in via del Corso…”. Sede storica del Psi. “… Ma Craxi respinse l’accordo fulminandomi: ‘Non ti immischiare’. Da parte sua fu un errore clamoroso. L’incarico venne dato ad Amintore Fanfani e dopo due mesi si andò a elezioni. La tragica verità è che dal 1987 in poi Craxi non ne ha più azzeccata una”» (Vittorio Zincone). Vicepresidente del Consiglio nel VI e VII governo Andreotti, Martelli fu inoltre «ministro della Giustizia dal 1991 al 1993, gli anni spaventosi di Mani pulite e delle stragi di mafia, gli anni in cui lui – da ministro – costituì la super-procura antimafia, quella che esiste ancora oggi» (Salvatore Merlo). «Falcone, l’avevo conosciuto nel 1987 a Palermo, e decisi di averlo al mio fianco per far diventare la lotta alla mafia non un’emergenza bensì una regola. Attraverso leggi che codificassero l’esperienza che lui aveva maturato con le sue indagini. E Giovanni accettò» (a Giovanni Bianconi). «Dopo la strage di Capaci, il governo in cui lei era ministro della Giustizia varò, non senza difficoltà, il carcere duro per i mafiosi. […] “Il carcere che si chiama ‘duro’, ovvero l’isolamento dei detenuti più pericolosi, mi sembra una misura persino ovvia. […] Non è una misura afflittiva, o di violenza sulle persone o punitiva. No, è una misura preventiva per evitare che continuino a delinquere dall’interno del carcere”» (Emilio Albertario). «Dopo la strage – ricorda Martelli – ci fu chi immaginò una smobilitazione anche al governo: “La rimozione di Enzo Scotti da ministro dell’Interno da parte della Dc per me resta inspiegabile, e tentarono anche con me. Il neo-presidente del Consiglio Giuliano Amato mi disse che Craxi, segretario del mio partito, non mi voleva più alla Giustizia, offrendomi la Difesa. Risposi che o rimanevo lì o sarei uscito dal governo. Mi lasciarono dov’ero. Lo dovevo a Giovanni Falcone”» (Bianconi). «“Dopo il crollo del Muro io cominciai a insistere con Craxi. Gli ripetevo che il comunismo era fallito, ma che i comunisti erano lì e andavano guidati. Lui non ne era convinto. Nel 1992 il quadripartito era allo stremo, ma a causa del tracollo elettorale del Pds non c’era più una maggioranza possibile laica e socialista. Gli proposi di coinvolgere il Pds e di varare una maggioranza di larghe intese. Esplorando una sua candidatura al Quirinale. Craxi mi autorizzò a parlarne con Occhetto. […] Occhetto sembrò disponibile, ma preoccupato da quel che avrebbe detto D’Alema. Mi chiese di parlargli. Cosa che feci, pranzando all’Antica Pesa, un ristorante trasteverino. Sebbene scettico, D’Alema mi disse che non avrebbe messo i bastoni tra le ruote. L’intesa era questa: nello stesso giorno sarebbero state convocate le direzioni di Psi e Pds e si sarebbe varato un comunicato in cui compariva la stessa formula sulla futura intesa tra ‘tutte le forze di progresso’”. Ma quel comunicato non c’è mai stato. “Mentre lo aspettavamo arrivò una dichiarazione di D’Alema di segno opposto. Con toni ultimativi respingeva qualunque ipotesi di accordo con i leader compromessi con la vecchia politica. In pratica era un veto a Craxi. Bettino se la prese con me, e rifluì nell’alleanza con i democristiani di Forlani e Gava”. La sua amicizia con Craxi si è incrinata in quel momento? “Un paio di mesi dopo. Per colpa di Scalfaro. Ero andato a trovarlo al Quirinale insieme con il ministro degli Interni democristiano Vincenzo Scotti per parlare del decreto antimafia. Scalfaro invece ci parlò dell’incarico per formare il nuovo governo. Angosciato di non poterlo dare a Craxi. Ci chiese: ‘Chi hanno i socialisti dopo Craxi?’. E fece lui stesso i nomi di Amato, De Michelis e Martelli. Lusingato, non fiutai la trappola. Pochi minuti dopo scoprii che lo stesso Scalfaro aveva messo in giro la voce che io mi ero autocandidato. Smentii subito, ma non ci fu nulla da fare”. Craxi credette più a Scalfaro che a lei? “Sì. L’immagine del delfino si trasformò in quella del rivale. E Craxi cominciò una aggressione in piena regola nei miei confronti. Finché a settembre reagii pubblicamente, cercando di salvare il salvabile”» (Zincone). «“Io non ho mai tradito Bettino, nemmeno nella discordia. In politica esistono anche i processi di decadimento dei leader, che prima o poi provocano reazioni. Bruto non era un traditore: difendeva le ragioni del Senato dalle ambizioni di Cesare”. Durante le inchieste di Tangentopoli lei disse che voleva “restituire dignità al partito”. Venne percepita come una pugnalata. “Io volevo fermare la china rovinosa in cui stavamo precipitando. Il partito era alla deriva. Nell’estate del 1992 mandai a Bettino un messaggio chiaro: ‘Ci vuole una catarsi almeno simbolica’. C’erano arresti tutti i giorni, imperavano delegittimazione e discredito dei partiti”. Lui che cosa rispose? “Nulla. Pensò che volessi prendere il suo posto. In realtà io intendevo dire: ‘Dimettiamoci tutti, ci vuole un segnale di discontinuità’”» (Zincone). «“Tangentopoli? Un’orgia di morte…”. […] In mezzo, al centro della scena, c’era proprio lui, investito da due ruoli inconciliabili. Era, infatti, contemporaneamente ministro della Giustizia (e lo fu sino al 10 febbraio 1993) e l’erede designato alla guida del Psi dal leader Bettino Craxi, immediatamente identificato come imputato numero uno del grande processo ai partiti. […] La mancata successione al vertice del Psi, “dove mi aveva scelto e piazzato Bettino… uno che avrebbe potuto cacciarmi con una battuta”, lo amareggiò moltissimo» (Palombelli). Il 10 marzo 1993 Martelli era infatti stato «costretto a dimettersi […] per il coinvolgimento – pure lui – nella vicenda di Tangentopoli a causa della titolarità di un conto svizzero attribuitagli dall’architetto Silvano Larini, un amico di Bettino Craxi colpito da mandato di cattura e arrestato al suo rientro dall’estero in Italia, concordato con Antonio Di Pietro» (Francesco Damato). «Nel ’93, quando Silvano Larini mi accusò per il Conto Protezione, io pensai a una qualche forma di vendetta da parte di Bettino e per questo mi allontanai dal partito. Ma oggi posso dire che mi sbagliavo» (a Stefano Zurlo). «Lei è stato condannato per la maxi-tangente Enimont. “Avrei dovuto dichiarare alla Camera il finanziamento da parte di Carlo Sama, ma non lo feci perché c’era un clima da caccia alle streghe. Fui vile. Poi però confessai spontaneamente, deponendo in tribunale. Mi presi otto mesi con la condizionale”» (Zincone). Negli anni successivi al ritiro, oltre a qualche periodico approccio alla politica attiva (culminato tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila nel ritorno al Parlamento europeo e nel fallimentare tentativo di riunificazione dei socialisti nel Nuovo Psi), si è dedicato principalmente alla gestione delle sue associazioni senza scopo di lucro Opera e Società aperta, al giornalismo e alla conduzione di alcuni programmi di approfondimento politico sulle reti Mediaset. «Oggi dirige L’Avanti quindicinale e non smette di scrivere e ragionare sulla sinistra italiana» (Fotia) • Tra i suoi ultimi libri l’autobiografia Ricordati di vivere (Bompiani, 2013) e le biografie L’antipatico. Bettino Craxi e la grande coalizione (La nave di Teseo, 2020) e Vita e persecuzione di Giovanni Falcone (La nave di Teseo, 2022) • Tre matrimoni alle spalle, da cui sono nati i quattro figli. Dal 2022 è sposato in quarte nozze con Lia Quartapelle (classe 1982). «Ogni venti anni bisogna sposarsi» • «Grazie al populismo del signor Di Maio e dei suoi urlatori, la mia pensione da parlamentare è stata tagliata del 57,9%: ridotta a duemiladuecento euro» • Grande passione per i viaggi, affrontati soprattutto nei momenti di crisi: dopo Tangentopoli si recò prima a Londra e poi in India, dove conobbe Madre Teresa di Calcutta («La prima cosa che mi disse fu: “Come sta il mio amico Giulio Andreotti?”»); al tempo del divorzio dalla terza moglie prese invece a frequentare assiduamente Berlino («un incantevole miscuglio di tradizione e trasformazione») • «Una volta lei venne fermato a Malindi con l’accusa di possedere della marijuana. “Uno spinello”. […] Lei si era mai fatto una canna? “Come no, certo che sì”. E capita anche oggi? “Capita, qualche volta”» (Giorgio Lauro e Geppi Cucciari) • Ha indicato come libro preferito Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar • «Una doppia anima: teorizzatore e uomo d’azione, regista di idee e organizzatore del potere» (Vergani) • «Il suo non fu un tradimento politico. Martelli non disse a Craxi: “Io succedo a te perché sei vecchio”. Gli disse: “Io succedo a te perché sei un ladro”. Martelli diede a Craxi un dolore che non si rimarginò mai. I soldi arrivavano anche a lui. Soldi che gli consentivano di mantenere un tenore di vita mostruoso, offensivo, che schifava lo stesso Craxi. Bisognerebbe fare le visite guidate per vedere la villa sull’Appia Antica dove abitava Martelli a spese del partito» (Filippo Facci) • «Il tuo giudizio su Mani pulite? “La più colossale operazione di polizia giudiziaria di questo Paese. Trentamila inquisiti, tremila arresti concentrati sulla classe politica. Nulla di simile contro mafia e terrorismo. Con le intercettazioni, nate per combattere i killer, usate per incastrare un assessore”» (Giancarlo Perna) • «Quella con Bettino Craxi è stata una amicizia profonda, vera, durata 30 anni. Non è giusto che alla fine si ricordi solo il periodo della rottura. Credo che mi volesse bene». «Quando vi siete parlati per l’ultima volta? “Una telefonata alla vigilia del Natale 1999. Era molto stanco. Gli dissi che sarei andato presto a trovarlo e lui mi chiese di aspettare perché si era operato da poco. Morì qualche settimana dopo”» (Zincone) • «Tu, ex guardasigilli, al contrario di molti, dici che la trattativa Stato-mafia c’è stata. Ma, se era per evitare un danno, dov’è lo scandalo? “Lo scandalo è che la neghino. La domanda è: la trattativa ha impedito nuove stragi? No. Vedendo i cedimenti dello Stato, Riina ordinò: ‘Bisogna dare ancora un colpettino’. E sono seguite le bombe di Milano, Firenze e Roma. Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia”» (Perna) • «È cominciata dall’89 la campagna del “basta con le ideologie”. E, togliendo di mezzo l’ideologia comunista, poi quella socialista, poi quella liberale, resta in campo una sola ideologia: quella nazionalista. Oggi parliamo di sovranismo, e questo da una parte ha colmato il vuoto lasciato dalle vecchie culture e dall’altra è la reazione alla globalizzazione» (a Mario Ajello). «Io non voto da un po’: ci sono stati sottratti troppi diritti, come il poter scegliere i nostri parlamentari» • «La maggioranza dei giudici è incapace. La preparazione è un caso, l’impreparazione la regola» • «Qual è la scelta che le ha cambiato la vita? “Fare politica invece della carriera universitaria: a inizio anni Settanta il mio professore di Filosofia morale voleva che restassi con lui”. L’errore più grande che ha fatto? “Avventurarmi nel rapporto con Licio Gelli, sottovalutandolo. Mi sentivo protetto da Craxi”» (Zincone) • «Mi sono ispirato spesso a due socialisti, Matteotti e Rosselli. Erano due liberal-socialisti coraggiosi, sempre in minoranza, critici, sempre disposti a mettere tutto in discussione» • «È finito il socialismo? “No, io non penso che sia finito, il socialismo. Dedicherò quel che mi resta da vivere a dimostrarlo”» (Walter Veltroni). «Esclude di tornare in politica un giorno? “Ma come si fa a escludere? Finora non ne ho avuto voglia: tanti vecchi amici e compagni me lo hanno chiesto”» (Lauro e Cucciari).